Silvio Scaglia Story (1): il giovane ingegnere
Da “I signori di Internet. La via italiana alla New Economy” di Giancarlo Mazzuca (Baldini & Castoldi)
La passione di Scaglia per il mare, lui che è un lupacchiotto con i denti da latte, tradisce le sue origini genovesi. Genovese il padre e genovese la madre, anche se Silvio muove i primi passi in mezzo alle montagne della Svizzera: «Papà», racconta, «lavorava a lucerna e là ho trascorso l’infanzia prima di trasferirmi con la famiglia a Novara».
Non devono essere stati facili quegli anni di vita nella confederazione. Il padre non era un emigrante qualsiasi ma occupava un posto più che rispettabile come ingegnere nella fabbrica di ascensori Schindler (sì, proprio lo stesso nome del salvatore degli ebrei, quello della Schindler’s List). Avrà anche avuto, Scaglia senior, un signor stipendio, ma allora i nostri connazionali in Svizzera, ricchi o poveracci, non erano particolarmente amati come ci insegna il quasi contemporaneo Pane e cioccolata di Nino Manfredi.
Meglio, dunque, tornare a casa. E in quale città poteva sbancare un ingegnere che produceva ascensori? Ovviamente Novara, dove ha sede la Falconi, un’altra fabbrica di ascensori (da cui la predisposizione di Silvio a salire rapidamente la scala gerarchica di un’azienda). Con un padre ingegnere e una madre insegnante di matematica, al giovane Scaglia le materie classiche vanno ovviamente strette. Frequenta quindi il liceo scientifico nella città piemontese e poi si iscrive al Politecnico di Torino: «Ma non ero uno sgobbone come qualcuno crede. D’accordo, mi è sempre piaciuto leggere e, quando ero ragazzo ho anche sofferto le dimensioni provinciali di Novara dove era impossibile trovare all’edicola un giornale straniero. Se d’inverno non marinavo la scuola, mi rifacevo però d’estate quando mi dedicavo alla vela sul mare Ligure. E dopo aver preso il brevetto con un flying junior Enterprise frequentando un corso sulla Manica vicino a Plymouth, facevo l’istruttore nei villaggi Valtur per tre mesi l’anno e per tanti anni da fine giugno a inizio settembre».
Ma i tempi delle mele (e delle vele) finiscono presto. Il giovane ingegnere evita il servizio militare (era stato riformato a seguito di un intervento al rene quando aveva appena tre anni d’età) e così si ritrova proiettato subito nel mondo del lavoro: la prima esperienza all’Aeritalia è molto deludente anche se partecipa a un progetto molto ambizioso, il progetto Teleret: «Il Teleret era un satellite con il cordone ombelicale perché doveva essere collegato alla centrale spaziale con un filo di cento chilometri. ll programma era stato elaborato dalla stessa Aeritalia, dalla Nasa e dall’americana Martin Marietta ma, nonostante la qualità dei partner, il lavoro non mi piacque e dopo sei mesi preferii cambiare aria»: Scaglia si ritrova così all’Arthur Andersen come programmatore: «Nella società di revisione restai tre anni. A un certo punto decisi di mollare perché volevo prendere un master negli Stati Uniti. Ma poco prima di partire per l’America venni selezionato per essere assunto alla McKinsey. Allora la società di consulenza era una vera palestra di vita aziendale perché ti metteva in contatto con tanti big della finanza e dell’industria: in pratica aveva lo stesso valore di quel famoso master che volevo conseguire in America. Rinunciai quindi al master e presi la McKinsey».