Archivio di maggio 2011
Udienza 30: la linea dei PM sbanda sulle mail
Nel controinterrogatorio di Meoli i legali dei manager tlc puntano il dito su indagini “poco accurate”. Il capitano della GdF ammette che non tutta la posta elettronica interna a TIS (4 cd agli atti) è stata esaminata dagli inquirenti. E su Fastweb, riconosce che fu per primo lo stesso Scaglia a rendere nota ai magistrati l’attività di Audit posta in essere dall’azienda nel 2003. Attività poi, però, divenuta oggetto del “teorema” dell’accusa
C’è qualcosa che scricchiola nel “teorema” della Procura, secondo cui i vertici di TIS e Fastweb “non potevano non sapere” della presunta truffa dell’Iva telefonica. Ad esempio, fu lo stesso Silvio Scaglia, fin dal 2007, interrogato dai PM che indagavano, ad indicare la procedura del Comitato Audit messa in atto da Fastweb nel 2003, in relazione all’operazione Phuncard. Così si è espresso il capitano della GdF, Luca Meoli, in un passaggio del controesame iniziato ieri nel corso dell’udienza numero 30. Una dichiarazione significativa (e anche un punto a favore per la difesa) per il fondatore di Fastweb. Meoli ha infatti chiarito che furono proprio le dichiarazioni di Scaglia a permettere alla Procura di acquisire conoscenza (e documentazione) dei “controlli interni” messi in atto dall’azienda.
Nulla da nascondere, dunque, per Scaglia, fin da allora. Anzi. Eppure proprio le modalità dei controlli interni rappresentano, sia per Fastweb che per TIS, uno dei “capisaldi” su cui dovrebbero reggersi le accuse mosse nei confronti dei vertici apicali delle due società. Ma se così fosse, perché sarebbero stati gli stessi manager tlc a consegnare le “prove” della propria colpevolezza ai PM? Un salto logico, su cui hanno direttamente o indirettamente battuto alcuni dei legali delle difese, nel controinterrogatorio a Meoli, per mettere in evidenza la mancanza di “accuratezza” delle indagini su diversi punti.
In particolare, è emerso ad esempio, che non tutta la posta elettronica “interna” di TIS è stata esaminata nel corso dell’inchiesta. Si tratta di 4 cd agli atti del processo, che testimoniano delle mail scambiate fra i tecnici della rete aziendale nel periodo dell’operazione denominata “Traffico Telefonico”. Se per l’accusa vale quanto sostenuto nel corso di un interrogatorio del maggio 2010 dall’ing. Ciccarella, responsabile della rete TIS, secondo cui vennero fatti controlli sul traffico prima del 2007, la verifica della posta interna di TIS mette invece in luce che tali controlli iniziarono solo dopo il 2007, e che a sollecitarli espressamente (lo dicono le mail) furono i due manager apicali, cioè Stefano Mazzitelli e Massimo Comito, con espressioni del tipo: «Mi raccomando fate bene i controlli».
Ma non solo. Se per i PM anche le modalità di sottoscrizione del contratto “Traffico Telefonico” da parte di TIS, inviato per posta, rappresentano un possibile tassello, e un atto di accusa, dell’intero “teorema”, ieri tramite la documentazione segnalata dall’avv. Merluzzi, si è potuto accertare che le procedure organizzative di TIS pretendevano espressamente – come linee guida – che i contratti fossero scambiati proprio per posta. In aggiunta, si è potuto verificare come i contratti realizzati da TIS, in quel periodo (e con modalità del tutto simili), siano stati ben mille.
Tornando a Fastweb, c’è da registrare che Meoli, controinterrogato dall’avvocato Ursini, legale di Roberto Contin, ha anche riconosciuto come agli atti non vi siano “carte” che riguardino l’ex responsabile “wholesale” di Fastweb, se non quelle emerse in quanto documenti aziendali. Nient’altro. Inoltre, come Contin non sia mai stato “intercettato” e non compaia mai il suo nome nelle intercettazioni che riguardano altri imputati. Va ricordato, del resto, come agli atti del processo vi sia anche una mail, citata “a discolpa” del suo assistito dall’avv. Ursini, inviata da Carlo Focarelli all’ex dipendente Fastweb, Giuseppe Crudele, dove si legge testualmente: «Andiamo a pranzo ma non far venire RC, così possiamo parlare».
