Caso Tortora: un ricordo (inedito) dell’avv. Caiazza per silvioscaglia.it
E qualche considerazione su chi ci ha fatto carriera
Il ricordo è nitido e indelebile, nonostante i 22 anni trascorsi da quel lontano aprile del 1988: Enzo Tortora ricoverato in clinica, sdraiato sul suo letto, ormai irrimediabilmente malato, che incarica due giovani legali di chiedere cento miliardi di vecchie lire come risarcimento danni ai pm e ai giudici che lo hanno fatto ingiustamente condannare.
Una cifra enorme, ma solo in apparenza spropositata, con un obiettivo chiaro: che se ne parlasse, che non finisse tutto nel dimenticatoio. “All’inizio eravamo perplessi, ma Tortora era un uomo di grande comunicazione e ci disse: dobbiamo fare rumore, fare notizia, tanto sono soldi che non vedrò mai, ormai mi hanno ammazzato. Ma è importante che la gente sappia, che la gente capisca.”. Tortora morì un mese dopo, il 18 maggio 1988, nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.
A raccontare l’inedito episodio è l’avvocato Giandomenico Caiazza, oggi presidente della Camera Penale di Roma, allora insieme al collega Vincenzo Zeno Zencovich, investito del difficile compito di portare sul banco degli imputati i magistrati del caso Tortora. “Mi emoziona ancora - prosegue Caiazza – ripensare che Tortora, pur in quella tremenda condizione, riusciva a fare delle battute di spirito, a paragonarsi al signor Bonaventura, un personaggio un po’ strampalato di un fumetto di grande successo che leggeva da bambino. All’inizio di ogni storia il signor Bonaventura era sempre squattrinato, poi alla fine diventava ricchissimo, anzi milionario. Eppure Tortora sapeva benissimo che gli restava poco da vivere”.
Dal danno derivò però anche la beffa. Ai due giovani avvocati toccò infatti la sorte di essere denunciati. Prosegue Caiazza: “Non appena Enzo Tortora morì, come avvocati fummo accusati di calunnia dai magistrati, poi prosciolti. Ma intanto la causa verso i magistrati fu sospesa, fino a quando la Corte Costituzionale dichiarò “incostituzionale” la legge che avevamo utilizzato per muovere la stessa azione di responsabilità”.
Per la cronaca, tutto il castello di menzogne su cui fu costruita la “falsa verità” delle accuse a Tortora è inoppugnabilmente franato. E non solo perché l’ex presentatore televisivo fu assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, a quattro anni esatti dal suo arresto, ma anche perché il principale protagonista delle accuse, Gianni Melluso (uscito dal carcere nel 2009 dopo averci passato 30 anni), ha finalmente deciso di vuotare il sacco, riconoscendo che si era inventato tutto. Lo ha fatto nei giorni scorsi, con una intervista al settimanale l’Espresso, appena pubblicata, a firma di Riccardo Bocca, dove ammette che fu tutto concordato con altri due boss mafiosi, Giovanni Pandico e Pasquale Barra: “Chiedo scusa, profondamente scusa – dice adesso Melluso – ai familiari di Enzo Tortora. Mi rivolgo soprattutto alle figlie Gaia e Silvia, che hanno patito l’inferno per colpa mia. È difficile che accettino di perdonarmi, lo so, ma sento il dovere di contribuire con la massima onestà a questa storia. Voglio dichiarare una volta per tutte che il presentatore Tortora era innocente”.
Resta il fatto che nessuna azione penale, o anche indagine di approfondimento, è stata mai avviata, e nessun procedimento disciplinare è stato mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pm e dei giudici che hanno condannato Tortora. Anzi le loro carriere sono proseguite come se niente fosse, nemmeno una censura. Per dire dei due pm: oggi Lucio di Pietro è Procuratore Generale a Salerno e Felice di Persia, ex coordinatore della direzione distrettuale antimafia a Napoli, ora in pensione, è Presidente del Consorzio Rinascita del litorale casertano, dopo un breve periodo di amministratore unico della Gisec, società provinciale per la gestione dei rifiuti sempre a Caserta. Mentre il presidente dell’allora collegio dei giudici, Luigi Sansone è da poco andato in pensione, non senza avere raggiunto il grado di Presidente della Cassazione.
