Archivio di settembre 2010
Vivere a Londra? Un grave indizio. Così ha sostenuto il gip.
Cronaca di una inchiesta con tanti pregiudizi. E paradossali indizi
Vivere a Londra può costituire un “grave indizio” di colpevolezza? A quanto pare sì, se ci si chiama Silvio Scaglia e si finisce sotto la lente del gip Aldo Morgigni (in seguito “estromesso” dal ruolo con il rientro del giudice naturale Paolicelli), il quale nel ravvisare i “giustificati motivi” per tenerlo in carcere dopo il suo immediato rientro dall’estero, ha utilizzato come pezza d’appoggio anche la motivazione della residenza inglese del fondatore di Fastweb.
Si legge, infatti, nelle motivazioni per la convalida dell’ordinanza di custodia cautelare che: “Lo Scaglia è residente a Londra (UK) dove hanno sede alcune delle società utilizzate per la triangolazione nonché i soggetti di nazionalità britannica impiegati come “prestanome”. L’argomento, in sé, è ineccepibile. Ma da questo a dedurre che esista un nesso tra la residenza di Scaglia nella capitale del Regno Unito e il fatto che gli autori della truffa abbiano scelto di far “partire” l’operazione truffaldina da Londra ce ne corre. Anche perché le date non corrispondono.
Dati alla mano, Silvio Scaglia si trasferisce a Londra l’8 febbraio del 2007, come dimostra l’iscrizione all’A.I.R.E., ovvero il Registro dei Residenti Italiani all’Estero. Ben dopo l’esaurimento degli effetti della “truffa carosello”, a giudicare dalle risultanze dell’inchiesta. Non si è trattato, si badi bene, di un trasferimento “fittizio”, motivato da ragioni fiscali. Bensì di un trasferimento effettivo della famiglia Scaglia, motivato dalla volontà di seguire da vicino gli studi delle figlie dell’ingegnere, alla vigilia del loro percorso universitario. In quei mesi, del resto, entrava nel vivo l’operazione di cessione di Fastweb a Swisscom, resa pubblica il 12 marzo con l’annuncio dell’OPA della società svizzera. E Scaglia già aveva in cantiere nuove tappe della sua esplorazione professionale nei nuovi media, a partire da Babelgum, nella convinzione che Londra fosse la piattaforma ideale per il varo di iniziative multimediale di portata almeno europea, se non globale, ovvero un “hub” privilegiato per dare il via a nuove strategie di business nel settore.
Considerazioni che poco contano agli occhi del gip: a suo avviso Londra non è un centro finanziario di dimensioni internazionali, ma un porto/aeroporto di dubbia reputazione.
Scaglia, l’avventura cinese. E i “forti sospetti” del Gip.
Cronaca di un’inchiesta fatta di labili indizi (e molti pregiudizi)
In più di un’occasione, in questi mesi, si è parlato dei “gravi indizi” addotti, fin dopo l’interrogatorio del 2 marzo scorso, dal gip Aldo Morgigni per giustificare il regime di custodia cautelare per Silvio Scaglia. Da oggi, sulla base degli atti dell’inchiesta (compreso l’interrogatorio del 12 aprile, l’unico finora reso dall’ex presidente di Fastweb ai pm) proviamo ad affrontare la natura dei gravi indizi. A partire dal più esotico.
Già, nelle motivazioni con cui il Gip respinse la richiesta di libertà provvisoria di Scaglia (fatte poi proprie dal Tribunale della libertà) spicca il fatto che “Lo Scaglia ha dichiarato di essere proprietario del 51% delle quote o azioni della Sms Finance, società lussemburghese amministrata dal socio (al 49%) Wang Norman, residente in Taiwan”.
“Detta società – si legge nelle motivazioni – sarebbe impegnata, asseritamente, nell’acquisto di diritti d’autore di opere musicali cinesi ed avrebbe un conto corrente in Hong Kong, città nella quale lo Scaglia si sarebbe recato per periodi brevissimi (due o tre giorni) senza che risulti alcuna attività commerciale compiuta. Su tale conto… sarebbero state compiute operazioni fino ad un mese prima dell’arresto”. Di qui a sospettare che “gli indizi a carico dello Scaglia siano rafforzati” il passo è breve: “il suddetto, residente a Londra, da dove “partiva” l’operazione, disponeva di almeno un conto corrente ad Hong Kong, dove terminava l’operazione di riciclaggio”. Insomma, un imprenditore che elegge come residenza Londra ed intende operare in Cina, è comunque sospetto.
