Archivio di luglio 2011
Carlo Micheli: Scaglia non seguiva le singole operazioni
E Francesco Micheli aggiunge: mai avuto sentore di illiceità in Fastweb
Silvio Scaglia «definiva la strategia di Fastweb ma non seguiva i dettagli delle singole operazioni. All’inizio i nostri rapporti erano ottimi, alla fine sono diventati più difficili, avevamo differenze di opinioni nella strategia aziendale». Parla così uno dei testi più attesi del processo sull’Iva telefonica: Carlo Micheli, figlio di Francesco, uno dei fondatori di Fastweb (Francesco) e fino al 2005 vicepresidente dell’azienda telefonica.
Citato come testimone dai PM con riferimento alla vicenda delle carte prepagate per evadere l’Iva, Micheli ha esordito dicendo che «erano i manager della struttura commerciale di Fastweb a proporre i vari business. Come responsabile della pianificazione, io mi ero accorto che le attività “non-core business”, come quello delle carte prepagate, erano in crescita e ciò mi creava problemi perché il fatturato basato su queste attività era più difficile da prevedere per il futuro e da spiegare agli analisti».
Per questo motivo, ha continuato Carlo Micheli, «io rompevo le scatole a tutti io ritenevo che il fatturato “non-core” fosse troppo elevato. E così vennero fatti degli approfondimenti nel 2003 a cominciare da un audit aziendale che alla fine confermò sia la liceità delle attività “Phuncard” dal punto di vista fiscale e contabile sia la secondarietà del business in Fastweb». Inoltre, conferma l’ex presidente del Comitato di controllo interno, fu chiesto anche un parere a Guido Rossi «che concluse l’analisi limitandosi a sollecitare una modifica dell’oggetto sociale di Fastweb. Poi, come avevo chiesto, il CdA decise di limitare l’attività delle “Phuncard”».
Rispondendo a una domanda dei difensori di Scaglia, però Carlo Micheli ha precisato: «Confermo che il 29 agosto 2003, il comitato di controllo interno, da me presieduto, diede il nullaosta al CdA ad ampliare l’oggetto sociale, come indicato da Rossi un mese prima».
Prima di Carlo, ha preso la parola il padre, socio di Scaglia e fondatore di Fastweb, lasciata nel 2003: «Non ho mai sentito parlare delle “Phuncard” – ha detto il finanziere –, non conoscevo le singole operazioni commerciali. Come presidente di Fastweb svolgevo il ruolo di senior, mi occupavo di relazioni esterne e dell’immagine del gruppo, non seguivo le questioni tecniche». Per quanto riguarda i rapporti con Scaglia, anima industriale e tecnologica del gruppo «con lui c’era una forte e sana dialettica. Potevano esserci divergenze sulla politica industriale, ma insieme si remava verso la stessa direzione. Di sicuro le scelte tecnologiche erano sue. Io sul raggiungimento di certi obiettivi ero più cauto, come per esempio sull’espansione in Germania del modello Fastweb, perché il mercato era entrato in una fase di stallo. Lui era più ottimista nel comunicare all’esterno gli ambiziosi obiettivi aziendali. Comunque fino a quando sono rimasto in azienda non ho mai avuto contezza di illiceità».
Carlo e Francesco Micheli figurano tra i testi d’accusa. Nel pomeriggio l’udienza è proseguita con la testimonianza di Paolo Fundarò. L’interrogatorio di Fabrizio Casati, interrotto a fine udienza, continuerà mercoledì 20. Nella stessa giornata sono anche Mario Cacciatore, Giovanni Moglia, Lorenzo Macciò e Angela Catoni.
L’ex senatore Di Girolamo e Arigoni patteggiano
Cinque anni di reclusione da scontare ai domiciliari e quasi 5 milioni di risarcimento per entrambi
L’ex senatore del PdL Nicola Di Girolamo ha patteggiato la pena. Il GUP del Tribunale di Roma, Massimo Battistini, ha condannato l’ex esponente politico del PdL, che si trova agli arresti domiciliari, a cinque anni di pena e al risarcimento nei confronti dell’Erario di 4,2 milioni di euro che Di Girolamo pagherà con la cessione di beni immobiliari, auto di lusso e quote societarie.
