Fattore Umano | La prima volta del CSM in carcere
L’appello da Rebibbia: «Abbandoniamo la via dell’emergenza che ci accompagna da decenni»
Il 10 maggio una delegazione del Consiglio Superiore della Magistratura ha visitato per la prima volta un carcere italiano. «Un evento storico» – lo ha definito Giovanni Tamburino, capo del DAP –che ha coinvolto il primo presidente del CSM Ernesto Lupo, il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, e i componenti della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. La visita nei reparti Nuovo complesso e femminile di Rebibbia ha permesso di verificare lo stato dell’istituto penitenziario al fine di ottenere una «drastica e radicale depenalizzazione». Per alleggerire le carceri e per ridare fiato a un sistema giudiziario «intasato da un’eccessiva quantità di procedimenti».
La delegazione ha incontrato i rappresentanti della polizia penitenziaria e di altri dirigenti penitenziari di Rebibbia, oltre che un gruppo di detenuti. «Sappiamo – ha dichiarato Vietti rivolgendosi agli agenti di custodia – che si tratta di un lavoro quanto mai importante e difficile: l’effettività della pena è affidata a voi e non è certamente un aspetto secondario del sistema giudiziario». «La vostra difficoltà – ha aggiunto – si misura con la sfida dell’intento rieducatore che la nostra Costituzione vuole sia connesso con l’espiazione della pena, un compito dunque molto più delicato della semplice custodia».
Vietti ha esortato a «uscire dei vecchi schemi con i quali è stata gestita finora la realtà carceraria» ed ha rivolto un appello ricordando le parole del Capo dello Stato. La nostra – ha detto – è una «realtà carceraria che ci umilia di fronte al resto dell’Europa: chi ha la responsabilità di operare, lo faccia».
La visita ha consentito anche di mettere in luce alcuni aspetti positivi di una «struttura dignitosamente mantenuta» come il nido. Ma il carcere romano – nonostante sia in condizioni migliori di tanti altri istituti – vive le conseguenze del sovraffollamento (i detenuti sono arrivati a quota 1750) con celle da massimo 4 detenuti in cui vivono in 6 (anche le sale per attività rieducative sono trasformate in celle, ndr.).
Di fronte alle strutture «vetuste» che non si possono sistemare per mancanza di fondi, il vicedirettore del carcere Anna Del Villano chiede di concentrarsi su «soluzioni alternative al carcere». Perché – ha sottolineato un detenuto di Rebibbia presente all’incontro – «la situazione attuale è invivibile».
Le richieste dei reclusi di Rebibbia sono state più che altro degli inviti a «dare maggiore fiducia ai detenuti che nei fatti hanno dimostrato di essere cambiati, guardando al passato ma soprattutto all’oggi». Come ha chiesto un detenuto che a Rebibbia vive da 20 anni.