Scaglia: Scusi, Dottore, ma lei conosce la Emi?
Di fronte a questa lettura dei fatti, già nell’interrogatorio del 12 aprile scorso, Scaglia ha voluto correggere la trascrizione dell’interrogatorio dal quale risultava che “l’amministratore di Sms fosse un certo Norman Chang, amministratore in realtà di Gold Typhoon”. “Gold Typhoon – precisa poi l’ingegner Scaglia – è una primaria società di musica in Cina, la seconda per dimensione. Prima era la Emi China, Hong Kong, Taiwan comprata da Norman Chang che era il manager di Emi in Asia. Noi abbiamo rilevato il 51 per cento da Norman Chang proprio all’inizio del 2010”. Perciò ”essendo Golden Typhoon una società di notevoli dimensioni e con presenza ad Hong Kong, Pechino, Taiwan, Shangai, ha sicuramente diversi conti in Cina”. Quindi, interviene il pm, la partecipazione del 51 per cento riguarda la controllata e non la controllante: “Esatto. E Norman Chang non è amministratore di Sms Finance (controllata al 100 per cento da Scaglia e dalla moglie Monica, ndr) ma di Golden Typhoon”.
Parla il manager del “Tifone d’oro”: Scaglia, innovatore anche in Cina
Proviamo ad inquadrare il “Tifone d’oro” nella cornice del mercato musicale più promettente del pianeta, con l’ausilio dei manager della società acquisita da Scaglia con l’obiettivo di acquisire il controllo di contenuti da distribuire sia in Cina che altrove.
Qual è la dimensione del mercato della musica in Cina? E qual è stata la crescita degli ultimi anni?
Il mercato tradizionale, quello di cd ed album, è in costante, seppur modesto, calo a causa della concorrenza delle copie pirata. Al contrario, il mercato della musica “non tradizionale”, soprattutto con i media digitali (mobile o streaming sulla rete) è in crescita esponenziale: tra il 40 ed il 70 per cento ogni anno, tra il 2004 ed il 2008.
Come si colloca Golden Typhoon rispetto alla concorrenza?
È una delle società leader: attualmente è al quarto posto nella classifica delle vendite di album nella Grande Cina (che comprende anche Taiwan ed Hong Kong). Ma occupa la seconda posizione nelle vendite digitali ed è leader nella gestione degli artisti, compreso il licensing e i concerti.
È un plus o un limite la presenza di un grande azionista occidentale come Silvio Scaglia?
La combinazione tra azionisti locali ed internazionali è senz’altro un grosso vantaggio. Primo, rende più facile il contatto con artisti occidentali in vista di concerti sempre più apprezzati dal pubblico locale. Secondo, è un trampolino per la diffusione dell’opera degli artisti cinesi nel resto del mondo, dove ci sono forti comunità di lingua cinese. La nostra strategia attuale punta in particolare allo sviluppo dell’area eventi”.
Può dare una misura delle vendite per canale di distribuzione?
Possiamo distinguere 5 aree. La gestione dei concerti rappresenta il 29% del nostro fatturato contro il 20 delle vendite digitali. Seguono le vendite di dischi e cd, con il 19% e subito dopo, con il 18%, gli introiti da concerto. Infine, il licensing vale il 12 per cento dell’attività. Va rilevato che, ormai da diversi anni, il trend di crescita per suonerie, musica diffusa via smartphone o comunque in forma digitale, cresce nell’ordine del 50 per cento annuo.
Golden Typhoon è un competitor tradizionale. Oppure, com’è sempre accaduto nelle imprese di Silvio Scaglia, ci sono innovazioni di prodotto?
È senz’altro la prima società che, in Cina, gestisce a 360 gradi l’intera attività artistica di un cantante. Ed è stata senz’altro la più rapida ed aggressiva a concentrare le sue attenzioni dalle vendite tradizionali, via punti vendita fisici, al resto del business: digitale, licensing, concerti dal vivo.
Chissà se anche questo è fonte di “forti sospetti”. Sicuramente nessuno si è degnato di verificare direttamente con il signor Norman Chang lo stato delle cose.