Il GUP ha consentito di patteggiare anche a Fabio Arigoni, il consulente aziendale già latitante a Panama che, tramite la Telefox e la Telefox International, ha consentito all’organizzazione coinvolta nel “traffico telefonico” di riciclare il denaro frutto della presunta evasione Iva in vari paradisi fiscali. Arigoni, anche lui ai domiciliari, è stato condannato a cinque anni e dovrà restituire quasi 5 milioni di euro.
L’ex senatore Di Girolamo era imputato per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale, oltre che per scambio elettorale aggravato. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici.
Infine, il GUP ha condannato Franco Pugliese, presunto affiliato alla cosca della famiglia Arena di Capo Rizzuto, a 4 anni e 8 mesi in quanto responsabile di intestazione fittizia di beni e per la minaccia volta ad impedire il libero esercizio del diritto di voto, sempre con l’aggravante del metodo mafioso.
Udienza 38
Il traffico telefonico era reale e le numerazioni 00688 su Tuvalu erano attive sul mercato inglese, come verificato dai controlli interni e personalmente da Merzi su un sito indipendente britannico. Per l’allora responsabile dell’Ufficio legale, Giuliana Testore, l’iter dei contratti era corretto e non presentava anomalie. Beverly Farrow, su audit Phuncard: Fastweb commercializzava le carte per conto di CMC guadagnandoci un margine ed aveva la cassa necessaria per farlo. E aggiunge: CMC era piccola, non avrebbe potuto permetterselo. Sono queste alcune delle novità emerse in aula dalle testimonianze di manager ed ex manager di Fastweb
Ad inaugurare la sfilata dei testi, che si protrarrà per diverse udienze, sono stati: Luca Merzi, responsabile dell’audit dal 2004 e, in questa veste, protagonista dell’audit sul “Traffico telefonico” del 30 novembre 2006 chiesto dal Comitato Direttivo per analizzare a tutto tondo i rapporti legali, fiscali, amministrativi e tecnologici tra gli uffici di Fastweb e le società I-Globe e Diadem Ltd.; Giuliana Testore, all’epoca responsabile dell’Ufficio legale, chiamata ad illustrare le caratteristiche dei contratti con CMC e le modifiche apportate nel tempo; Beverly Farrow, che effettuò l’audit sull’operazione Phuncard.
Da queste tre testimonianze si sono ricavati elementi utili per ricostruire il reale funzionamento delle operazioni. Luca Merzi, in particolare, ha fatto rilevare che il “traffico telefonico” era sì un business “non-core” per Fastweb ma comunque in linea, per volumi e ricavi, con le caratteristiche del mercato dell’epoca (24,7 miliardi di Euro nel 2005). Di fatto, nell’arco di tempo dell’intera operazione (dal 2004 al 2006), il traffico telefonico ha garantito a Fastweb una marginalità nell’ordine del 5-6%, nella media del settore. Certo, esisteva un rischio di credito legato alle controparti ma si trattava di un rischio relativo viste le modalità a cascata adottate: Fastweb, in sostanza, pagava solo dopo aver incassato. In sintesi, il “traffico telefonico” produceva un margine discreto, pari allo 0,8% del margine totale della società.
