Archivio di novembre 2010

Dov’è finito Silvio Scaglia?


L’ingegnere diventa un simbolo della malagiustizia



“Sono troppe le storie di imprenditori che vengono sbattuti sui giornali per un paio di giorni e poi finiscono nell’oblio. Nessuno ad esempio riesce a capire se Silvio Scaglia, il manager di Fastweb, sia ancora agli arresti domiciliari nella sua villa in Val d’Aosta che guarda il Monte Bianco”. Scriveva così ieri Dagospia e, oggi, Claudio Borghi sul Giornale – a proposito del sequestro disposto dalla Procura di Milano di un’area contigua agli spazi previsti per l’Expo 2015 per il sospetto di inquinamento – scrive: “Può essere che questa volta la Procura abbia ragione e i danni ci siano, ma è un fatto che questo potere di invasività economica dell’autorità giudiziaria legato ad una mancanza di responsabilità per il suo operato spaventa molti imprenditori che pur vorrebbero investire in Italia. Si pensi per esempio alla carcerazione di Silvio Scaglia ed addirittura al ventilato commissariamento di Fastweb: quando (e se) si arriverà a sentenza per quei fatti? Chi aveva ragione?”.



Insomma, il caso di Silvio Scaglia è ormai diventato un esempio di scuola del mal funzionamento della giustizia italiana nelle sue forme peggiori. A partire dall’uso improprio della carcerazione preventiva usata come pena preventiva da infliggere senza processo. Una modalità sempre più comune, usata in questo senso anche, in un dibattito televisivo, da personalità al di sopra di ogni sospetto, come il direttore de Il Riformista Antonio Polito. Un esempio dell’inefficienza italica. Un po’ come la Salerno-Reggio Calabria o le piene del Seveso che allagano mezza Milano ad ogni acquazzone senza che la macchina pubblica sappia trovare un rimedio.


Non è una consolazione per il cittadino privato della sua libertà e dei suoi diritti, come l’ingegner Silvio Scaglia. Soprattutto se si ha la sensazione, nonostante i nostri sforzi, che sulle ingiustizie perpetrate nei confronti di Scaglia che si è consegnato spontaneamente alla giustizia senza indugi, sia calata una cortina di indifferenza. O, peggio, di silenzio. Per evitare che si consumi questo crimine nel crimine, il Blog di Silvio Scaglia ha programmato un’iniziativa online in vista dell’apertura del processo, il prossimo 23 novembre. Con un obiettivo: informare perché l’ignoranza, in questo caso, è complice della malagiustizia.


Vincino dice la sua (da Il Foglio dell’11 novembre)


 

Vincino: i tempi della giustizia italiana


I tempi della giustizia italiana non sono certo quelli degli ingegneri innovativi…







Concluso il passaggio di consegne fra la Quarta e la Prima sezione penale del Tribunale di Roma. Il 23 novembre la prima udienza



Ci è voluta un’intera settimana (esattamente dal 2 novembre scorso ad oggi), ma adesso il percorso “burocratico” è concluso: il processo Fastweb – Telecom Sparkle è finalmente approdato al suo giudice naturale. Nelle scorse ore, infatti, il cosiddetto “fascicolo del dibattimento” (altrimenti chiamato semplicemente “fascicolo”) è passato – in via definitiva – dalle scrivanie della Quarta a quelle della Prima sezione penale del Tribunale di Roma, presieduta dal giudice Giuseppe Mezzofiore che nel corso del processo sarà affiancato dai due giudici a latere, la dottoressa Alessandra Cuppone e la dottoressa Eleonora Santolini.


È giunta così al termine la vicenda dai risvolti un po’ kafkiani del “mero errore materiale” – per ammissione dello stesso Tribunale ordinario – per il quale si era fatta confusione nell’abbinamento PM-giudice, stante i criteri tabellari di ripartizione dei processi. Un errore che aveva costretto il giudice Costantini (Quarta sezione) a dare corso a un’udienza formale ma necessaria, per comunicare a tutti i legali e agli imputati l’obbligo dello spostamento.


Con il deposito del fascicolo si è pertanto perfezionato il passaggio di consegne sotto ogni profilo, compreso quella della libertà personale. In altre parole, esce di scena il gip e i legali che intenderanno promuovere istanze relative alla condizione del proprio assistito potranno rivolgersi direttamente al collegio dei giudici.


La prima udienza resta confermata al 23 novembre.


Quando i domiciliari sono un vincolo alla libertà di difesa



Edward Hopper, Rooms by the Sea, 1951, olio su tela.