Udienza 30. Oggi il controesame di Meoli
E Telecom Italia Sparkle torna ad essere “strategica” per TI
«Intendo sottolineare l’assoluta estraneità di Luigi Marotta ai fatti trattati in questo processo». Si è aperta con questa dichiarazione spontanea di Carlo Focarelli la trentesima udienza del processo per l’Iva telefonica, in cui dovrebbe iniziare il controesame del capitano della Gaurdia di Finanza Luca Meoli, che in mattinata chiuderà la sua lunga esposizione che ha occupato sei udenze.
Focarelli, prima dell’inizio del dibattimento ha chiesto di fare una precisazione tecnica sulle vicende giudiziarie che hanno interessato due sue società: la Promodata e la Promodata Uk. Dopo questo prologo, il capitano Meoli ha iniziato la lettura del suo elenco.
Intanto, a quel che si legge su Milano Finanza, Telecom Italia avrebbe deciso di “scongelare” la controllata Telecom Italia Sparkle, già oggetto di trattative per la sua cessione prima che venisse coinvolta nel processo. Secondo il settimanale, l’azienda (già oggetto di una semplificazione organizzativa) potrebbe tornare ad essere strategica e crescere grazie ad acquisizioni.
Fattore Umano | On. Bernardini: «Le carceri scoppiano, è piena emergenza»
Rifiuto del vitto e “battitura”: prosegue la protesta negli istituti di pena. In sciopero della fame “a turno” anche 832 parenti di detenuti. La deputata radicale: «Stato delinquente e recidivo per il reato di maltrattamenti e torture». Oggi la visita a Rebibbia, domani alla casa circondariale di Rieti
L’On. Rita Bernardini, deputato radicale, è la “globe trotter” delle carceri italiane. In questi giorni, poi, ha continue richieste da detenuti, parenti di detenuti, associazioni di volontari impegnati sul territorio, rappresentanze di agenti di custodia. E lei si muove come una trottola: stamane a Rebibbia (Roma), l’altro ieri a l’Ucciardone (Palermo), Noto e Siracusa. Domenica sarà a Rieti, la settimana prossima a Spoleto e Padova. Su quel che accade, cioè migliaia di detenuti in sciopero della fame, non fa sconti e giri di parole: «Siamo di fronte ad uno Stato illegale, delinquente e recidivo».
On. Bernardini, sono parole grosse….
Lo so, ma è il minimo che si possa dire: i maltrattamenti e le torture fisiche e psicologiche sono all’ordine del giorno, va avanti così da anni. C’è stata una breve pausa, ma risale all’indulto, da allora è stato sempre peggio. Gli ultimi dati sono un triste record per la storia della Repubblica: oltre 68mila detenuti a fronte di 44mila posti regolamentari. Poi ci sarebbe molto da dire su come vengono calcolati quei 44mila posti. A Catania, per esempio, ho potuto verificare che c’è un’intera sezione chiusa, ma non per questo si dice che c’è meno capienza…
Un passo indietro, che succede nelle carceri?
Succede che migliaia di detenuti, in decine di carceri, da settimane rifiutano il vitto e fanno la “battitura”, cioè protestano picchiando le stoviglie sulle sbarre. Un rumore infernale, per denunciare l’inferno in cui vivono. Tutto è partito da Marco Pannella che 39 giorni fa ha iniziato uno sciopero della fame per lanciare un messaggio chiaro: l’unica soluzione al sovraffollamento e all’illegalità delle carceri italiane è un’amnistia. Altre strade non se ne vedono. Anche i famigliari dei detenuti stanno aderendo “a turno” a questa forma di protesta non violenta: sono in sciopero della fame 305 parenti di detenuti del carcere di Fuorni a Salerno, 121 a Rebibbia, 142 a Poggioreale, 67 a Velletri. In totale ne abbiamo contati 832.
Cosa ha potuto osservare girando in questi giorni le carceri d’Italia?