Una volta spiegata la convenienza economica di Fastweb ad occuparsi di quest’area di business, Merzi ha affrontato il tema più “caldo”: era lecito avanzare sospetti sull’eventuale natura fittizia delle controparti? Al proposito, il responsabile dell’audit ha risposto che le verifiche tecniche effettuate sull’andamento giornaliero del traffico, così come risultava dai tabulati del traffico “billati” dall’azienda, testimoniavano l’esistenza di un traffico effettivo e non fittizio. Non solo. A rafforzare i controlli interni, un’ulteriore verifica svolta da Luca Merzi stesso, sul sito britannico www.icstis.org.uk dell’Independent Committee for the Supervision of Standards of Telephone Information Services (ora PhonepayPlus, Agenzia inglese che regolamenta i servizi telefonici a pagamento) che confermava l’attività e il regolare funzionamento delle linee 00688. Le uniche anomalie riscontrate dall’audit interna riguardavano le caratteristiche formali del contratto (ma usuali nelle aziende) e legate al fatto che Diadem era un’azienda giovane e, come tale, non ancora in grado di produrre i suoi bilanci. Anche l’audit svolto successivamente da KPMG su incarico di Swisscom, confermò le stesse posizioni.
A domanda del Collegio dei giudici se si fosse potuto stabilire la natura del traffico, la risposta di Luca Merzi è stata che solo un’intercettazione l’avrebbe potuto accertare. Fastweb non avrebbe mai potuto capire con i mezzi che un’azienda aveva a disposizione che c’era una frode visto che non aveva evidenza della circolarità. La stessa Guardia di Finanza, del resto, ha avuto bisogno di anni di indagine per venire a capo dell’operazione.
Comunque, dopo l’audit e le rivelazioni dei giornali dell’epoca sulla frode fiscale, il CdA di Fastweb diede tempestivo ordine di chiudere il business per motivi precauzionali. Fu una decisione presa coralmente su spinta di Parisi con l’appoggio di Scaglia.
Giuliana Testore e Beverly Farrow hanno invece parlato del tema “Phuncard”. La modifica del contratto con CMC, da compravendita a mandato senza rappresentanza, spiega la ex responsabile dell’Ufficio legale, è stata voluta da Fastweb per motivi di correttezza contabile: Fastweb, ha detto la Testore, doveva contabilizzare solo i margini sulle “Phuncard” senza tener conto di costi/ricavi. L’iter del contratto con CMC, pervenuto all’ufficio competente attraverso Bruno Zito, cioè dal settore commerciale, era perfettamente normale.
Infine, Beverly Farrow ha spiegato perché, nell’operazione Phuncard, Fastweb sia stata l’interfaccia tra CMC e le società inglesi. Primo, perché questo meccanismo consentiva di ricavare un margine. Secondo, la stessa Fastweb aveva una cassa abbastanza capiente per far funzionare l’operazione: per CMC, invece, questo andava al di là delle sue potenzialità economiche.
Il capitolo Fastweb sarà oggetto anche delle prossime udienze. Il calendario prevede che lunedì 18, tra gli altri, siano sentiti Carlo e Francesco Micheli oltre a Paolo Fundarò e Fabrizio Casati. Il giorno 20 dovrebbe essere la volta di Emanuele Angelidis, Mario Cacciatore e Lorenzo Macciò. Il 25, se verrà rispettata la tabella di marcia, si terrà il controinterrogatorio di Beverly Farrow, più la testimonianza di Alberto Trondoli, Stefano Faina e di Stefano Parisi.
Fattore Umano | Basta leggi che creano delinquenti
La denuncia di avvocati, magistrati e associazioni volontarie impegnate sul fronte carcere. In un documento comune, le proposte per uscire dall’emergenza degli istituti penitenziari, a partire dall’uso abnorme della “custodia cautelare”
In Italia non ci sono più delinquenti che altrove (o reati), eppure le carceri sono zeppe di gente. Succede che a produrre così tanti detenuti siano le leggi stesse o le loro modalità di applicazione, più «carcerogene» che altrove.
Due esempi fra i tanti: 1) i detenuti in custodia cautelare sono attualmente 28.257 (il 41,9% del totale, a fronte di una media europea del 24,8%). Se ci allineassimo a tale media i detenuti diminuirebbero a 55.861 (-16mila); 2) cinque anni fa, prima della cosiddetta legge ex-Cirielli, nel Belpaese le persone in “misura alternativa” erano 23.394. Oggi sono 17.487, in drastico calo.