Esiste anche il reato di evasione sul terrazzo. La sesta Sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 30983, 30/07/2007) ha infatti accolto il ricorso della Procura Generale presso la Corte Territoriale contro la sentenza della Corte d’Appello di Bari che aveva assolto una persona, agli arresti domiciliari, già accusato di “evasione impropria” perché stazionava sul terrazzo di casa. Per abitazione individuata come luogo dove rimanere agli arresti, secondo la Suprema Corte, deve intendersi “soltanto il luogo in cui conduce la vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (quali cortili, giardini, terrazze, aree condominiali in genere) che non siano parte integrante o pertinenza esclusiva dell’abitazione medesima”. Al contrario la Corte d’Assise di Bari non aveva ravvisato “un apprezzabile distacco” del terrazzo dal luogo degli arresti né l’elemento psicologico “della volontà di sottrarsi all’eventuale controllo della polizia giudiziaria finalità che costituisce il nucleo essenziale della misura alternativa”. Al contrario, replica la Cassazione, in questo caso  il reato è punito a titolo di “dolo generico”: è sufficiente la consapevolezza di trovarsi in stato di arresto e la volontà di allontanarsi, sia pure per breve tempo e non in via definitiva, ove risiedere.


Dura lex, sed lex, insomma. Anche se i margini di interpretazione, nei fatti, possono rivelarsi elastici o rigidi. Sempre la sesta sezione della Cassazione (sentenza n.2735, 21/01/2009)  ha dato un’altra interpretazione “rigorista” degli arresti domiciliari: incorre nel reato di evasione “il soggetto che si allontana dal suo domicilio per partecipare ad una funzione religiosa”. Il caso riguarda un testimone di Geova autorizzato a partecipare, con scorta, ad una funzione religiosa ogni prima domenica del mese. L’uomo, dopo aver sollecitato invano il servizio di scorta anche la seconda domenica del mese, si è recato presso una Sala del Regno per assistere alla funzione, facendo ritorno nella propria abitazione alla fine della cerimonia. In questo modo il testimone di Geova ha consapevolmente violato il regime di arresti domiciliari.


Ma la Cassazione penale (sentenza n.16673, 30/04/2010) sa essere comprensiva: non è reato allontanarsi dal domicilio “qualora la convivenza con la propria famiglia ivi dimorante” sia divenuta particolarmente difficile.


La casistica può considerare all’infinito. Ma resta il fatto che l’istituto degli arresti domiciliari, secondo quanto previsto dal Codice penale, rientra nell’ambito di quei provvedimenti che il giudice può irrogare al soggetto nel corso del processo laddove vi siano esigenze di tutela della collettività che ne impongano l’adozione: inquinamento delle prove, pericolo di fuga o di reiterazione del reato. Quando, come nel caso dell’ingegner Silvio Scaglia queste esigenze non sussistono, gli arresti domiciliari si traducono nei fatti in una grave limitazione dei diritti della difesa.


A che serve la rigida clausura in Val d’Ayas interrotta dalle trasferte romane “con i propri mezzi” per partecipare al processo? Il principale risultato consiste nella limitazione della libertà di difesa, a partire dai rapporti con il collegio di difesa e dalla raccolta degli elementi da presentare in giudizio.


È davvero una “rare gag” (o “singolare bavaglio”) come ha commentato il Financial Times a proposito del trattamento riservato all’imprenditore Scaglia, cittadino che si è presentato spontaneamente ai propri giudici.


Vincino a colori: la divisione delle carriere





Legge 231: la parola a Palazzo Chigi


Il testo elaborato dai tecnici del Ministero della Giustizia relativo alla riforma sulla responsabilità penale delle aziende è approdato agli uffici giuridici della Presidenza del Consiglio




Si aprono nuovi spiragli per giungere al traguardo della riforma della legge 231.


Secondo quanto riporta infatti il quotidiano MF-Milano Finanza, gli uffici giuridici alle dipendenze del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, avrebbero ricevuto un testo elaborato dall’ufficio Affari Giuridici del Ministero della Giustizia che mette nero su bianco quelle che dovrebbero essere le linee guida della riforma.




Il passaggio – scrive MF-Milano Finanza – “rappresenta quindi un piccolo ma importante passo avanti sulla strada della completa riforma delle norme sulla responsabilità penale delle aziende, soprattutto dopo l’avvio dell’inchiesta su Fastweb-Telecom Italia Sparkle della primavera scorsa (le aziende sono state costrette a versare al fisco una fidejussione da mezzo miliardo di euro per evitare il commissariamento) e la batosta che ha colpito martedì scorso il Banco Popolare, cui il gup di Milano ha confiscato 64 milioni per gli illeciti compiuti dai vertici di Italease”.


La parola passa dunque ora a Palazzo Chigi affinché – prosegue l’articolo “si chiuda il cerchio per portare a compimento una revisione sempre più richiesta da banche e aziende”. Una riforma cui “è fortemente interessata anche l’Abi che sta seguendo da vicino l’evolversi della situazione”.


Il testo spedito dai tecnici di via Arenula alla Presidenza del Consiglio conterrebbe i due punti fondamentali su cui ruota il progetto di riforma: 1) l’inversione dell’onere della prova per le aziende i cui vertici sono stati coinvolti in una serie di reati finanziari; 2) la costituzione di un nuovo modello di certificazione di controlli interni, da affidare a società autorizzate, fino alla revisione di alcune misure “interdittive” nei confronti delle società.


