Archivio di agosto 2010
Rinvio a giudizio inchiesta Fastweb – Telecom Sparkle
I legali di Scaglia: “Nessuna prova, dimostreremo l’innocenza di Silvio Scaglia in Tribunale. Pur con tutte le riserve sull’adozione del rito immediato, è positivo che si vada presto a processo. Ci auguriamo che venga rimesso subito in libertà: da innocente ha trascorso quasi 6 mesi in detenzione”
La conferma del giudizio immediato è così commentata dagli avvocati difensori di Silvio Scaglia, Prof. Piermaria Corso e Prof. Antonio Fiorella: “Pur con tutte le riserve sull’adozione del rito immediato, riteniamo positivo che si possa andare subito a processo, anche perchè, finalmente, sarà possibile consultare tutta la documentazione raccolta dagli inquirenti. Scaglia è innocente e i capi di imputazione formulati a suo carico sono del tutto inappropriati in quanto non giustificati da nessuna prova. Il dibattimento di fronte al Tribunale darà finalmente modo di dimostrare la sua totale estraneità al meccanismo di frode creato alle sue spalle e a quelle della società”.
“Per quanto attiene il tema della libertà personale – aggiungono i legali – continueremo a lottare in tutte le sedi appropriate per dimostrare che non esiste nessuno dei tre motivi per i quali l’Ing. Scaglia debba subire uno stato di custodia cautelare: non può fuggire, non sarebbe rientrato, non può inquinare prove già datate, non può reiterare il presunto reato in quanto non ha più né cariche né interessi in Fastweb”.
“L’Ing. Scaglia ha il diritto di potersi presentare in Tribunale da uomo libero e non si capisce perché debba continuare ad oltranza questo stato di privazione delle libertà fondamentali”.
Conto alla rovescia per l’inchiesta TI Sparkle – Fastweb
Attesa domattina la decisione sul “giudizio immediato” del gip Maria Luisa Paolicelli
Il conto alla rovescia è ormai iniziato: questione di ore poi, con ogni probabilità entro domattina, verrà resa nota la decisione del gip Maria Luisa Paolicelli, titolare del fascicolo, in merito alla richiesta di “giudizio immediato” avanzata dai magistrati della Procura di Roma nei confronti di 37 indagati nell’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb, fra cui Silvio Scaglia.
Nel frattempo si moltiplicano sul tavolo dello stesso gip le memorie presentate da alcuni avvocati difensori. In particolare, secondo diversi legali, non vi sarebbero per i loro assistiti le condizioni per dare corso alla richiesta di “giudizio immediato” dei pm, in quanto “fuori dalle ipotesi stabilite dalla legge”.
Nel dettaglio, nelle memorie si sottolinea come per alcuni imputati (gli ex manager delle due società telefoniche, oltre a Silvio Scaglia) accusati di “reato associativo” e di “reato tributario”, risultino ormai ampiamente decorsi i termini della custodia cautelare sul secondo punto (tre mesi), mentre permangono solo sul primo (sei mesi). Ma proprio per questo, sostengono i legali, essendo i due “presunti reati” a tutti gli effetti strettamente connessi, sulla base del codice (art.453 comma 2), deve prevalere il rito ordinario. Come si legge infatti nel citato articolo del codice di procedura penale: “Quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato (in questo caso quello associativo ndr.) risulta connesso con altri reati (quello fiscale ndr.) per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario”.
Quindi i casi sono due: o i due reati sono separati (ma come si fa a discutere dell’uno senza discutere dell’altro) oppure sono connessi. E a quel punto secondo l’art. 453 comma 2, deve prevalere il rito ordinario.
Insomma, fuori dal linguaggio strettamente tecnico-giuridico, la tesi dei legali è che non vi possa essere un processo con “giudizio immediato” sul solo reato associativo, scorporato da quello tributario, che implicitamente lo avrebbe motivato, secondo le stesse tesi avanzate dai pm della Procura.
Mokbel: “Mai conosciuto dirigenti di Fastweb e di TI Sparkle”
Nel corso del suo interrogatorio di inizio marzo nel carcere di Rebibbia, Silvio Scaglia lo aveva detto e ribadito: “Non ho mai visto, né conosciuto Gennaro Mokbel”. A conferma, valgano anche le parole di uno dei suoi legali. Quello stesso giorno, infatti, il prof. Piermaria Corso dichiarava alla stampa: “Di tutti questi soggetti, venuti fuori a vario titolo in questa vicenda, a partire da Di Girolamo, Scaglia non li ha mai visti né conosciuti”.
