Lettera43: “Scaglia, difesa a fumetti”
Per il quotidiano online, diretto da Paolo Madron, l’ebook sul fondatore di Fastweb è ciò che “ogni imputato vorrebbe sventolare sul web e, perché no, far circolare pure in tribunale”
“Addio ai vecchi sistemi di difesa, arringhe chilometriche e squadre di avvocati a caccia di cavilli”. Inizia così l’articolo che Adelaide Pierucci di Lettera43, il nuovo quotidiano online diretto da Paolo Madron, dedica all’ebook sul “caso Scaglia”. È un libretto online “che ogni imputato vorrebbe sventolare sul web e, perché no, far circolare pure in tribunale. Semplice, diretto, colorato, poche parole, quelle giuste. Ventotto pagine più allettanti di un fumetto”. Continua Pierucci: “Naturalmente dell’ebook, scritto ad hoc sul web dal 23 novembre data della prima udienza del processo, non è l’imputato che se ne occupa in prima persona ma un blog che porta il suo nome”. Per Vincino, l’autore delle vignette, “è stata una scommessa, a quanto pare vinta. Ha chiuso il libretto con uno schizzo che lo raffigura con una grossa penna sulla spalla e una targa «disegnatore a difesa». Le sue battute, a torto o a ragione, strappano risate”.
Ma intanto Scaglia – si legge ancora – “resta dentro (prima in carcere e poi ai domiciliari con possibilità di affacciarsi al balcone della sua casa in Val d’Aosta) dopo 276 giorni di carcere preventivo: il blog conta giorni, ore, minuti e secondi”. Il tema della reiterazione del reato (uno dei tre cardini della custodia cautelare in carcere, viene così liquidato: «Siccome prove contro Scaglia ancora non ne hanno… Hanno il terrore che le trovi prima Scaglia che loro». “Per i fan di Scaglia – conclude Pierucci – invece è tutto più semplice: l’accusa si regge tutta sul fatto che «Silvio Scaglia non poteva non sapere». Ma, a parere loro, «lui non sapeva nulla e per davvero”. Proprio così.
Parlando con svariate persone dell’ebook e in generale della vicenda di Scaglia, la reazione il più delle volte è “Beh.. ma se i magistrati l’hanno messo dentro vuol dire che qualcosa ha fatto..”.
Ora, questa è esattamente l’autorevolezza a priori che la categoria ha acquisito nel corso di degli ultimi 20 anni: per il fatto che un magistrato, per il fatto stesso che è un magistrato inquirente, promuove un’azione contro qualcuno, rende questo qualcuno colpevole di qualcosa. A prescindere, come direbbe Totò. E’ qualcosa di spaventoso e di alieno al diritto che mi fa rabbrividire, e che di fatto permette ai togaparty che il loro delirio di onnipotenza abbia un riscontro, senza che essi in qualche modo possano essere “puniti” per i loro errori. Non mi risulta che l’infallibilità dei magistrati inquirenti sia dogma (anzi!), ciononostante risultano essere più intoccabili del Papa; tutto questo grazie all’uso strumentale dei media (più volte esplicitamente dichiarato dagli stessi magistrati), che negli anni ha convinto la gente che quando questi signori si muovono lo fanno per giusta causa. Non è vero, ne abbiamo migliaia di esempi che vengono comunque taciuti, perché senza questo tipo di autorità a priori, i togaparty dovrebbero ricominciare a sudare per guadagnarsi la pagnotta. Invece è molto più semplice così: accuso, ergo sum.