Carlo Micheli: Scaglia non seguiva le singole operazioni
E Francesco Micheli aggiunge: mai avuto sentore di illiceità in Fastweb
Silvio Scaglia «definiva la strategia di Fastweb ma non seguiva i dettagli delle singole operazioni. All’inizio i nostri rapporti erano ottimi, alla fine sono diventati più difficili, avevamo differenze di opinioni nella strategia aziendale». Parla così uno dei testi più attesi del processo sull’Iva telefonica: Carlo Micheli, figlio di Francesco, uno dei fondatori di Fastweb (Francesco) e fino al 2005 vicepresidente dell’azienda telefonica.
Citato come testimone dai PM con riferimento alla vicenda delle carte prepagate per evadere l’Iva, Micheli ha esordito dicendo che «erano i manager della struttura commerciale di Fastweb a proporre i vari business. Come responsabile della pianificazione, io mi ero accorto che le attività “non-core business”, come quello delle carte prepagate, erano in crescita e ciò mi creava problemi perché il fatturato basato su queste attività era più difficile da prevedere per il futuro e da spiegare agli analisti».
Per questo motivo, ha continuato Carlo Micheli, «io rompevo le scatole a tutti io ritenevo che il fatturato “non-core” fosse troppo elevato. E così vennero fatti degli approfondimenti nel 2003 a cominciare da un audit aziendale che alla fine confermò sia la liceità delle attività “Phuncard” dal punto di vista fiscale e contabile sia la secondarietà del business in Fastweb». Inoltre, conferma l’ex presidente del Comitato di controllo interno, fu chiesto anche un parere a Guido Rossi «che concluse l’analisi limitandosi a sollecitare una modifica dell’oggetto sociale di Fastweb. Poi, come avevo chiesto, il CdA decise di limitare l’attività delle “Phuncard”».
Rispondendo a una domanda dei difensori di Scaglia, però Carlo Micheli ha precisato: «Confermo che il 29 agosto 2003, il comitato di controllo interno, da me presieduto, diede il nullaosta al CdA ad ampliare l’oggetto sociale, come indicato da Rossi un mese prima».
Prima di Carlo, ha preso la parola il padre, socio di Scaglia e fondatore di Fastweb, lasciata nel 2003: «Non ho mai sentito parlare delle “Phuncard” – ha detto il finanziere –, non conoscevo le singole operazioni commerciali. Come presidente di Fastweb svolgevo il ruolo di senior, mi occupavo di relazioni esterne e dell’immagine del gruppo, non seguivo le questioni tecniche». Per quanto riguarda i rapporti con Scaglia, anima industriale e tecnologica del gruppo «con lui c’era una forte e sana dialettica. Potevano esserci divergenze sulla politica industriale, ma insieme si remava verso la stessa direzione. Di sicuro le scelte tecnologiche erano sue. Io sul raggiungimento di certi obiettivi ero più cauto, come per esempio sull’espansione in Germania del modello Fastweb, perché il mercato era entrato in una fase di stallo. Lui era più ottimista nel comunicare all’esterno gli ambiziosi obiettivi aziendali. Comunque fino a quando sono rimasto in azienda non ho mai avuto contezza di illiceità».
Carlo e Francesco Micheli figurano tra i testi d’accusa. Nel pomeriggio l’udienza è proseguita con la testimonianza di Paolo Fundarò. L’interrogatorio di Fabrizio Casati, interrotto a fine udienza, continuerà mercoledì 20. Nella stessa giornata sono anche Mario Cacciatore, Giovanni Moglia, Lorenzo Macciò e Angela Catoni.