Ora è lo stesso Gennaro Mokbel che parla dal carcere, con una lettera inviata ai pubblici ministeri romani, ripresa e pubblicata dai quotidiani “Il Messaggero” e “Il Mattino”. Dichiara l’imprenditore romano, accusato di essere il “capo” della maxifrode all’origine dell’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb: “Non ho mai conosciuto o fatto affari con nessun dirigente di Telecom, con nessun dirigente di Fastweb e con nessun dirigente di Finmeccanica”. “Nella missiva – si legge ancora – lo stesso Gennaro Mokbel chiede che siano interrogati “tutti i dirigenti di quelle aziende, e non uno di loro potrà dire di avermi conosciuto”. Mokbel aggiunge di non aver mai posseduto o gestito società che hanno avuto rapporti con quelle aziende”.
Intanto, sul fronte dell’inchiesta stessa, si attende nelle prossime ore o al più tardi nei prossimi giorni, che il gip Maria Luisa Paolicelli decida se accettare o rigettare la richiesta di giudizio immediato avanzata nei giorni scorsi dai magistrati della Procura di Roma.
Giudizio immediato per TI Sparkle – Fastweb: tanti dubbi e qualche perché
I possibili scenari dopo la richiesta avanzata dai pm. Sorprende la decisione della Procura di “secretare” le carte, mentre gli indagati rischiano altri 6 mesi di custodia cautelare.
Dunque, come si intuiva da qualche giorno (comprese le “voci” insistenti che circolavano tra le redazioni dei giornali), i pm dell’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb, ovvero il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Francesca Passaniti, Giovanni Bombardieri e Giovanni Di Leo, hanno deciso che il dado andava tratto. Da qui la richiesta di “giudizio immediato” per 37 persone, coinvolte a vario titolo nell’indagine, per singoli reati assai diversi.
Una richiesta che, guarda caso, arriva a ridosso dei circa sei mesi di “custodia cautelare” inflitta agli indagati. Un periodo oltre il quale, per diversi di loro, in caso di rinvio a giudizio per via ordinaria, si sarebbero invece aperte le porte del carcere o degli “arresti domiciliari”, in attesa di stabilire poi in sede di processo, se colpevoli o meno dei reati di cui sono accusati.
Un tempismo che fa riflettere. Infatti, ove il gip accogliesse la richiesta dei pm, il cronometro dei termini della custodia cautelare ripartirebbe da zero. Detto in parole semplici: gli indagati, ad oggi “presunti innocenti” (fino a quando in un aula di tribunale non si stabilirà eventualmente il contrario), rischierebbero di rimanere altri 180 giorni (sei mesi) in stato di privazione della libertà personale. Pur senza aver subito alcuna condanna.
Non a caso, anzi soprattutto per questo, il codice penale subordina l’accoglimento del giudizio immediato ad alcune stringenti condizioni, trattandosi di un rito “speciale” che salta il passaggio dell’udienza preliminare davanti al gup: 1) l’evidenza della prova; 2) che la persona sottoposta a indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova 3) che l’indagato, pur invitato a farlo, non si sia presentato.
Fatto altrettanto sorprendente, la richiesta dei pm risulta tuttora “secretata”. Spieghiamo bene: di solito, a fronte di una richiesta di giudizio immediato da parte dei pm, è consentito agli avvocati della difesa (è un diritto per gli imputati) conoscere immediatamente il contenuto della richiesta stesso, ovvero sapere quali sono esattamente le imputazioni dei propri assistiti e/o se vi sono nuove imputazioni precedentemente non ravvisate. Questo perché, per la difesa è possibile depositare delle nuove memorie sul tavolo del gip, in cui sostenere l’illegittimità stessa del “giudizio immediato” e motivare una richiesta di rigetto. Eppure, fino alla tarda mattina di oggi, l’accesso al registro della Procura risultava nei fatti “criptato”, ovvero le carte erano “secretate”, per i difensori.
Alla luce di quanto sopra, gli scenari possibili che si profilano sono i seguenti: 1) il gip può accogliere la richiesta e confermare il giudizio immediato; 2) il gip può rigettare la richiesta e rimettere gli atti ai pm. I quali, a loro volta, a quel punto hanno due strade: continuare le indagini oppure notificare un avviso di conclusione delle medesime, depositando tutti gli atti dell’inchiesta e mettendoli a disposizione di tutti gli avvocati. Poi devono aspettare 20 giorni, prima di fare richiesta di rinvio a giudizio per via ordinaria, con fissazione della udienza preliminare davanti al gup. Un percorso che, per i tempi obbligatori richiesti, comporterebbe inevitabilmente la scadenza dei termini di custodia cautelare, consentendo così a diversi indagati (non tutti) di presentarsi da persone libere e non “ristrette” al successivo processo. Con la possibilità di dimostrare pubblicamente la propria innocenza.