Processo Telecom Sparkle – Fastweb: ultimi sviluppi
Mentre il cronometro della “custodia cautelare” per Silvio Scaglia ed altri indagati è ormai prossimo al traguardo dei 200 giorni, dalla “cittadella” giudiziaria della capitale giungono le ultime notizie relative agli sviluppi giudiziari, in vista della prima udienza del processo che si terrà il 2 novembre:
1) Alcuni avvocati hanno depositato quest’oggi la richiesta di poter visionare il materiale cartaceo relativo agli interrogatori condotti dai pubblici ministeri. In sostanza, di aver accesso non soltanto al “formato elettronico” di tali interrogatori ma direttamente alle “fono-registrazioni” e ad altri materiali relativi alle rogatorie.
2) Entro le prossime 48 ore, precisamente dal 15 settembre, cominciano a decorrere i termini previsti dal codice di procedura penale (15 giorni) per gli imputati che decideranno di richiedere il patteggiamento o il rito abbreviato.
3) Dal 16 settembre è atteso il rientro al lavoro del gip Maria Luisa Paolicelli, mentre il 27 settembre per numerosi indagati potrebbe essere un giorno importante: il Tribunale del Riesame sarà infatti chiamato a decidere su diverse istanze di libertà richieste dai legali, ma in passato rigettate dal gip Aldo Morgigni.
4) Dai primi di ottobre l’intero fascicolo dell’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb approderà materialmente sulle scrivanie dei giudici della quarta sezione penale del tribunale di Roma, presieduta dal magistrato Bruno Costantini.
Scaglia “estraneo”: la verità viene a galla
La verità, prima o poi, viene sempre a galla: “Affaire Phuncards: Scaglia estraneo” (La Repubblica). Oppure: “Non fu Scaglia ad avviare le operazioni Phuncards” (Il Sole 24 Ore). O ancora: “Focarelli ai pm: mai visto Scaglia” (Mf).
Insomma è una rassegna stampa, quella che si è potuta leggere questa mattina, che comincia a fare chiarezza su alcuni punti decisivi della posizione processuale del fondatore di Fastweb, in vista della prima udienza che si terrà il 2 novembre presso il Tribunale di Roma. Cominciano ad emergere, infatti, dalla lettura degli interrogatori resi disponibili, quell’insieme di elementi (vedi documenti e mail) e di testimonianze che mettono in luce le verità (del resto sempre sostenute da Scaglia, fin dal 2007) che nei mesi scorsi erano invece finite nel “tritacarne” giudiziario.
Come riporta Repubblica, citando l’interrogatorio di Scaglia, ripreso anche in un comunicato dei legali difensori: “Nella fase del 2001-2003 mi occupavo di strategie generali. Non ho mai trattato personalmente di contratti commerciali”. Altrettanto il Sole 24 Ore sottolinea che: “Scaglia riteneva, come tutti in azienda, che l’operazione fosse lecita, ignorando che fosse un traffico fittizio. L’operazione fu bloccata dal Cda e dal comitato di controllo interno al fine di effettuare verifiche, in quanto produceva un flusso di cassa molto elevato, e riprese a settembre 2003 dopo gli opportuni approfondimenti condotti dal comitato di controllo”.
In proposito (e in particolare) è agli atti del processo una mail “dispositiva” di Emanuele Angelidis (in quella estate nominato amministratore delegato), che blocca l’attività delle Phuncards dopo le perplessità sollevate in sede di Cda (vedi verbale del 14 luglio 2003), che rimanda ai “necessari approfondimenti”. Approfondimenti che in effetti furono svolti dal Comitato di Internal Audit (presidente Carlo Micheli e manager operativo Paolo Fundarò), in seguito ai quali, come riporta ancora il quotidiano della Confindustria: “Carlo Micheli, che aveva a più riprese espresso perplessità sull’operazione, acconsente alla ripresa del ‘business delle carte prepagate’… anche dopo il parere positivo espresso da Guido Rossi”. Il tutto rinvenibile tramite una ulteriore mail del 30 luglio inviata dallo stesso Micheli e messa agli atti anche questa da Angelidis.
Di più: emerge dai verbali – come riporta fra gli altri il quotidiano Mf – quanto dichiara ai pm Carlo Focarelli: “Scaglia non l’ho mai incontrato in vita mia. Di Fastweb, nello specifico, conobbi, ma proprio di striscio, Emanuele Angelidis (ad nel 2003, anno in cui Phuncards fu attiva), Bruno Zito (ex responsabile grandi aziende di Fastweb) e qualcun altro”. Un elemento, quello degli inesistenti rapporti fra Scaglia e Focarelli, che riprende anche il quotidiano Avvenire, citando vari materiali, laddove si legge, in coda all’articolo: “Scaglia dunque non avrebbe preso alcuna decisione e sarebbe innocente”.
