Silvio Scaglia Story (2): gli anni della Piaggio
Da “I signori di Internet. La via italiana alla New Economy” di Giancarlo Mazzuca (Baldini & Castoldi)
Invitandoti a un “tramezzino-lunch” da consumare nel suo ufficio (pranzo frugale perfettamente compatibile con l’ambiente sobrio dove lavora a Milano), Scaglia confessa candidamente che le società di consulenza «sono ottime scuole», ma che lavorare in un’azienda vera «è tutta un’altra cosa». E un giorno anche l’ex “McKinsey boy” fa il grande salto: la Piaggio non lo vuole più solo come consulente ma gli chiede di passare armi e bagagli nei propri ranghi. In quel momento il gruppo di Pontedera ha un grosso problema in Spagna perché la consociata iberica, la Moto Vespa SA di Madrid, va a tre cilindri.
Come vicepresidente e consejero delegado della società spagnola c’è, dall’inizio del ’91, Giovanni Alberto Agnelli, il figlio di Umberto, che venne poi designato alla guida della Fiat prima della repentina scomparsa alla fine del ’97 per un male incurabile a soli 33 anni d’età. Silvio accetta con entusiasmo di affiancare, come direttore, il giovane Agnelli a Madrid e si trasferisce così al numero 6 di Avenida Julian Camarillo. Scaglia ricorda oggi con grande affetto e commozione l’erede dell’impero Fiat: «Giovanni Alberto era una persona estremamente sensibile e modesta ma molto intuitiva dal punto di vista manageriale. Una persona fuori dall’ordinario. Fra noi si creò una grandissima amicizia. Lui considerava un handicap il fatto di chiamarsi Agnelli e non faceva, quindi, mai pesare il nome che portava».
Silvio rammenta anche con nostalgia quegli anni madrileni: «Era bellissimo vivere in Spagna. Erano gli anni delle Olimpiadi di Barcellona e dell’Expo di Siviglia e Madrid era una città molto divertente». Una parentesi felice finita presto perché Agnelli viene richiamato a Pontedera come presidente del gruppo. Giovanni Alberto chiede a Scaglia di seguirlo e gli offre la direzione internazionale del gruppo: «Accettai volentieri e dal 1993 al 1995 diventai una specie di pendolare di lusso. Girai il mondo e soprattutto feci tappa in Cina, India, Indonesia e Sudamerica. A un certo punto decisi di mettere su casa a Singapore che diventò la base di tutte le operazioni estere della Piaggio. Con Giovanni avevo un rapporto personale molto stretto ma mi sentivo un protetto del presidente: dovevo provare a me stesso di potere fare carriera anche senza di lui e decisi di andarmene. Non ci fu alcuna rottura con Giovanni: proprio in quel periodo si stava chiarendo il suo futuro alla Fiat come leader della quarta generazione degli Agnelli. Me ne andai con la promessa che un giorno sarei tornato. Non ho potuto mantenere quella promessa».
310 giorni di perdita della libertà (fisica, ma non certo di pensiero e di rigoroso comportamento etico nel rispetto della legge).
Mi viene in mente il film sulla Stasi “La vita degli altri” in cui le persone non allineate al regime venivano imprigionate eppoi lasciate in prigione senza mai dire quando sarebbero state rimesse in libertà.
(nella speranza di confessione di crimini non commessi o peggio denunciassero altre persone).
In realtà il tempo si ferma per coloro che fanno delle opere che rimangono, le quali fatte nel tempo, durano eterne, e sono tutto il buono che abbia il tempo nel suo passaggio.