Sto rilevando un fenomeno grave e preoccupante. È in corso uno “sfollamento” dagli istituti del Nord a quelli del Sud; è un fatto che riguarda soprattutto i detenuti extracomunitari. Ho incontrato gente veramente abbandonata. A parte le difficoltà ovvie di essere stranieri perdono completamente ogni contatto, non hanno avvocati con cui poter parlare, molti non conoscono nemmeno la loro posizione giudiziaria. Sono lì, in galera, e non sanno cosa li aspetta, vivono sospesi, ignorando cosa potrà succedergli. Poi c’è la questione, gravissima, degli agenti di custodia.
Cioè?
Siamo di fronte a organici palesemente sottodimensionati, una carenza che si estende ad educatori e psicologi. In particolare, però, sono gli agenti a vivere situazioni al limite della sopportazione. A Siracusa, ad esempio, ho visto un solo agente per 150 detenuti, uno solo per una intera sezione; il risultato è che a malapena si riescono a garantire le ore d’aria; per il resto tutto il giorno in cella a non fare nulla. Del resto, il numero di suicidi fra il personale penitenziario non è mai stato così alto. Insomma, non si ammazzano solo i detenuti. C’è altro da dire?
Tra le altre cose, c’è una sua interpellanza in Parlamento sulla situazione sanitaria del carcere di Opera, ai bordi di Milano. Qualche risposta?
Martedì prossimo (31 maggio, ndr.), dovrebbe venire in aula un rappresentante del ministro Alfano a rispondere. Il punto è che al carcere di Opera si è data la patente di centro clinico senza che sia davvero tale. Ho potuto verificare con i miei occhi che ci sono persone con gravi patologie, magari costretti a letto per 24 ore, senza cure adeguate. Un tema che la Direzione del carcere ha presente, ma su cui può fare ben poco. Non è un caso che anche ad Opera ci siano 605 detenuti in sciopero della fame, da una settimana.
Udienza 29: la ricostruzione di Meoli si avvia al traguardo
E a sorpresa spunta un video con Zito e Crudele ad Hong Kong
Si avvia verso la fine la lunga ed analitica testimonianza del capitano della Guardia di Finanza Luca Meoli. Ieri il teste ha illustrato, con dovizia di particolari e di tabelle, i percorsi finanziari del denaro movimentato dal “traffico telefonico”.
Una lunga ricostruzione tabellare dei movimenti circolari dei capitali che, a detta dell’ufficiale della Guardia di Finanza, dovrebbero comprovare il meccanismo di riciclaggio adottato per l’evasione dell’Iva cui, da quanto emerso nelle precedenti udienze, Fastweb risulta estranea.
In questo modo si è quasi esaurita la lunga ed analitica ricostruzione di Meoli, che si concluderà nella prossima udienza con la lettura di «lungo elenco» (parole dello stesso teste) di documenti contabili attestanti i movimenti di denaro a monte e a valle della presunta catena truffaldina.
L’appuntamento è fissato per lunedì 30 maggio perché è saltata l’udienza già prevista per oggi 26 maggio. In quella data comincerà, salvo sorprese, il controesame del capitano Meoli.
Ieri, a ravvivare la seduta estremamente tecnica c’è stata nel pomeriggio una piccola digressione filmica. Il capitano Meoli, infatti, ha esibito un video (rintracciato sul computer di uno dei due indagati) in cui compaiono a turno Bruno Zito e Giuseppe Crudele, che si sono “immortalati” ad Hong Kong. Una testimonianza curiosa, che in se non ha alcuna rilevanza penale, che ha animato l’udienza.
Udienza 29: è ripresa la testimonianza di Meoli
Mokbel rinuncia per motivi di salute. Focarelli trasportato in aula in barella
È cominciata in orario l’udienza numero 29 del processo per l’Iva telefonica. Per la quinta volta consecutiva sul banco dei testimoni c’è il capitano della Guardia di Finanza Luca Meoli che oggi potrebbe terminare l’illustrazione analitica delle indagini svolte per individuare la frode fiscale. Poi comincerà, forse già domani, il controesame delle difese.
All’udienza non partecipa Gennaro Mokbel per motivi di salute. Al contrario, ha voluto essere presente Carlo Focarelli: ricoverato all’ospedale Sandro Pertini, è stato trasportato in aula in barella.
