Archivio di agosto 2011
Fattore Umano | Beneduci (Osapp): «Carceri oltre il limite. Poliziotti allo stremo»
«Un terzo delle regioni è vicina del collasso» denuncia il segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. «Ogni giorno 40 nuovi ingressi – aggiunge – mentre la carenza di personale è ormai drammatica»
«Una media di 67.500 detenuti, con un picco nel 2010 di 69.000». Bastano questi numeri per capire cosa succede davvero nelle carceri italiane. A Parlare è Leo Beneduci, segretario dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). «Per rendere l’idea – prosegue – nel 1998 c’erano 49.050 detenuti, praticamente negli stessi spazi». Un sovraffollamento che si riflette nel lavoro quotidiano degli agenti: «I poliziotti penitenziari in servizio – spiega Beneduci – sono 37.500 su di un organico di 44.620 unità definito per legge nel 1991 e mai aggiornato. Allora però di detenuti ce n’erano circa 37.000». La carenza di personale dunque è preoccupante: in media un poliziotto in servizio deve gestire 17 detenuti. E di notte o nei festivi il rapporto diventa anche 1 a 100.
Dottor Beneduci, partiamo dai numeri. Sembra di capire che la “capienza” funziona come un elastico. La si modifica a seconda dei momenti…
La “capienza regolamentare” così definita – e che rappresenta per noi posti realmente disponibili –, riguarda la possibilità di allocare i detenuti in condizioni alloggiative normali, tipo due o anche un solo detenuto per cella, in alcuni casi e quando lo spazio lo consente anche tre, come dovrebbe essere. L’Amministrazione penitenziaria, comunque, a causa dell’emergenza ha definito anche un altro parametro che è quello della “capienza tollerabile” (oggi pari a 69.126 posti), che in pratica significa aggiungere ad ogni due posti un altro posto, aumentando così la capienza regolamentare del 50%. E non solo: perché nella capienza tollerabile l’aumento dei posti riguarda anche le infermerie e gli isolamenti, grazie a presunti malati o isolati, che magari non ci sono, sale ancora la possibilità di intasare le celle. In alcune i detenuti possono stare solo sui letti, ci sono troppe brande e non si cammina.
In sintesi?
Anche la capienza tollerabile è ormai superata in ben 7 regioni su 20.
Cosa significa per gli agenti lavorare in carceri così sovraffollate?
Le 803 aggressioni subite da gennaio o i circa 900 poliziotti penitenziari che ogni giorno non si recano in servizio per infermità conseguenti al lavoro svolto (spesso riguardanti la sfera psichica ndr.), la dicono lunga su come si lavora in carcere. Il problema riguarda anche la scarsa “soddisfazione” professionale per il lavoro svolto. La Polizia Penitenziaria dovrebbe essere, per legge, l’unico Corpo di Polizia dello Stato, che oltre alle “classiche” funzioni preventive e repressive, svolge attività legate al reinserimento sociale dei detenuti, attraverso l’osservazione, il contatto quotidiano e costante con i detenuti, per recuperarli attivamente alla società. Un’attività, questa, che la Polizia Penitenziaria dovrebbe poter svolgere in sinergia con altre figure professionali penitenziarie quali direttori, educatori, cappellani, psicologi. Spesso però il contesto non aiuta. Non bastasse, ci tocca fare ben altro: sostituire operai, contabili, educatori, medici e infermieri e così via. Credete che qualcuno riconosca al Corpo questa capacità-necessità di interpretare una così ampia molteplicità di ruoli? Niente di tutto ciò.
L’emergenza carceri sarà oggetto di una seduta straordinaria di Camera e Senato. Cosa si aspetta?
Le attese e le speranze sono alte. Anche dopo gli appelli del Presidente Napolitano. Ormai nessun deputato o senatore può dire di non conoscere il problema. Anche perché di provvedimenti “tampone” per deflazionare le carceri ne sono stati assunti parecchi, salvo poi rimangiarli o vanificarli con altri, tipo la ex Cirielli, la Bossi-Fini e altro ancora.
Un indulto potrebbe servire?
