Archivio di maggio 2010
Perché Scaglia sta in carcere? La presa di posizione di Alessandro Maran (Pd) e di Fabrizio Cicchitto (Pdl)
“Trovo anch’io che la detenzione di Silvio Scaglia sia ingiustificata e per certi versi anche scandalosa”. Si esprime così sulle pagine de il Foglio del 7 maggio, Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd, eletto nel Friuli Venezia Giulia. Prosegue Maran “E dovremmo approfittare del dibattito che è seguito all’apertura di Andrea Orlando sulla politica giudiziaria, per affrontare finalmente il nodo della custodia cautelare e delle condizioni di applicabilità delle misure coercitive”.
Tra l’altro, lo scorso gennaio, proprio il deputato Maran aveva firmato una mozione sulle carceri in cui si chiedeva di “puntare sulle misure alternative alla detenzione”.
Del resto, prosegue Maran sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara: “la scelta della custodia cautelare dovrebbe costituire l’estrema ratio alla quale è possibile ricorrere solo in caso di inadeguatezza delle altre misure cautelari. Invece le cose non stanno così, e lo dimostra il fatto che il 50 per cento del totale dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio”.
Su quanto scrive Maran arriva anche la presa di posizione del presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto all’Ansa: «Ci associamo all’interrogativo avanzato da giornali e da altri esponenti politici, fra i quali Giachetti e Maran: perchè il dott. Scaglia, che dall’estero è venuto in Italia è ancora in carcere? Non ci troviamo di fronte un uso del tutto inaccettabile della custodia cautelare?». «Riteniamo – aggiunge Cicchitto – che questo caso richiederebbe ben altra attenzione da parte del mondo politico e dei mezzi di comunicazione di massa».
Piero Ostellino a silvioscaglia.it: ‘Che lo liberino’
Piero Ostellino, già direttore e oggi editorialista di punta del Corriere della Sera, si iscrive fin dalle prime battute al partito degli indignati. Anzi, da liberale purosangue qual è, dei “molto indignati” per come viene trattato Silvio Scaglia, in prigione da ormai 70 giorni. E non solo per l’ex fondatore di Fastweb “ma per come vengono trattati tutti i cittadini che hanno a che fare con la carcerazione preventiva. In Italia – dice accalorandosi – è diventata l’omologo della ruota medievale, si mette dentro la gente per estorcere una confessione. Oppure si arriva persino a giustificare la galera con l’idea che l’indagato non si è pentito abbastanza. E’ roba da stato teocratico”.
Dottor Ostellino, che idea si è fatto dunque del “caso Scaglia”?
Mi sembra evidente che lo tengono in galera per fargli dire qualcosa, ma non si sa bene cosa. Vorrei capire, codice alla mano, le motivazioni giuridiche della sua permanenza a Regina Coeli. Cosa dovrebbe dire? Cosa dovrebbe confermare? E’ tornato apposta per farsi interrogare, ha risposto alle domande dei pm. Ma allora perché è ancora in gattabuia? Forse sperano che si ravveda? Oppure che finalmente si penta? Ma stiamo scherzando? E’ così che si pensa di amministrare la giustizia?
Insomma, anche Lei si pone tante domande? Ma ha qualche risposta?
Certo, prendo atto con vivissima preoccupazione che la cultura giuridica dominante è ritornata quella dei tempi dell’Inquisizione. Evidentemente l’habeas corpus, per certi magistrati, è diventato solamente un purgante. Lo scriva pure, un purgante. Vorrei ricordare invece che l’Habeas Corpus Act fu emanato in Inghilterra nel 1679, come strumento di salvaguardia della libertà individuale, come garanzia personale contro gli abusi. E invece oggi in Italia con l’inquisito puoi fare quel che ti pare.
Non le sembra che vengano messe in crisi le basi dello stato di diritto?
Su questo non ci sono dubbi, e proprio il caso Scaglia mi sembra clamoroso. E’ evidente che siamo di fronte a gente che si muove in un orizzonte culturale pre-giuridico o addirittura meta-giuridico. E’ l’affossamento dello stato di diritto. Silvio Scaglia è rientrato dall’estero, è stato interrogato e ha risposto. Quindi: ha dimostrato di non voler fuggire, anche volendo non potrebbe inquinare le prove o reiterare il reato. Come è noto la vicenda risale a diversi anni fa e lo stesso Scaglia, da anni, si occupava altro. C’è altro da aggiungere? Sì, che lo liberino. Poi, se lo si riterrà, andrà in giudizio. Ma le due cose non vanno mischiate o confuse.
Nei giorni scorsi il presidente Napolitano ha invitato la magistratura ad una “seria riflessione critica su se stessa”. Parole da apprezzare?