Prima dell’inizio dell’udienza il Presidente della Prima Sezione penale ha comunicato il calendario delle udienze di giugno e luglio. Oltre a quelle già fissate, a luglio si terrà udienza anche nelle seguenti date: 25, 26, 28 e 29.
Il Presidente del Collegio, Giuseppe Mezzofiore, ha poi comunicato che l’udienza del 27 giugno sarà interamente dedicata alla replica delle difese sulla richiesta del PM di sospendere i termini delle misure cautelari.
Fastweb ha pagato l’Iva. E non poteva conoscere l’identità dei clienti
Udienza 28: il capitano Meoli entra nei dettagli del “Traffico telefonico”
Fastweb non poteva conoscere l’identità dei clienti del traffico telefonico, sia a monte che a valle della catena. Inoltre, è emerso ancora una volta che la società ha regolarmente versato l’Iva di sua competenza. Sono queste due le indicazioni scaturite dall’udienza numero 28, la quarta del processo “Iva telefonica” dedicata alla testimonianza del capitano della Guardia di Finanza Luca Meoli, a suo tempo alla guida delle indagini sulla presunta evasione dell’Iva.
Nell’udienza di ieri, cominciata solo a mezzogiorno per il ricovero del detenuto Gennaro Mokbel, il capitano Meoli si è soffermato sul contesto e sui contenuti del circuito finanziario creato attorno ai servizi sviluppati da Fastweb e da Telecom Italia Sparkle.
Per quanto riguarda Fastweb è stato chiarito che il traffico “in voce” via VoIP (cioè attraverso il protocollo internet) era tradotto in Tdm da macchine Diadem presso la farm di Fastweb. In parole povere, il traffico veniva decrittato dagli aggregatori ma la società non aveva modo di conoscerne il contenuto né a monte né a valle della filiera.
È poi stato confermato che Fastweb ha regolarmente versato l’Iva di sua competenza, come era già emerso in un’altra udienza dedicata alla testimonianza di Meoli. L’eventuale evasione si concentra su una parte delle società clienti del servizio, in particolare a quelle che fanno capo a Fabio Arigoni ed Augusto Murri. Questi i passaggi principali della lunga e dettagliata deposizione del capitano Meoli, che si protrarrà anche nella seduta di domani, 25 maggio. L’inizio del controesame del teste, con ogni probabilità, comincerà solo il giorno 26.
Udienza 28, si inizia a mezzogiorno
Le condizioni di salute di Gennaro Mokbel all’origine del ritardo. L’imputato, colpito da un malanno, è costretto a rinunciare
È iniziata solo a mezzogiorno l’udienza 28 del processo dedicato all’Iva telefonica. Il ritardo è legato alle condizioni di salute di Gennaro Mokbel che, colpito da malore, ha rinunciato a presenziare.
E così, alle 11 e 45, con un ritardo di due ore abbondanti, è iniziata la quarta udienza dedicata alla testimonianza del capitano della Guardia di Finanza Luca Meoli, che a suo tempo ha coordinato le indagini sulla presunta evasione dell’Iva.
È comunque probabile che in giornata possa essere completata la ricostruzione, estremamente analitica, delle indagini. Al contrario, causa il ritardo nell’avvio dell’udienza sembra sfumata la previsione per cui sempre nell’udienza odierna potesse cominciare il controinterrogatorio da parte delle difese.
Carceri: si allarga la protesta
Rifiuto del cibo e posate sbattute contro le sbarre. Il disegno di legge “autoprodotto” dai detenuti di Regina Coeli e i messaggi via web delle mamme dei “ristretti”. Oggi Rita Bernardini, deputata radicale, in visita ispettiva all’Ucciardone di Palermo
Tra gli ultimi ad aderire ci sono anche i detenuti del carcere di C del Ferro di Cremona: rifiuto del cibo e posate sbattute contro le celle, da giorni. La protesta, iniziata circa una settimana fa, coinvolge ormai numerosi penitenziari italiani e riguarda non soltanto i “ristretti” ma anche i loro familiari, numerosi agenti di custodia e perfino alcuni direttori degli istituti di pena.