Cosa è cambiato? Ai recidivi non è consentito l’accesso diretto alle misure alternative. E ciò, sebbene le statistiche mettano in luce come tali “misure”, innanzitutto il lavoro, siano la ricetta migliore per ridurre i comportamenti recidivi. Dunque, che fare?
Dal tavolo promosso dall’Unione delle Camere Penali in Italia, presenti le maggiori associazioni impegnate sul fronte carcere (Acli, Arci, Antigone, Ristretti Orizzonti), oltre a sigle del volontariato, al sindacato CGIL – FP, fino a Magistratura Democratica e al Coordinamento nazionale Garanti dei detenuti, arriva un documento di proposte «articolate e concrete» per fronteggiare l’emergenza carcere e le «disumane condizioni in cui versano gli istituti penitenziari italiani destinate a peggiorare durante il periodo estivo».
«Si tratta di ritornare – è stato detto nel corso della conferenza stampa indetta presso l’Unione delle Camere Penali a Roma – allo spirito del legislatore del 1988, con un più significativo utilizzo della misura degli arresti domiciliari». Ma non solo. Si tratta di abolire la ex-Cirielli, laddove aggrava le pene e restringe i criteri per accedere ai benefici.
Anche la legge Fini-Giovanardi viene presa di mira: nei fatti non ha ridotto il consumo di droghe (e il numero di drogati), ma ha prodotto decine di migliaia di detenuti-tossici (spesso in galera per le cosiddette droghe leggere), o ributtati in galera per le stringenti condizioni di accesso a programmi terapeutici e ai servizi dei Sert.
L’elenco delle proposte prosegue con misure specifiche dedicate al tema immigrazione, alla “messa in prova” anche per gli adulti (e non solo i minori), all’introduzione di entrate scaglionate in carcere in relazione alla capienza e, infine, alla richiesta della chiusura (una volta per tutte) di quello scandalo che sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
«Il tema carcere è un’emergenza nazionale, patologica», ha spiegato il presidente delle UCPI, Valerio Spigarelli, confermando che le Camere Penali per tutta l’estate continueranno la staffetta dello sciopero della fame a sostegno dell’iniziativa di Marco Pannella. «Il fatto è che – ha aggiunto Spigarelli – il sistema carcerario si riempie di imputati che tante volte non hanno una condanna definitiva».
Fattore Umano | Carceri: Appello a deputati e senatori
Da Antigone, Ristretti Orizzonti, Garanti dei detenuti e MD una lettera-denuncia sul sovraffollamento degli istituti penitenziari e la richiesta di interventi urgenti
Certo, non è facile chiedere alla “politica” di mettere in primo piano la drammatica situazione delle carceri italiane. Non lo è in tempi “normali”, figuriamoci quando i mercati finanziari voltano le spalle al Paese perché lo ritengono poco affidabile. In ogni caso Antigone, Ristretti Orizzonti, il Coordinamento Nazionale Garanti dei detenuti e gli associati di Magistratura Democratica non demordono e lanciano un Appello a tutti i parlamentari di Camera e Senato.
Si tratta di una lettera-denuncia per porre un argine al malessere (sovraffollamento, suicidi, carenze di personale e di trattamenti rieducativi), e che comprende anche proposte e interventi possibili contro il degrado, a partire dalle logiche di accesso alle misure alternative, all’utilizzo della custodia cautelare in assenza di reati gravi e/o di comprovato allarme sociale, piuttosto che sull’urgenza di adeguare gli organici della Magistratura di sorveglianza. Il tutto a partire da un corollario, noto quanto spesso disatteso: «Il rispetto della dignità delle persone detenute misura la civiltà di un Paese».