Telecom Sparkle – Fastweb: la Procura di Roma chiede il giudizio immediato
Possibile svolta per l’inchiesta giudiziaria Telecom Sparkle – Fastweb. Secondo fonti del Tribunale di Roma, il pm Giancarlo Capaldo ha inoltrato all’ufficio dei Gip di Roma la richiesta di rito immediato per 37 indagati, fra i quali Silvio Scaglia.
Nell’elenco, oltre a Gennaro Mokbel e ai vari personaggi a lui legati, figurano tutti gli ex manager di Fastweb e Telecom Italia Sparkle coinvolti dalle indagini. Per TI Sparkle la richiesta riguarda, oltre all’ex ad Stefano Mazzitelli, l’allora responsabile dell’Area regioni europee, Massimo Comito. Per Fastweb, oltre a Scaglia, accusati di presunta frode fiscale, ci sono l’allora dipendente della divisione residenziale, Giuseppe Crudele, il responsabile grandi aziende, Bruno Zito, il membro del comitato direttivo, Roberto Contin, e l’ex direttore finanziario Mario Rossetti.
Dal fascicolo sono anche state stralciate diverse posizioni, tra cui quella dell’ex senatore Nicola Di Girolamo e del manager Marco Toseroni. L’iniziativa è del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dei sostituti Francesca Passaniti, Giovanni Bombardieri e Giovanni Di Leo. I reati contestati, a seconda delle singole posizioni, vanno dall’associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio all’intestazione fittizia di beni, dall’evasione fiscale al reinvestimento di proventi illeciti fino alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione.
Ora toccherà al gip Maria Luisa Paolicelli, rientrata in servizio in queste ultime ore, valutare entro i prossimi 5 giorni, se accettare o rigettare la richiesta avanzata dalla Procura.
Monica Scaglia e Sophie Rossetti “damas in blanco” in un paese senza diritti
Giacalone su “Libero”: “La verità emersa dopo mesi senza libertà non è giustizia”
“Mentre sul nulla s’ingaggia battaglia sui quotidiani italiani escono, poco lette, le lettere delle mogli i cui mariti hanno pero la libertà senza mai essere stati giudicati”. Così Davide Giacalone, tra l’altro noto esperto delle tlc, rilancia sulle colonne di “Libero” le testimonianze di Monica Scaglia sul “Corriere della Sera” e di Sophie Rossetti su “Il Riformista”. Ecco l’articolo dedicato alle “Damas in blanco di un Paese senza diritto e dimentico dei diritti”.
“Prima Monica Scaglia poi Sophie Rossetti hanno preso carta e penna per descrivere la sorte dei rispettivi mariti (inchiesta Fastweb) oramai murati vivi e privati del diritto alla vita professionale e relazionale, il tutto non tanto per un capriccio mediatico di chi indaga, ma per la follia totale di un sistema giuridico che enuncia a chiacchiere la presunzione di innocenza, salvo poi stritolarla sotto i cingoli di una giustizia cieca, inefficiente e con tempi da tortura medievale”.
“Dicono le due signore che i mariti continuano ad avere fiducia nella giustizia – prosegue il commento di Giacalone – Le capisco, ma sbagliano. Io non ho alcuna fiducia nella giustizia. So che, nel corso del tempo e dei gradi di giudizio, la giustizia italiana ha una discreta propensione a centrare la verità. Ma una verità emersa dopo dieci anni di procedimento e dopo mesi di privazione della libertà non è giustizia, bensì un insulto alla medesima. Di questo però non ci si occupa. Chi se ne frega se il ricco manager agli arresti domiciliari (si immagina in condizioni di gran lusso e non si capisce che, invece, quella è una condizione terribile, quasi peggiore della galera) e chi se ne frega delle migliaia di anonimi miserabili le cui vite vengono schiantate nell’inferno burocratico della giustizia”.
Di qui una valutazione amara. “L’Italia di oggi – scrive Giacalone – non è in grado e non vuole neppure porre rimedio, perché da molti anni ci si occupa di una cosa sola: usare le inchieste per annientare il nemico. In una follia distruttiva che non si ferma neanche davanti all’evidenza”.