Ci sono pure mamme di detenuti che aderiscono alla protesta lanciando messaggi via web; ad esempio da Torre del Greco: «I miei ossequi all’operato di Pannella, per il suo ennesimo sciopero della fame, ce ne fossero tanti come lui». Firmato «una mamma che ha denunciato suo figlio». Già, perché è stato Marco Pannella a dare il via a questa “agitazione”, iniziando un digiuno circa un mese fa «affinché l’Italia torni ad essere una democrazia», ma sopratutto «contro le inumane e non più accettabili condizioni in cui vivono i detenuti». Uno sciopero che ha contagiato l’intero universo carcerario italiano.
Del resto i numeri sono impietosi: circa 68mila detenuti (il record della storia della Repubblica) a fronte di una capienza ufficiale che non supera i 45.543, nessuna soluzione a breve del sovraffollamento disumano, salvo il richiamo del ministro Alfano a “nuove carceri” che dovrebbero essere realizzate nei prossimi due anni per “contenere” altre 9mila persone. Ma nessuno è in grado di dire se, se frattempo, ad entrare in galera non vi sarà un numero di detenuti ancora maggiore. Insomma, si insegue l’emergenza. A riprova valga il risultato pressoché nullo dello sbandierato provvedimento “svuota carceri” di qualche mese addietro, in seguito al quale sono usciti poco più di mille detenuti, finiti spesso ai domiciliari, ma valutato senza giri di parole un “fallimento” anche dagli organismi di rappresentanza dei direttori degli istituti e degli agenti carcerari.
Eppure si potrebbero fare molte cose, senza pensare solamente a nuove carceri. A dirlo sono gli stessi detenuti di Regina Coeli, che nei giorni della protesta hanno prodotto un “loro” disegno di legge inviato dal Garante per i diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, al Presidente del Consiglio e alle più alte cariche dello Stato. In totale quattro semplici articoli per garantire più speditezza ai processi penale e l’accesso a misure alternative al carcere, ma soltanto per i detenuti in grado di “meritarlo”, senza – scrivono – «nessuna indulgenza». Obiettivo: far entrare in prigione meno gente, allo scopo di garantire condizioni di vita meno disumane per chi ci deve restare. E ripristinare le “misure alternative” che risultano in calo del 75% dal 2005.
Tra le carceri in “sciopero della fame” ci sono, tra gli altri, Roma (Rebibbia e Regina Coeli), Agrigento, Cagliari, Vercelli, Velletri, Milano (Opera e San Vittore), Imperia, Ancona, Prato, Ariano Irpino, Venezia, Alessandria, Lanciano, Genova (Marassi). Ma la lista potrebbe continuare.
Tra le altre proposte, i Radicali chiedono esplicitamente un provvedimento di “amnistia” che superi davvero l’emergenza, sottolineando che amnistie vere non se ne fanno da vent’anni. «Affinché – si legge in un documento – si ponga fine all’illegalità delle carceri italiane e di una giustizia sopraffatta e bloccata da milioni di processi arretrati che danno origine all’irresponsabile amnistia illegale di 170mila prescrizioni l’anno». Anche per questo oggi la parlamentare radicale Rita Bernardini sarà in visita ispettiva al carcere dell’Ucciardone di Palermo, dopo un’assemblea tenuta ieri sera che ha coinvolto operatori penitenziari, istituzioni cittadine e familiari dei detenuti.
Legal Day, dal cinema alla realtà
A Busto Arsizio (Villa Calcaterra) una giornata e un concorso dedicati ai molti casi di “giustizia ingiusta”. A colloquio con l’avvocato Remo Danovi, autore del libro Processo al buio, lezioni di etica in venti film
Chissà se lo hanno mai detto al bellissimo Paul Newman, protagonista de Il Verdetto (regia di Sidney Lumet, 1982), nel ruolo di brillante avvocato finito poi alcolista, che nella fantasia cinematografica commetteva almeno un “reato deontologico” ogni due minuti: circa cinquanta, in poco più di un’ora e mezza. Ma è partendo da questi esempi che l’avvocato Remo Danovi ha insegnato per vent’anni agli studenti della Statale di Milano proprio Deontologia Forense, cioè a dire come dovrebbe comportarsi un avvocato nella realtà e non nelle pellicole hollywoodiane. Per la precisione, storie e casi simili di “trasgressione” deontologica potrebbero riempire una cineteca anche per magistrati, giornalisti e (ça va sans dire) uomini politici.