“Iva telefonica”: dal 14 entrano in scena le testimonianze dei manager Fastweb
Convocati i primi quattro manager della società. “Congelati” intanto i termini di scadenza nei confronti di coloro che si trovano ancora agli arresti domiciliari. Tutti gli imputati alla meno afflittiva misura degli arresti domiciliari. E la testimonianza di De Lellis proseguirà a settembre
Gli ultimi detenuti del processo “Iva telefonica” hanno lasciato il carcere. Ieri, pertanto, il Presidente della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma ha disposto il “congelamento” dei termini per gli imputati ancora sottoposti a misure restrittive. In assenza di questo provvedimento, alla fine di agosto sarebbero tornati in piena libertà gli imputati oggi agli arresti domiciliari.
Intanto, ieri l’udienza è stata caratterizzata dall’ascolto dell’intercettazione di una telefonata, alquanto agitata, intercorsa tra Gennaro Mokbel e Fabio Arigoni. L’udienza è stata interrotta poco dopo le 14 per gli impegni del capitano dei ROS Francesco De Lellis. La sua testimonianza riprenderà solo dopo la pausa estiva per permettere il deposito delle perizie di trascrizione delle intercettazioni telefoniche sul contenuto delle quali il capitano deporrà.
Intanto, di qui a fine luglio, entra nel vivo la partita Fastweb. Per il giorno 14, infatti, sono convocati i primi testi che facevano parte dei quadri della società milanese. In particolare, sfileranno davanti alla Corte: Stefano Faina, Beverly Farrow, Luca Merzi e Giuliana Testore.
Maurizio Tortorella: «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia»
Alzi la mano chi sa che in Italia, per legge, è proibito pubblicare foto di imputati in manette. Un ricco premio a chi sa indicare l’ultima condanna ad un mezzo di informazione per aver infranto questa norma. Anche così, con un riferimento ad una classica “grida manzoniana”, si può avvicinarsi alla lettura de La gogna di Maurizio Tortorella, vicedirettore di Panorama, che potremmo definire la prima storia della “moderna ingiustizia in Italia”, Paese che, nel corso degli ultimi vent’anni, ha progressivamente sostituito la giustizia dei tribunali, senz’altro imperfetta e lenta ma pur sempre giustizia, con quella sommamente ingiusta della ribalta mediatica, abilissima nello sbattere “mostri” in prima pagina
Maurizio Tortorella ha così scritto un’opera di cui si sentiva la mancanza: l’analisi del trattamento che i media riservano alla giustizia. Ovvero, per dirla con il sottotitolo del libro (Boroli editore, 160 pagine, 14 euro), in uscita il prossimo 14 luglio, «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia». Una lunga carrellata da Calogero Mannino, il ministro «mafioso», e il suo calvario durato 18 anni. Guido Bertolaso, condannato sui giornali ancora prima che il processo avesse inizio. Giuseppe Rotelli, il «Re delle cliniche private» accusato per quat tro anni di un’odiosa truffa sanitaria, ma poi assolto in totale silenzio. Ottaviano Del Turco, il governatore abruzzese azzoppato per una tangente di cui ancora non c’è traccia. Antonio Saladino e le follie dell’inchiesta “Why Not” dell’ex PM Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli. Alfredo Romeo, gli assessori e la mezza bolla di sapone del “caso Magnanapoli”. Un posto di rilievo, in questa carrellata, non poteva non toccare a Silvio Scaglia.
«È assolutamente così – commenta Tortorella – anzi, una delle ragioni dell’indignazione che mi ha spinto a scrivere questo libro è il trattamento osceno che i colleghi dell’informazione hanno dedicato Silvio Scaglia. Un cittadino che, come ha fatto l’ingegnere si presenta senza indugi al magistrato che indaga su di lui rientrando da un comodo rifugio all’estero merita attenzione e rispetto».
Invece…
Invece niente. Un disinteresse assoluto nei confronti di un cittadino che era, non dimentichiamolo, un presunto innocente. Cosa che i giornalisti non hanno nemmeno preso in considerazione.Se andiamo a rivedere i giornali di quei giorni ci imbattiamo in articoli fotocopia che attingono ad una fonte sola, quella dell’accusa. Naturalmente in pillole, perché ormai è prassi consolidata svolgere indagini infinite, accumulare faldoni e faldoni di materiale da cui estrarre un piccolo riassunto ad uso e consumo dei giornali.