Sono parole assolutamente condivisibili. Sono un grandissimo estimatore del presidente Napolitano, ritengo che stia dimostrando uno straordinario equilibrio. E aggiungo che osservandolo, trova conferma una mia opinione non di oggi, sulla serietà e il rigore di tutti gli ex comunisti che hanno letto attentamente Benedetto Croce. Invece, sempre più spesso ci tocca di aver a che fare con un organo dello stato, la magistratura, divenuto soltanto un potere autoreferenziale, che se ne frega della pubblica opinione.
Possiamo scrivere anche questo?
Certo, e lo ripeto. È diventato un potere a cui non frega niente della pubblica opinione, ragiona solo su se stesso. E’un potere che andrebbe riformato decisamente.
Qualcuno dice: che le voci dei garantisti si alzino forte e chiare. Può servire? Può bastare?
Purtroppo mi viene in mente quello che diceva Gaetano Salvemini, ben ottanta anni fa: “Se mi arriva un avviso dalla giustizia la prima cosa che faccio è scappare all’estero”. Ebbene, Silvio Scaglia ha fatto il contrario, è rientrato e si è messo a disposizione, ma cosa gli è successo? Mi domando: cosa vogliono di più i giudici? L’ho detto già prima: vorrei che qualcuno mi spiegasse qual è la motivazione giuridica di questa carcerazione. Il punto è che non c’è, non esiste.
Intervista di silvioscaglia.it a Pier Luigi Celli
“Silvio è sempre stato rigoroso in una maniera quasi calvinista. Non si è mai permesso nulla che non fosse ampiamente entro le regole. Faccio fatica anche solo ad immaginare un comportamento men che corretto da parte di Scaglia. Figuriamoci una condotta delittuosa”. Parla così Pierluigi Celli, oggi direttore generale della Luiss, una lunga carriera di top manager nell’industria e nella finanza. L’uomo che, ai tempi dell’inizio dell’avventura di Omnitel, assunse Silvio Scaglia.
Dottor Celli, oggi Silvio Scaglia festeggia, per modo di dire, i 67 giorni di carcerazione preventiva. Al di là del merito dell’inchiesta, che sentimenti si possono provare di fronte a questi metodi di indagine?
“E’ una situazione inaccettabile. Al di là del merito dell’inchiesta, su cui ho la mia opinione personale, credo che una carcerazione così lunga sia del tutto incomprensibile. Silvio Scaglia non è un criminale, ma un cittadino che era all’estero e poteva restarci ma ha voluto rientrare al più presto in Italia per collaborare con i magistrati, come un cittadino perbene. Invece gli è stato inflitto un tormento senza senso”.
Un tormento che viola i diritti costituzionali. Anzi gli stessi diritti umani, non crede?
“E’ un sistema che non capisco. Se hai elementi per provare la colpevolezza di un imputato lo processi e lo condanni. Ma non si può tenere un essere umano in galera, qualunque cosa abbia fatto, nella speranza che prima o poi confessi. Questo sul piano dei principi perché, per quel che vale, io su Silvio un’idea ce l’ho: ripeto, non riesco a concepire un suo gesto men che rispettoso delle regole”.
Nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sottolineato che ci vuole” equilibrio e misura” quando si esercita la funzione di magistrato. Forse nel caso Scaglia le cose non sono andate così.
“E’ senz’altro difficile dare un giudizio sulla magistratura. E’ un compito delicato e difficile quello di dar giustizia. Ma io credo che si debba tener conto dell’equità quando si cerca di amministrare la giustizia. Perché ciò che non è equo non può esser giusto. Ecco, mi è difficile capire, pur con tutto il rispetto, l’atteggiamento tenuto nei confronti di Scaglia. Anzi, temo che questi comportamenti non giovino a valorizzare il ruolo essenziale della magistratura. Io non faccio parte della schiera di chi, per partito preso, ce l’ha con i giudici. Anzi, ho sempre pensato che occorre agevolare, in ogni modo, l’operato dei magistrati. Ma questa vicenda, lo confesso, mi mette in difficoltà”.
Perché, secondo Lei, in Italia non si riesce a trovare un equilibrio tra le esigenze degli inquirenti e le legittime garanzie degli inquisiti. Perché non si trova quell’equilibrio auspicato da Napolitano?
“Perché la magistratura, in mezzo allo sfacelo in cui viviamo, ha dovuto effettuare un lavoro di supplenza. Ma a forza di fare i supplenti si corre il rischio di sentirsi i salvatori della patria. Ma il Paese non ha bisogo di salvatori, bensì di gente che si limiti a far e bene il proprio mestiere”
Che impatto, secondo lei, ha avuto all’estero il caso Scaglia?
“La gente che conosce Silvio è rimasta stupita, attonita, incredula. Molti mi hanno telefonato. E tutti sono indignati, al di là del merito delle accuse, per il modo in cui è stato trattato: Silvio è un imprenditore che ha creato, non distrutto, tanta ricchezza. E che anche in questo caso ha agito con correttezza mettendosi a disposizione dei magistrati. Anche solo per questo dovrebbe meritare rispetto”.
