Truffa carosello 2: per Scaglia non c’è il movente
Perché Scaglia non può averci guadagnato nulla
Silvio Scaglia non ha venduto, a differenza di altri azionisti rilevanti, azioni di Fastweb fino al gennaio del 2007 quando, attraverso la SMS Finance, cedette il 6,3% a Unicredit ad un valore unitario di 44,4 euro per titolo. L’operazione venne perfezionata prima che fosse resa nota l’esistenza della prima indagine della Procura di Roma (marzo 2007) che si concluse con il pieno proscioglimento dell’ingegner Scaglia dalle accuse di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale.
La cessione a Swisscom è avvenuta nell’aprile del 2007, in epoca successiva alla notizia dell’apertura dell’inchiesta di cui la società compratrice era perfettamente informata. Anche per queste ragioni la cessione è stata preceduta da un’accuratissima due diligence, al termine della quale Swisscom ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto al valore unitario di 47 euro, cui ha aderito la stessa famiglia Scaglia attraverso la SMS, cedendo il pacchetto residuo per un valore complessivo di 699 milioni.
In sostanza Swisscom, pur tenendo conto dell’indagine e dei rischi ad essa connessi, ha offerto di più del valore pattuito prima della notizia dell’indagine. E ciò indirettamente prova che:
a) le operazioni “Phuncard” e “Traffico telefonico” non hanno generato, in corso d’opera, alcuna valorizzazione del titolo;
b) in ogni caso l’ingegner Scaglia, che non ha venduto azioni nel periodo contestato, non ha tratto alcun beneficio, nemmeno teorico, dai presunti vantaggi economici dell’operazione;
c) al contrario, i rischi connessi all’indagine si sono tradotti in una riduzione del prezzo di acquisto offerto da Swisscom.