Che non trovano nulla da eccepire. O no?
La voce della difesa non compare quasi. Salvo le due o tre righe in fondo, tanto per compiacere l’avvocato che un giorno potrà tornare utile come fonte. Ma ormai è scomparso il gusto dell’inchiesta o, quantomeno, il confronto con tutte le fonti.
Il risultato?
Una volta esaurita l’ondata di fango alimentata dal materiale raccolto dall’accusa, scende il velo del silenzio. Senza che l’informazione si faccia domande a tutela del cittadino e della libertà. C’è voluto un articolo di Paul Betts sul Financial Times per ricordare, senza voler entrare nel merito delle indagini, l’esistenza di diritti fondamentali. Soprattutto a vantaggio di un cittadino che aveva dimostrato di credere nella giustizia. Invece, i grandi quotidiani italiani hanno steso un velo di silenzio, più o meno imbarazzato. Il Corriere della Sera si è mosso con grande circospezione. Altri non si sono mossi affatto. E si sono rifugiati dietro un silenzio stizzito. Ma la cortina del silenzio, dopo tanto fango, è una nuova ingiustizia. Penso a Scaglia, ma anche ad Ottaviano Del Turco, arrestato davanti alle telecamere, protagonista di un filmato che per mesi ha fatto il giro delle tv private. Ma di quella tangente non c’è alcuna traccia.
Così come non trova alcun riscontro, a seguire il processo per “l’Iva telefonica”, la leggenza della truffa da due miliardi. Eppure quella cifra ha legittimato titoli a caratteri cubitali, l’attenzione dei fotografi e così via.
Già, senza alcun rispetto per un imprenditore che ne meritava assai. Nel libro mi soffermo sulla storia dei due miliardi che alla fine, nel caso di un ipotetico coinvolgimento di Fastweb ancor tutto da dimostrare, si riducono ad un cinquantesimo di quella cifra.
Ma da dove nasce questa decadenza del giornalismo investigativo?
Io penso che all’origine ci sia la riforma del codice. Per paradosso, tutto funzionava molto meglio prima. Oggi, negli uffici delle procure, si dispone di una macchina potentissima, che ha alle sue dipendenze la polizia, la guardia di finanza e detta la sua legge ai cosiddetti magistrati di garanzia, a partire dai tribunali della libertà fino ai GIP. Una macchina che esercita la sua influenza incontrastata sui cronisti giudiziari che ormai non conoscono altra forma di informazione.
La correzione di rotta, insomma, deve passare da una riforma che riequilibri il peso delle parti, restituendo dignità alla difesa. Ma questo non bastya a superare il nodo della giustizia spettacolo.
Vero. Il problema, del resto, non è solo italiano. Prendiamo il caso Strauss Khan, che ha dimostrato in maneira efficace la superiorità di un sistema giudiziario che garantisce pari dignità alla difesa. Anche qui, però, c’è stato un eccessivo sfoggio di manette davanti alle telecamere. Un passo indietro per un sistema che dal 1935, dopo il clamore mediatico sollevato dal rapimento di Baby Lindbergh, ha vietato l’ingresso dei mezzi di ripresa dalle aule dei tribunali per evitare che il clamore mediatico condizionasse la giustizia.
Certe volte, il progresso consiste nel guardare alle proprie spalle.
Fattore Umano | Carceri: stato di emergenza continua (2)
La seconda puntata dell’intervista ad Alessio Scandurra: il Piano Carceri e l’estate che incombe. Da Antigone un decalogo minimale contro l’indecenza
Il 29 giugno 2010 è stato approvato il piano carceri. «Il tutto da realizzarsi entro la fine del 2012. Pare che i soldi ci siano». Ma resta un’incognita la questione dei costi di gestione delle nuove strutture.