Lettera di Sophie Nicolas Rossetti
Il Riformista pubblica la lettera di Sophie Nicolas Rossetti, moglie di Mario Rossetti, ex direttore finanziario di Fastweb.
Cara Monica, dopo aver letto la tua lettera sul Corriere della Sera, sento anch’io il bisogno di buttar giù i miei pensieri, anche nella speranza che questo incubo possa finire al più presto. Ho capito insieme a Mario che la cosa peggiore per chi è privato della libertà personale è che il tempo diventa circolare, ripetitivo, le giornate scorrono identiche e non hai più la capacità di disegnare un futuro. E’ questa la vera pena, molto dura, che tocca scontare. Ti rendi conto della discrepanza abissale che c’è tra tempi della giustizia (6 mesi = niente) e il tempo di un uomo privo della libertà. E comprendi cosa questo significhi, soprattutto se hai dei figli piccoli da accudire e far crescere. Ma allora mi domando: perché in Italia tocca scontare una pena PRIMA di essere giudicati? Perché il sistema giudiziario italiano funziona così male?
Nonostante ciò, Mario ed io crediamo, ancora oggi, di vivere in un paese civile, e crediamo ancora nella Giustizia: a darci forza è sapere che il processo farà emergere la verità. Purtroppo però, quel che va ribadito e spiegato mille volte, è che il concetto di “presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva” funziona solo in teoria. Da qui il fatto di doverlo ricordare continuamente: gli indagati (perche Mario è solo un indagato, nonostante quasi 6 mesi di custodia cautelare), devono essere considerati innocenti e non colpevoli, fino a prova contraria. Di sicuro, il modo in cui è stato gestita questa indagine non ha in nessun modo tutelato questo concetto.
Mio marito in questi mesi ha imparato a coltivare la pazienza. E’ l’unico rimedio alla sua condizione. Se riesci a essere un po’ “zen”, ti aiuta a superare tutto meglio. Può sembrare una magra consolazione, ma quando sei privato della libertà, aiuta. Il suo più grande dolore è stato quello di essere stato allontanato bruscamente dai nostri bambini, così piccoli. Non è stato facile spiegarsi con loro, con parole semplici, quando gli hanno chiesto: “Papà perché quegli uomini ti hanno portato via….”. Naturalmente prevaleva anche la gioia di poterli riabbracciare. Mario passa tutto il suo tempo a leggere e a pensare, facendo un po’ di ginnastica, mantenendo un certo ordine mentale. Poi si occupa dei bambini, tutti e tre, anche se dedica qualche minuto in più al piccolo di 2 anni. Inoltre ha iniziato a preparare, a grandi linee, un progetto sociale per aiutare in futuro i detenuti e le loro famiglie. Una volta vissuto il carcere non si dimentica più. E chi può ha il dovere di fare qualcosa per aiutare altri in quella realtà. Anche perché, nonostante tutto, rispetto ad altre storie di “ordinaria ingiustizia”, sappiamo di essere più fortunati. Abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce, di trovare spazio sui giornali, cosa che migliaia di detenuti in attesa di giudizio, dunque ancora innocenti fino a prova contraria, non hanno. Persone che spesso non hanno nemmeno le risorse economiche per beneficiare di un’adeguata difesa. Anche a loro Mario dedica il suo tempo di innocente “murato vivo”.
Sophie Nicolas Rossetti
Scaglia ha fatto bene a rientrare? Vincino dice la sua
Settimana scorsa abbiamo lanciato un mini sondaggio tra i nostri lettori: Scaglia ha fatto bene a rientrare? Per la maggioranza sì. Tuttavia in parecchi esprimono dubbi “sì, ha fatto bene, però…”, e si può leggere anche qualche convinto “no!” (qui potete leggere tutti i commenti dei lettori del blog).
Di sicuro a uscirne compromessa non è la decisione di Silvio Scaglia, ma la fiducia nella giustizia italiana: bassa, bassissima, talvolta rasoterra.
Abbiamo chiesto anche a Vincino di dire la sua sul nostro quesito, questa è la risposta.
Lettera di Monica Aschei al Corriere: “Mio marito Scaglia e il divieto di affacciarsi alla finestra di casa”
Il Corriere della Sera di domenica 1° Agosto torna ad occuparsi della vicenda di Silvio Scaglia pubblicando una lettera della moglie, la signora Monica, e due vignette di Vincenzo Vincino, già pubblicate sul nostro blog che, nei prossimi giorni, arricchiremo di nuovi interventi dello stesso Vincino e di altre personalità che reclamano il diritto di Scaglia a presentarsi alla piena libertà, in attesa i poter dimostrare la sua piena innocenza davanti al giudice. Ecco il testo della lettera della signora Scaglia.
