Fattore Umano | Severino: più lavoro ai detenuti
Il ministro a Padova: «Siamo impegnati sul rifinanziamento della legge Smuraglia». E apre alle forme di pena alternative al carcere
«Non sono molto brava a fare promesse però posso dire che c’è un impegno molto serio per il rifinanziamento della legge Smuraglia». Ha esordito così il ministro Severino nel suo intervento di ieri all’incontro sul tema del lavoro come elemento di recupero del detenuto presso l’Università di Padova.
«Il progetto lavoro-detenuti – ha spiegato – merita una riflessione e un impegno seri». Anche perché – ha ricordato il ministro parlando ancora della cosiddetta legge Smuraglia (finanziata annualmente con 4,6 milioni di euro l’anno, ormai insufficienti) – «è stata l’unica forma di attivazione del lavoro carcerario che ha introdotto un modo di lavorare nel carcere utile non solo per i detenuti ma anche per il reinserimento sociale e per le imprese». Niente assistenzialismo o pietismo, dunque, bensì un serio impegno nel mettere a disposizione fondi per questo progetto.
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha incontrato anche alcuni imprenditori durante la sua visita nelle due sedi carcerarie a Padova dove il consorzio di cooperative Coop Rebus impiega circa 200 detenuti. Per questi imprenditori – ha raccontato la Severino – «il lavoro in carcere non significa più intrattenere i detenuti per il tempo necessario a tenerli lontani dalla cella, ma abituarli a un lavoro utile, ad un lavoro per il futuro, ad un lavoro che sia già nella società».
Un altro tema toccato dal guardasigilli è stato quello del cronico sovraffollamento carcerario. La ricetta per superare questo problema «è un mix di elementi – ha spiegato –: abbiamo già avuto la legge salva carceri che ha cominciato a produrre qualche effetto perché vi sono stati tremila ingressi in meno relativamente al fenomeno delle porte girevoli». Senza dimenticarsi la questione delle misure alternative alla detenzione, definite dal ministro «il vero modo per affrontare il problema del carcere».
Perché il carcere, ha concluso il ministro, è l’estrema ratio, l’ultima risorsa in questo Paese cui si ricorre «quando gli altri tipi di pena non funzionano». Ma per la Severino ci sono anche «casi in cui si potrebbe ricorrere alla messa in prova e per reati minori potrebbe addirittura evitare il processo e la detenzione».