L’estate è appena iniziata. Siamo ancora in tempo per cambiare qualcosa prima che la situazione diventi di nuovo torrida?
Dalla politica prima dell’estate c’è da aspettarsi molto poco. Il Governo in questo momento è in difficoltà e le carceri non sono certo una sua priorità. Inoltre qualunque soluzione che preveda un passaggio parlamentare ha tempi incompatibili con la inaccettabilità della situazione attuale. Un cambiamento radicale delle nostre politiche penali e penitenziarie va certamente messo in cantiere partendo dai temi che citavamo sopra (custodia cautelare, dorghe, immigrazione, recidiva) e procedendo a quella riforma del Codice penale su cui si sono già espresse diverse commissioni di riforma, da ultima quella presieduta da Giuliano Pisapia. Intanto però sono possibili dei piccoli accorgimenti, a normativa invariata, che potrebbero rendere le nostre carceri subito più vivibili.
Per l’estate non abbiamo proposto una riforma, ma un decalogo minimale contro l’indecenza:
1. almeno dodici ore quotidiane da trascorrere fuori dalla cella;
2. colloqui con i parenti da potersi effettuare anche il sabato e la domenica;
3. aumento delle ore da trascorrere all’aria aperta;
4. incremento della presenza di volontariato, associazioni e cooperative;
5. ingresso senza ritardi dei medici di fiducia dei detenuti;
6. libertà nel potersi fare la doccia anche più di una volta al giorno;
7. apertura dei blindati;
8. convocazione dei consigli di disciplina con proposte premiali finalizzate alla concessione di misure alternative per chi è in condizione di poterne fruire;
9. disponibilità di ghiaccio in sezione per conservare il cibo e raffreddare le bevande;
10. tende per proteggere dal sole e sistemi di ventilazione.
Tutto questo in attesa che venga completato il Piano Carceri. A che punto sono i cantieri?
Pare che i soldi per realizzare il Piano Carceri ci siano, dato che nella legge finanziaria 2010 sono stati previsti stanziamenti per la realizzazione del piano carceri per 500.000.000 di euro, mentre la parte restante verrà “scippata” alla Cassa delle Ammende, un fondo del ministero della giustizia tradizionalmente destinato al reinserimento dei detenuti. Resta però la questione dei costi relativi alla gestione di queste strutture. Come si farà a tenerle aperte se già oggi in carcere manca tutto, e ci sono istituti in tutto o in parte chiusi per mancanza di personale? La tempistica prospettata pare poi del tutto inverosimile. È del 28 febbraio 2011 la notizia della inaugurazione, a Piacenza, del primo cantiere del piano carceri. Altrove i lavori devono ancora partire e in molti casi devono essere ancora individuate le zone interessate. Il Piano Carceri è appena partito, ci vorranno molti anni perché produca i primi frutti.
“Iva Telefonica”: ancora tre i detenuti in attesa di case idonee per i domiciliari
La liberazione degli ultimi tre imputati del processo per l’“Iva telefonica” ancora in carcere tarda ad arrivare. Il motivo, probabilmente, va cercato nella mancanza di un luogo adeguato ove trasferire gli indagati nel regime degli arresti domiciliari. Sembrerebbe, infatti, che le richieste non siano state accompagnate da indicazioni idonee e necessarie per i controlli cui devono essere sottoposti i soggetti agli arresti domiciliari.
E così, almeno per ora, restano in carcere Luca Breccolotti, Silvio Fanella e Luigi Marotta. E resta in parallelo ancora attuale la richiesta del difensore di Luca Breccolotti di non interrompere la celebrazione del processo durante il periodo feriale nel caso che ci siano ancora imputati dietro le sbarre.
Non resta che attendere che la situazione si sblocchi. Cogliamo l’occasione per ringraziare la persona che, leggendo il Blog, ci ha segnalato la reale situazione dei tre imputati.