Fatto sta che il lavoro certosino, di analisi di scene e sequenze di alcuni dei legal thriller più famosi della storia del cinema, a caccia non dell’assassino ma delle “scorrettezze di legalità”, è racchiuso in un libro Processo al buio, lezioni di etica in venti film (Feltrinelli), di cui si parlerà quest’oggi nell’ambito del Legal Day che si tiene a Villa Calcaterra di Busto Arsizio.
Spiega l’avvocato Danovi: «Volevo farmi capire dagli studenti e ho trovato in film e romanzi la chiave per dare giusta enfasi al tema dell’etica professionale, per chi opera nel mondo della giustizia». Un esempio? Si pensi ancora a Paul Newman, che scorre i necrologi della sua città e si presenta a casa dei familiari, commettendo il reato di “accaparramento della clientela”. Proprio negli Usa circola una battuta: dietro a ogni ambulanza c’è un motociclista che segue col casco. Appunto, un avvocato a caccia di cause.
Ma veniamo alla realtà del Bel Paese. «Sono tra coloro – dice Danovi – che se nella vita ha avuto un buon motivo per criticare magistrati e avvocati lo ha sempre fatto, mai tuttavia per parlar male della giustizia. Sono due piani diversi e vanno tenuti distinti: la giustizia è un pilastro che va sempre salvaguardato». «È fondamentale – aggiunge – che sia così, anche se ci sono anomalie, anche se la presunzione d’innocenza non viene sempre tenuta nel giusto conto. In questo caso, penso sempre all’Affaire Dreyfuss, un ufficiale di artiglieria accusato ingiustamente e trattato da presunto colpevole nella Francia sul finire del XIX secolo. Allora, fu lo scrittore Emile Zola con le otto pagine del suo J’accuse a restituire dignità di parola alla vicenda».
«Certo – insiste Danovi – l’errore giudiziario è sempre possibile, fa parte del gioco; altra cosa sono le tesi pre-costituite o gli schieramenti “mediatici” dove vince la logica del tifoso sugli spalti. Insomma ci vorrebbero più serenità ed equilibrio da parte di tutti, perché la “verità”, come ho cercato di spiegare ai miei studenti con le immagini di quel capolavoro della storia mondiale del cinema che è Rashomon (regia di Akiro Kurosawa, 1950, ndr.) richiede molta attenzione per essere raggiunta».
La conclusione? «C’è un oggetto smarrito nel nostro Paese – termina Danovi – si chiama etica. Dobbiamo recuperarla, a tutti i livelli».
Imputati o bestie?
Panorama riaccende i riflettori sui casi di Gennaro Mokbel e Massimo Micucci
Il settimanale diretto da Giorgio Mulè, in edicola oggi, ricorda quanto è successo a Gennaro Mokbel che «recluso a Civitavecchia per partecipare alle udienze romane esce dal carcere alle 7 del mattino, senza potersi lavare e senza pasto. Lo stesso gli accade anche la sera, visto che rientra in prigione verso le 19: per lui niente doccia e niente cena, perché in carcere ci si lava in altri orari e si mangia soltanto alle 11 e alle 17».
Panorama commenta anche il caso di un altro imputato, Massimo Micucci, che «solo il 30 aprile 2011 (dopo 14 mesi di carcerazione, ndr.) – si legge – è riuscito a fare presente la sua situazione, in un’udienza. I giudici lo hanno scarcerato in poche ore».
Insomma, diritto schiaccia diritto: per essere ascoltato devi aspettare e se vuoi assistere alle udienze del processo in cui sei imputato ti devi dimenticare di altri bisogni (e neppure sperare in un panino passato da qualcuno visto che il regolamento penitenziario lo vieta, come ricorda Panorama). Le regole sono strette come sono strette le manette che – si legge – «lo scorso 5 maggio hanno fatto sanguinare i polsi dell’imputato». Un fatto che ha coinvolto direttamente Mokbel e che ha scatenato la reazione di Fabrizio Merluzzi, presidente dei penalisti romani: «Non si possono trattare gli imputati come bestie».