Insomma, eccoli gli elementi di verità e chiarezza, che fanno dire al collegio degli avvocati difensori, prof. Pier Maria Corso e prof. Antonio Fiorella: “Attendiamo fiduciosi il dibattimento in aula per dimostrare la totale innocenza del nostro assistito”.
Focarelli: “Mai conosciuto Silvio Scaglia”
Dai verbali dell’inchiesta una prima importante conferma dell’estraneità del fondatore di Fastweb
Silvio Scaglia? “Mai visto e conosciuto”. Sono parole inequivocabili quelle che Carlo Focarelli pronuncia davanti ai pm che lo interrogano il 24 maggio scorso. Ma non solo. Aggiunge infatti Focarelli: “Costituita la società Globestream, decisi di ringraziare Zito versando sul conto circa tre milioni di euro” che erano “una parte degli utili derivanti dalla fornitura dei contenuti”.
In aggiunta, a precisa domanda dei pm su altri possibili beneficiari di “ringraziamenti”, Focarelli risponde: “Assolutamente nulla, ma così come non c’è stato nulla di nessun tipo di questo genere (versamenti, ndr) con chiunque con Fastweb intesa come tale”.
Come si può constatare, cominciano dunque ad emergere dai verbali degli interrogatori dell’inchiesta, quegli elementi di verità che sono stati nei mesi scorsi sovrastati da “rumors” e congetture. Ben venga la chiarezza, come auspicano nel comunicato che segue i legali di Silvio Scaglia.
Dichiarazioni dei Legali di Silvio Scaglia: “Non fu Scaglia ad avviare l’operazione Phuncards”
Milano, 9 settembre 2010 – In merito a quanto riportato stamane da alcuni organi di informazione, il collegio di difesa dell’ingegner Silvio Scaglia, prof. Pier Maria Corso e prof. Antonio Fiorella, intende ribadire che:
1) Non fu Silvio Scaglia ad avviare l’operazione Phuncards di traffico telefonico: come dichiarato da lui stesso nell’interrogatorio reso ai pm il 12 aprile 2010 “Nella fase 2001/2003 io mi occupavo di strategie generali. Io non ho mai trattato personalmente contratti commerciali”.
2) L’ingegner Silvio Scaglia non ha mai conosciuto Carlo Focarelli, come da questi confermato nel suo interrogatorio del 24 maggio scorso: “Scaglia non l’ho mai incontrato in vita mia. Di Fastweb, nello specifico, conobbi, ma proprio di striscio, Emanuele Angelidis, Bruno Zito e qualcun altro”. Lo stesso Focarelli spiega di aver conosciuto Zito tramite Andrea Conte “che mi spedì da Zito a Milano”.
3) La decisione di riprendere il “business delle carte prepagate” fu presa dopo gli opportuni approfondimenti condotti dal comitato di internal audit presieduto da Carlo Micheli e dopo il parere del professor Guido Rossi. A conferma di ciò nell’e- mail del 30 luglio 2003 dello stesso Micheli si legge: “Per quanto riguarda le attività, non vedo controindicazioni a proseguire durante il mese di agosto in attesa del consiglio mantenendola nei limiti di assoluta ragionevolezza e comunque di marginalità, come indicato dal professor Rossi”.
4) È perciò del tutto destituito di fondamento sostenere che “le decisioni furono prese da lui”.
Attendiamo fiduciosi il dibattimento in aula per dimostrare la totale innocenza del nostro assistito.
Fastweb dà l’addio alla Borsa
Ma continua la sfida della “banda larga” aperta da Scaglia
Il titolo Fastweb veleggia in Borsa attorno a quota 17,90 (+33 per cento rispetto alla vigilia), in linea con il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto lanciata nella mattinata dell’8 settembre dall’azionista di controllo, la svizzera Swisscom. La reazione di Piazza Affari conferma che l’Opa ha ottime possibilità di andare in porto, sancendo così la fine della storia borsistica di una delle società più importanti emerse nella stagione della new economy europea. L’esordio sul listino azionario della società, fondata nel settembre del 1999 per iniziativa di e.Biscom (controllata da Silvio Scaglia, alcuni manager e il finanziere Francesco Micheli) e di Aem Milano, risale infatti al marzo del 2000, quando il titolo debuttò a 160 euro, sull’onda di una formidabile richiesta di mercato.