Caro direttore,
forse lo studio del cinese, che ormai pratica con assiduità, esercita alla pazienza. Oppure, com’è più probabile, Silvio Scaglia, cioè mio marito, di fronte a questa assurdità si è salvato grazie al suo profondo senso del dovere. Ovvero, la sua mentalità da ingegnere lo porta ad obbedire ai comandi dell’autorità perché ci sarà pure un motivo dietro certe imposizioni. Fatto sta che mio marito, agli arresti domiciliari dal 17 maggio scorso nella nostra casa in quel di Antagnod, val d’Ayas, interpreta alla lettera le disposizioni impartite dal gip: divieto assoluto di comunicare con il mondo esterno, con l’eccezione della sottoscritta.
Guai ad affacciarsi al balcone o respirare all’aria aperta: la sagoma delle montagne, bellissime, resta al di là del vetro. Poco più di un miraggio. Anzi, un simbolo di quella libertà che gli è stata sottratta, ingiustamente. Non mi è facile spiegare se e come sia cambiato Silvio dopo questi 160, terribili giorni. L’ostinazione ed il senso del dovere sono quelli di un tempo. Compreso il rispetto della giustizia, sia quella con la G maiuscola che quella, ben più misera, che la nostra famiglia ha sperimentato dallo scorso febbraio. E che mi ha profondamente delusa, anche dal punto di vista umano. E’ grottesco che si parli, a proposito del nostro codice, di presunzione di innocenza.
Mio marito è innocente e lo dimostrerà nelle sedi opportune. Nel caso nostro, al di là delle contestazioni di diritto, quel che mi ha ferito è stata la totale assenza di qualsiasi forma di rispetto nei suoi confronti. Anzi, il susseguirsi di piccole o grosse prevaricazioni e di promesse mai mantenute, quasi che si voglia far pagare a Silvio la decisione di mettersi a disposizione della giustizia senza alcuna condizione, facendo ritorno in Italia per fare il proprio dovere di cittadino. E’ stata una decisione naturale, presa di comune accordo senza esitazioni. E lui nelle stesse condizioni si comporterebbe di nuovo allo stesso modo, nonostante quel che ha passato. Ma non posso dimenticare che ieri, quando si è sposato mio fratello, Silvio non c’era.
In un certo senso, dunque, è il Silvio di una volta. Ed è la sua prima grande vittoria. Ad aiutarlo, poi, c’è un’indefessa curiosità intellettuale. Il tempo libero forzato gli ha offerto la possibilità di leggere molto, documentarsi e riflettere. Non ha perduto la voglia di esplorare terreni nuovi, alla ricerca di innovazione. Sotto la scorza della disciplina dell’ingegnere, chi lo conosce capisce che qualcosa è cambiato: è più indulgente verso il prossimo, a partire dai suoi manager che in passato hanno provato sulla loro pelle quanto Silvio possa essere esigente verso di sé e gli altri. Ora vedo che lui ha capito l’importanza di aver creato una vera squadra. Chissà, forse questa esperienza, lungi dal fiaccare la sua resistenza ed il suo spirito, lo ha completato come uomo e come imprenditore.
Non vorrei che queste parole servissero a far passare in secondo piano la gravità di quel che stiamo passando. Silvio è privato della sua libertà da cinque, lunghi mesi. Negli ultimi ottanta giorni, passati a fare il giro della propria stanza, gli è stato negato anche il diritto all’ora d’aria. Ed è tutt’altro che certo che possa presentarsi al processo a piede libero per difendersi da accuse che non sono suffragate da prove.
La sua, insomma, è una storia di straordinaria ingiustizia. Al solo pensarci io, che non ho la pazienza di Silvio, fremo dalla rabbia. Poi mi capita di ripensare ad un episodio della settimana scorsa: si era fulminata una lampada alogena, Silvio l’ha cambiata e mi ha dato la vecchia per buttarla in pattumiera. «Che devo fare – ho chiesto – la metto tra gli oggetti da riciclare?». «Io – mi ha detto – quella parola non la voglio sentire più: in casa mia il verbo riciclare è proibito». E ci siamo fatti una bella risata liberatoria. In attesa che torni il tempo della giustizia.
Monica Aschei Scaglia