Perché no, visto che i dati sulle recidive dicono che solo il 34% degli “indultati” è rientrato in carcere, rispetto al 68% di coloro che scontano la condanna fino alla fine. Però, più che un indulto, sarebbe opportuna un’amnistia, con i dovuti distinguo, visto che per alcuni reati non riesco a vedere alternative al carcere, anche a quello attuale. Poi vi sono altri aspetti: depenalizzazioni, misure alternative, detenzione domiciliare, maggiori limiti alla custodia cautelare, l’introduzione della Probation anche per gli adulti e di pene sostitutive al carcere, vanno bene. Purché si sbrighino e non ci ripensino qualche mese dopo sull’onda di qualche delitto di particolare clamore o efferatezza. Del resto, di colpevoli di reati veramente gravi nelle carceri italiane non ce ne sono tantissimi, tutto il resto potrebbe avviarsi a percorsi alternativi.
Cosa fare quindi per evitare il tracollo della “macchina carceraria”?
Ci sarebbero molte cose da ripensare. Non ha senso risolvere tutto nella classica formula: tu sbagli/ ti arresto/il giudice condanna/vai in carcere fino a fine pena. Così come non ha senso costruire nuove carceri, magari per 100.000 detenuti. Sarebbe meglio stabilire che il carcere costituisce l’estrema ratio. Soprattutto per chi ha alle spalle una vistosa carriera criminale e dopo che sono fallite tutte le altre possibilità/opportunità offerte. Negli altri casi, destinare risorse vere, e quindi energie, al recupero sociale, offrire rapporti, conoscenze e lavoro a chi ha sbagliato deve diventare un onere senza pregiudizi per l’intera società. Anche il volontariato andrebbe riorganizzato. Insieme alla Polizia Penitenziaria costituisce un pilastro insostituibile.
Fattore Umano | Carceri: «C’è il quorum per la seduta straordinaria del Senato»
L’annuncio di Marco Pannella a Radiocarcere. In base all’art. 62 della Costituzione verrà convocata anche la Camera. Continua intanto il “tour de force” dell’On. Bernardini: dopo i “sovraffollati con doccia” di Matera, venerdì prossimo le visite a Potenza, compreso l’istituto dei minori, e Melfi
È fatta. La battaglia dei Radicali contro le “illegalità” nelle carceri, a partire dalla condizione di sovraffollamento, ha ottenuto un primo risultato concreto. Il Senato della Repubblica si riunirà prossimamente in seduta straordinaria per discutere (e votare) in «tempi certi» l’esame di provvedimenti in materia di «amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione». È questo il risultato del raggiungimento del quorum, avvenuto nelle ultime ore (pari ad almeno un terzo del numero di firme di senatori) sul documento di richiesta di convocazione promosso dal gruppo radicale. È stato lo stesso Marco Pannella, protagonista di un digiuno «non violento, della fame e della sete» che ha coinvolto migliaia di persone, ad annunciare nel corso di Radiocarcere il quorum raggiunto. Per conseguenza, in base art. 62 della Costituzione, si dovrà riunire anche la Camera dei deputati.
Continua intanto il “tour de force” estivo dell’onorevole Rita Bernardini nelle carceri italiane. Ieri è stata la volta di Matera, venerdì toccherà al carcere di Potenza, compreso l’istituto minorile, poi sarà la volta di Melfi. «A Matera – spiega – abbiamo valutato positivamente che nelle celle ci siano le docce, purtroppo però esiste il problema di un padiglione nuovo ma ancora chiuso. Il risultato è che si sta in sei in 15 metri quadrati». «A colpire di più – aggiunge – è tuttavia un altro elemento: molti detenuti spiegano che preferirebbero stare a Poggioreale, dove la doccia se va bene la fai due volte a settimana e in cella si sta perfino in venti, pur di poter avere contatti con la famiglia. Insomma preferiscono l’inferno pur di incontrare più spesso moglie e figli. Che ne dice la magistratura di sorveglianza? Si possono chiudere gli occhi di fronte a tale situazione?».
Non bastasse, dopo un periodo di lieve calo, è ripresa la crescita della popolazione detenuta con un media di 40 ingressi in più al giorno. La denuncia arriva dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Numeri alla mano dal 19 al 22 agosto si è passati da 66.605 presenze a 66.754. Secondo l’Osapp, l’aumento dei detenuti è legato «alla cessazione degli effetti deflattivi provocati dalla legge sulle detenzioni domiciliari, con 12 mesi di pena residua». Ma nel frattempo, insiste l’Osapp, «permane l’abisso – secondo le parole del Presidente Napolitano – che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona». Con un invito finale: «il Parlamento e il Guardasigilli Nitto Francesco Palma non indugino nell’esame e nell’adozione dei provvedimenti urgenti che le condizioni delle carceri, di chi vi lavora e dell’utenza rendono non più differibili».