In Italia l’ingiustizia è direttamente proporzionale alla indifferenza dei giornalisti che invece di andare a leggere le carte dell’accusa preferiscono suonare la grancassa dei Pm.Basterebbe leggere il mio sito:www.Felice Cultrera.com per rendersene conto.
Ancora quest’anno la Giustizia italiana è stata classificata al 156˚ posto su 181 paesi del mondo. A riprova (fra le innumerevoli) della giustezza di quella posizione, i magistrati che hanno accusato e condannato Tortora hanno poi fatto regolare, e brillante, carriera. E’ da presummere che in Magistratura essi non ci sarebbero nemmeno entrati se fra le qualità da avere – e dimostrare – per entrarvi ci fosse l’EQUILIBRIO.
[...] La posizione dei radicali è nota. Quando le cose stanno così, meglio un indulto e un’amnistia, ma siamo rimasti i soli a dirlo. C’è chi preferisce veder prescritti 200mila processi all’anno piuttosto che affrontare la questione. In dieci anni sono andati al macero già 2 milioni di processi. Poi è chiaro che, in una situazione del genere, ai magistrati viene la tentazione di finire solo quelli che vogliono, che offrono maggiore visibilità e magari l’occasione di fare carriera, come accadde con il povero Enzo Tortora. [...]
Segnalo l’articolo di Luca Fazzo “Gli aspiranti giudici? Un esercito di somari” (Il Giornale, oggi):
http://www.ilgiornale.it/interni/gli_aspiranti_giudici_un_esercito_somari/29-05-2010/articolo-id=449075-page=0-comments=1
E sottolineo la frase “tra cento polemiche per il clima eccessivamente informale” del concorso per diventare magistrati: parola che – ricordiamocelo bene! – deriva dal verbo latino “magisterare” = governare, MODERARE, a sua volta derivante dal sostantivo “magister” = maestro.
Tutto ciò per dire che cosa?
In magistratura non si devono più tollerare concorsi all’acqua di rose e/o qualsiasi altra leggerezza.
Che ci siano stati fin qui è provato dai vari, annosi ricorsi in proposito. Che generalmente restano lettera morta.
Sappiamo anche di un ex magistrato, che successivamente ha gettato la toga alle ortiche per entrare in politica (prassi ormai divenuta ordinaria per numerosi ex togati) – che al concorso per entrare in magistratura fu “graziato” solo perché si era presentato come ex emigrato all’estero per lavorare.
E poi sappiamo di molti altri casi consimili.
Orbene, i magistrati possono influire sulla nostra vita esattamente come i medici-chirurghi.
Si sono verificati casi di imputati morti per suicidio in carcere o per consunzione dovuta al carcere e ad accuse ingiuste; si verifica sempre la morte dello spirito, in ogni caso d’ingiusta condanna e/o detenzione.
Personalmente, mi interessa meno se un dirigente in altri settori arriva alla top-cadrega per raccomandazioni e/o appartenenza partitica.
Mi interessa assai, invece, se tale iter riguarda un magistrato o un medico.
Perché tengo alla mia sopravvivenza: sia fisica sia psichica.
Dunque occorre vigilare sull’operato dei magistrati: i quali devono assicurare – oltreché l’ovvia preparazione – anche una personalità EQUILIBRATA.
Il Csm – ormai specializzato solo nell’apertura di “pratiche a tutela” dei magistrati stessi, per lo più ritenuti intangibili – si preoccupi anche di vagliare attentamente il loro comportamento e le loro decisioni.