Da allora, Fastweb, incorporata in e.Biscom nel 2004, è stata per anni sotto la guida di Silvio Scaglia la grande protagonista dell’innovazione tecnologica in Italia, grazie agli investimenti per portare la banda larga ad una porzione consistente della popolazione italiana. Nel 2007 Swisscom ha rilevato l’82,1 per cento del capitale. Nell’occasione, anche Scaglia ha ceduto il 18 per cento ancora in suo possesso, restando però nel consiglio di amministrazione. Nel febbraio del 2010, scoppia l’inchiesta per la “truffa carosello” che ha investito sia Fastweb che Telecom Sparkle. Si tratta degli sviluppi di un’indagine precedente all’ingresso di Swisscom ma di cui il nuovo azionista era perfettamente informato al momento dell’acquisizione.
Il resto è storia recente: per evitare l’ipotesi di commissariamento della società l’amministratore delegato Stefano Parisi, indagato, si sospende dall’incarico affidato, pro tempore, al numero uno svizzero Carsten Schloter. Le indagini non hanno ripercussioni sulla tenuta del business industriale di Fastweb, ma pesano probabilmente sulle sorti del titolo che, da febbraio, ha perduto circa il 30 per cento del valore. Di qui la scelta di Swisscom di procedere all’acquisizione del flottante ed al successivo delisting del titolo. Un buon affare, dato il prezzo. Ma anche la conferma che Swisscom non ritiene che esistano i presupposti per procedere nel breve ad un massiccio piano di investimenti nella banda larga in Italia, come auspicato dal gruppo elvetico ma anche dagli altri competitor italiani, con l’eccezione dell’ex incumbent Telecom Italia, troppo debole sul piano finanziario per guidare un processo di cablatura di dimensioni nazionali ma deciso a proteggere il residuo valore della sua rete in rame.
L’Opa di Swisscom su Fastweb, insomma, è la conferma che il gestore svizzero, nonostante tutto, continua ad avere fiducia nelle prospettive del mercato italiano. Ma è anche il segnale che l’avventura di un’Italia tecnologica lanciata verso il futuro, così come l’aveva concepita Silvio Scaglia, è costretta, per cause di forza maggiore, a segnare il passo.
Ultimi sviluppi
A presiedere il processo sarà il giudice della quarta sezione penale Bruno Costantini
Mentre il cronometro della “custodia cautelare” si avvia inesorabile al conteggio di quota 193 giorni (praticamente sei mesi e mezzo), tra gli indagati e gli avvocati della difesa cresce l’attesa per poter leggere finalmente tutte le carte dell’inchiesta. I “rumors” del Palazzo di giustizia a Roma indicano in giovedì prossimo (9 settembre), la data entro la quale tutti i documenti verranno resi disponibili ai legali difensori.
È questo l’effetto, del resto, della cosiddetta “sospensione feriale”. Di norma infatti i fascicoli avrebbero dovuto essere consegnati già il giorno in cui si è deciso di procedere con il “giudizio immediato”. Ma il periodo di “vacanze” ha prodotto il prolungamento dei termini. Le cancellerie del tribunale sono invece ora di nuovo a regime, e quindi nelle prossime ore questo elemento, che è certamente rilevante ai fini del lavoro di preparazione della difesa, sarà finalmente colmato.
La prima udienza del processo, come è ormai noto, si terrà il 2 novembre e a presiedere il collegio dei giudici sarà il magistrato Bruno Costantini, affiancato da altri due membri togati della quarta sezione penale del Tribunale di Roma. Nel frattempo non si registra ancora il rientro del giudice Maria Luisa Paolicelli, ad oggi ancora sostituita dal gip feriale Caivano.
Panorama: “Carcerazione o punizione?”
Tutte le anomalie dell’inchiesta Scaglia
Quanto può durare in Italia la carcerazione preventiva? E quanto senza che si trasformi in uno strumento di tortura? Se lo chiede il vicedirettore di Panorama Maurizio Tortorella, dopo aver fatto il bilancio dei sei mesi di custodia cautelare inflitta a Silvio Scaglia, rientrato in Italia per mettersi a disposizione degli inquirenti il 25 febbraio per chiarire la sua posizione in merito all’accusa di associazione per delinquere finalizzata a reati fiscali. Da allora Silvio Scaglia è stato prima detenuto nel carcere di Rebibbia poi, dal 17 maggio scorso, si trova agli arresti domiciliari in Val d’Ayas, “dove – scrive Tortorella – rischia di aspettare ancora un anno prima della libertà”. In ogni caso, continua l’articolo, “Scaglia resterà quasi sicuramente agli arresti anche dopo il 2 novembre, inizio del processo” salvo l’ipotesi (assai improbabile) che il fondatore di Fastweb scelga il rito abbreviato, cosa che gli è consentita dopo che il gip, su richiesta dei pm, ha aderito al giudizio immediato.