Vincino dice la sua (da Il Foglio del 5 novembre)







Reati economici: la proposta del PM Ielo


Il magistrato della Procura di Roma al convegno Confindustria di Capri lancia l’idea di concentrare nelle sedi di corte d’appello le procure e i tribunali distrettuali che si occupano di illeciti finanziari. Ma intanto la “nuova” 231 è ferma al palo



“Perché non realizzare procure e tribunali distrettuali che si occupino di reati economici, concentrandoli nelle 25 sedi di corte d’appello, esattamente come oggi accade con le Direzioni distrettuali antimafia?”. Se lo è chiesto, nel corso del recente convegno della Confidustria a Capri un ospite d’eccezione: il PM Paolo Ielo della Procura di Roma.


“Perché una cosa – ha aggiunto Ielo – è occuparsi di reati economici e finanziari un paio di volte l’anno, altro è dedicarsi a tempo pieno a questi temi. Nel nostro mestiere l’autoformazione è fondamentale, e la si ottiene solo con la continuità”.


Quanto alle risorse umane necessarie per realizzare queste sezioni speciali, secondo Ielo, si potrebbero recuperare tagliando 65 dei 165 tribunali italiani: ovvero quelli che operano con meno di 15 giudici, i quali potrebbero essere poi accorpati in altre sedi. Una proposta sensata, che merita di essere seguita anche perché arriva dalla stessa procura di Roma che ha indagato sulle frodi carosello. Fu lo stesso procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo a riconoscere, nell’intervista concessa al quotidiano Libero il 15 maggio scorso, che in materia di reati di questo tipo, “non c’è quel background che invece abbiamo per combattere il terrorismo e la mafia”.


Che cosa implica dunque questo “minor background”? Nel caso della truffa ai danni dell’ingegner Scaglia e di Fastweb il risultato è che la vittima, secondo una presunzione basata sul principio che il capo azienda “non poteva non sapere” diventa immediatamente complice, anzi il “perfetto” coautore di un raggiro ai danni dello Stato (raggiro giustamente perseguito) da cui, però, non ha tratto alcun profitto. Vorrà pur dire qualcosa? Ben venga perciò, come chiede anche un rappresentante della Procura della Repubblica, una formazione adeguata per contrastare i comportamenti criminosi.


Nel frattempo, il testo di riforma della 231, ovvero della legge sulla responsabilità penale delle aziende, la cui revisione dovrebbe avere come elementi fondanti l’inversione dell’onere della prova (toccherebbe cioè al magistrato inquirente dimostrare che il modello di controllo interno non ha funzionato) e la creazione di “modelli” di controllo standard certificati da soggetti autorizzati, è fermo al Dipartimento affari legislativi del Ministero della Giustizia. E non si sa quando farà passi avanti. Insomma è ferma al palo.


Il Financial Times su Scaglia


Quel bavaglio è una tragica burla




In inglese il termine “gag” sta indicare sia una “facezia”, ovvero uno scherzo da non prender troppo sul serio, sia il “bavaglio” che si mette davanti alla bocca. Sfruttando il doppio senso il Financial Times, a proposito del rigido divieto di comunicazione nei confronti dell’esterno (con l’eccezione dei famigliari e dei difensori oltre che di due collaboratori) imposto dai giudici a Silvio Scaglia, parla di “rare gag”: si tratta senz’altro di un bavaglio di eccezionale severità, che non trova ragion d’essere giuridica, ma anche di una sorta di “scherzo” inflitto allo Stato di diritto.



L’occasione per questa riflessione è stata la cronaca della “falsa partenza” del processo romano che coinvolge l’ex presidente di Fastweb Silvio Scaglia e l’ex direttore finanziario Mario Rossetti più altri ramage telefonici coinvolti nella frode carosello ordita da un’organizzazione criminale.


Il processo, come è noto, è stato dirottato “per mero errore materiale” dalla Quarta alla Prima sezione del Tribunale dove comincerà il prossimo 23 novembre.  Ma la giornata romana, ricorda il quotidiano britannico, è stata la prima occasione per rivedere in pubblico Silvio Scaglia, dopo quasi tre mesi passato nel carcere di Rebibbia e il rigido regime di arresti domiciliari in val d’Aosta che si protrae dal 17 maggio. Un regime ormai del tutto incomprensibile alla luce delle esigenze processuali.



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Perché un blog?

“Questo Blog è dedicato alla figura di Silvio Scaglia, imprenditore ed innovatore, protagonista di start up (Omnitel, Fastweb, Babelgum) oggi impegnato in nuove sfide come il rilancio de La Perla, marchio storico del made in Italy. E' un luogo di informazione e di dibattito per tutti gli stakeholders (dipendenti, collaboratori, clienti) ma anche comuni cittadini che hanno seguito le vicende in cui Scaglia, innocente, si è trovato coinvolto fino alla piena assoluzione da parte della giustizia italiana.” - Stefania Valenti, Chief Executive Officer Elite World