A giudicare dal tono di certi interventi, soprattutto nei primi giorni, sembra al contrario che si volesse punire la sua fortuna imprenditoriale.
“Ognuno di noi si confronta con i vizi capitali. Io dico sempre che è meglio frequentare quelli che ti fanno star meglio, sul piano del piacere. Invece, in Italia sono più diffusi la gelosia e l’invidia, cioè quelli che ti fanno star peggio”.
E’ un Paese in cui la voce dei garantisti è debole e di corta durata. Dopo il clamore dei primi giorni è scesa una sorta di cortina del silenzio. Eppure la durata della carcerazione di Scaglia grida vendetta ogni giorno che passa. O no?
“L’Italia è un Paese dalla memoria cortissima, dove ci si acquieta facilmente in quello che più conviene. Non esistono indignati permanenti. Ma c’è anche un’altra spiegazione”.
Quale?
“Si può pensare che più si lascia sotto traccia la propria indignazione, meno si indispettisce chi deve decidere”.
Ma non ha funzionato.
“No, purtroppo non ha funzionato. Il caso Scaglia è uno scandalo e va sottolineato perché non si ripetano più queste cose. Ci sono limiti che vanno salvaguardati per il bene di tutti”
E allora
“Allora questo accanimento terapeutico contro Silvio deve cessare”.
Il prigioniero Scaglia
Ma perché Silvio Scaglia resta in carcere? Se lo chiede in un editoriale Il Foglio (4 maggio) diretto da Giuliano Ferrara, non senza avere ricordato che l’accusa rivolta al fondatore di Fastweb riguarda un reato associativo: “un concetto che ha subìto negli anni un ampliamento talmente generico da consentire oggi il suo uso contro persone sulle quali non esistono prove che abbiano commesso direttamente reati”.
Dovrebbe bastare, ma Scaglia non si è “ravveduto” – osserva ancora l’editoriale – “il che non può essere richiesto a un inquisito che si proclama innocente”.
Dunque, se ti mettono in galera hai una sola strada: o ti “ravvedi” o gettano la chiave. E dove starebbe poi la grande colpa di Scaglia, secondo il Tribunale del riesame, presieduto da Giuseppe D’Arma, che ha negato la scarcerazione? Secondo il giudice Scaglia – ricorda il Foglio – “aveva una visione aziendale assolutamente accentratrice, quasi al limite del dispotico”. E allora?, si chiede ancora il giornale. Ammesso che fosse vero (ma non lo era, aggiungiamo noi) sarebbe un reato?
E non è finita: Scaglia – ricorda Il Foglio – non ha “patteggiato”, dunque il suo rientro spontaneo dall’estero non può contare nella scarcerazione. Capito? Per veder rispettati i propri diritti bisogna dichiararsi colpevoli, altrimenti si resta in gattabuia a urlare alla luna la propria innocenza.
Conclude il giornale di Ferrara: “In uno stato di diritto questo comportamento inquisitorio della magistratura, che utilizza la detenzione preventiva per estorcere confessioni e ammissioni dovrebbe essere considerato per quel che è: una tortura. Sarebbe ora che le voci dei garantisti di ogni parte si facessero sentire, forti e chiare, in difesa di un principio oltre che di una persona”. Ecco, appunto, forti e chiare.
Cronistoria di una vicenda kafkiana
Silvio Scaglia è ormai in carcere da quasi 70 giorni, sebbene non sia emerso alcun fatto nuovo rispetto a quanto già chiarito nel 2007. Per chi volesse orientarsi nella vicenda kafkiana che ha coinvolto il fondatore di Fastweb e poi di Babelgum pubblichiamo una cronistoria ragionata di una storia incredibile cominciata più di tre anni fa.
Le sue “disavventure” giudiziarie nascono infatti il 13 marzo 2007. Ma la vicenda sembrava destinata ad esaurirsi pochi mesi dopo, con la richiesta di archiviazione da parte del pm “poiché non emergono fatti sufficienti a sostenere una accusa in giudizio”. Archiviazione confermata dal giudice per le indagini preliminari il 22 maggio 2007.
Tuttavia, il 23 febbraio 2010 scatta l’operazione Broker: 56 misure di custodia cautelare e arresti domiciliari per “riciclaggio e frode fiscale internazionale” in cui risulterebbero coinvolti i vertici di Telecom Sparkle e Fastweb.
Silvio Scaglia apprende dall’estero che è stato spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti, rientra spontaneamente (e precipitosamente) dalle Antille dove si trova con la sua famiglia. Due giorni dopo viene interrogato in carcere dal gip davanti al quale, oltre a ricostruire puntualmente l’origine del suo patrimonio e di tutte le sue operazioni finanziarie, dichiara “Fastweb è vittima di una truffa”.
Da allora, da più parti, si sono moltiplicati gli appelli per la sua scarcerazione.