Eppure, si legge su Panorama, il limite per l’associazione per delinquere è di sei mesi, scaduti il 25 agosto. Il ricorso al giudizio immediato invece fa ripartire il conteggio fino ad un nuovo massimo di 365 giorni. Grazie all’articolo 453/1 bis del Codice di procedura penale si può saltare l’udienza preliminare che deve stabilire se l’imputato sia da rinviare a giudizio quando “la prova appare evidente” e/o, secondo una sentenza della Corte di Cassazione, anche “quando la persona indagata si trova in stato di custodia cautelare”. Nel caso di Scaglia, infatti, è stato notificato perché in custodia, perché di “prove evidenti” non si parla.
Per gli avvocati di Scaglia, Pier Maria Corso e Antonio Fiorella, e per i legali di altri imputati (Mario Rossetti, Stefano Mazzitelli), che perplessi segnalano “tante anomalie”, la custodia non è giustificata. La sensazione, insomma, è che, lungi dal rispondere alle esigenze delle indagini, la “cella infinita” di Scaglia abbia il sapore della punizione preventiva.
L’inchiesta vista da…
L’INCHIESTA VISTA DA FASTWEB/1
FIBRA E VOGLIA D‘OPA PER SWISSCOM
“La nostra intenzione è chiara: far tornare Stefano Parisi il prima possibile”. A più di sei mesi dall’avvio dell’inchiesta sulle frodi carosello (e dalle misure cautelari a carico dell’ex presidente Silvio Scaglia), i vertici di Swisscom non hanno cambiato idea: l’operato dei vertici della società prima della cessione al gruppo elvetico non offre adito a dubbi di natura penale. Perciò Carsten Schloter, patron dell’azionista di maggioranza di Fastweb, ribadisce la fiducia nei confronti di Parisi, indagato nell’inchiesta sulle frodi carosello che, come sostiene lo stesso Scaglia, altro non è che “una truffa ben congegnata a danno mio e di Fastweb”.
L’inchiesta, però, ha avuto le sue conseguenze. Innanzitutto ha rallentato il varo del progetto congiunto con Wind e Vodafone (ma con la forte ostilità di Telecom Italia) alla cui guida era destinato lo stesso Parisi. Inoltre, dal 2 febbraio scorso, quando venne data notizia dei mandati contro i manager di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle, i titoli della società hanno perduto il 30 per cento circa del loro valore, sebbene sul piano dei risultati economici e del business, l’azienda non abbia subito danni.
Per questo motivo, la speculazione scommette sul varo di un’Opa da parte del socio di controllo per acquistare il flottante (pari al 18%) ad un prezzo conveniente. Scholoter, al proposito, si è limitato a dire che il gruppo di Zurigo “ci sta pensando”: a questo prezzo, infatti, l’acquisto è un affare. Ma i soldi necessari potrebbero essere necessari per i progetti industriali sulla banda larga, sulle cui prospettive il gruppo elvetico (a differenza di Telecom Italia) punta senza riserve.
L’INCHIESTA VISTA DA TELECOM/2
UNA MULTA CHIAMA L’ALTRA
Franco Bernabé pensava di aver risparmiato. Nella semestrale di Telecom Italia, infatti, si era avuta notizia che la società aveva versato 418 milioni per chiudere il contenzioso con il Fisco sulle imposte indirette per l’evasione fiscale contestata alla controlla Telecom Italia Sparkle, godendo così di un sconto milionario sulla sanzione e del dissequestro, disposto dalla Procura di Roma a fine agosto, di 288 milioni legati all’inchiesta. Ma, secondo quanto riferito dal quotidiano Mf, per la società guidata da Bernabé i problemi con il fisco non sono affatto finiti: la Guardia di Finanza ha verbalizzato una multa di altri 429 milioni di oneri diretti non pagati sempre come conseguenza del traffico fantasma. Oltre all’indetraibilità dell’Iva relativa alle prestazioni inesistenti, la GdF ha contestato a Tis anche l’indeducibilità ai fini Ires ed Irap dei costi relativi a quelle stesse operazioni per l’importo di 429 milioni, senza voler conteggiare eventuali sanzioni aggiuntive e gli interessi.