Cacciatore: le Phuncard? Un business come gli altri
La deposizione dell’ex responsabile amministrazione e controllo di Fastweb
«Lei ha sentito parlare dell’operazione commerciale denominata Phuncard o carte prepagate?». A questa domanda del PM Giovanni Bombardieri, l’ex responsabile dell’amministrazione e controllo tra il 2001 e il 2003 di Fastweb, Mario Cacciatore risponde così, nel corso dell’udienza del 20 luglio del processo sull’”Iva telefonica”. «Nell’ultimo periodo di mia permanenza era una delle linee di business, come tantissime altre che Fastweb aveva – dice –. Fastweb è nata con un progetto di utilizzo della larga banda e con dei servizi particolarmente innovativi e questo servizio rientrava nella politica normale di implementazione di nuovi servizi, per quanto a mia conoscenza». Insomma, l’operazione Phuncard «era uno dei tanti business significativi come il business dei residenziali, piuttosto che gli altri, non era il business più importante». Semmai «una delle tante operazioni commerciali che Fastweb aveva in pipeline».
Cacciatore, allora responsabile amministrazione, ha più volte precisato nel corso della sua testimonianza che «non conoscevo nel dettaglio il prodotto perché gli amministrativi non entrano nel merito del prodotto tecnologico che veniva offerto». Ma per caso lei sa, chiede il PM Bombardieri, «per quale motivo veniva pagata CMC?… Per una consulenza, per la vendita di un prodotto, per un servizio telefonico, per che cosa?». «Veniva pagata per un prodotto chiamato carta telefonica» – risponde Cacciatore, e continua – «CMC era un fornitore, se ben ricordo, con cui operavamo anche nell’ambito dei numeri Premium». E aggiunge: «Era un fornitore come tanti, come altri, di un servizio assolutamente normale per quei tempi… I numeri Premium erano dei numeri come ancora adesso utilizzati, assolutamente di ordinaria amministrazione».
Insomma, le Phuncard erano una linea di business. «… uno dei tanti servizi». «Io posso solo dire – conclude l’ex manager di Fastweb – che era uno dei prodotti, chiamiamoli servizi, che facevano parte del portafoglio della società. Quindi… per me fondamentalmente è uno dei tanti servizi che la società realizzava e proponeva ai suoi clienti».
Uno dei tanti servizi che è stato gestito, come emerge dalla testimonianza, in modo normale secondo i criteri di organizzazione seguiti per ogni altra linea di business.
Fattore Umano | L’On. Bernardini: «Amnistia come volano di una grande riforma»
Per la deputata radicale: «Dopo lo sciopero del 14, il prossimo passo sarà la raccolta di firme per una seduta straordinaria del Parlamento sull’emergenza carceri e giustizia»
Se mai passasse la proposta di pagare deputati e senatori per quanto lavorano, l’onorevole radicale Rita Bernardini rischierebbe solo di guadagnarci. Il 14 agosto l’ha passato a Rebibbia, in sciopero della fame e della sete; il 17 a scrivere un’interrogazione parlamentare su un tale che si è fatto quattro giorni di carcere per avere acquistato online un “farmaco” che contiene una sostanza inserita nelle tabelle della Giovanardi-Fini. Lo hanno prelevato 12 agenti della GdF con l’accusa di spaccio: «Davvero uno strano spacciatore – ironizza Rita Bernardini – che lascia indirizzo, telefono e carta di credito».
Oggi, 18 agosto, c’è già altro da fare e da pensare: «Il prossimo passo – spiega – sarà la raccolta di firme per arrivare ad una seduta parlamentare straordinaria dedicata all’emergenza carceri e giustizia». L’art. 62 della Costituzione lo prevede con chiarezza: «Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti». Altrettanto recita l’art. 29 del Regolamento della Camera. Insomma, si può fare.
Del resto, prosegue Rita Bernardini, «è il motivo per cui abbiamo fatto lo sciopero del 14, un’iniziativa non violenta che non ha precedenti in Italia per la qualità e il numero delle adesioni: oltre duemila persone fra cui, lo sottolineo, 12 direttori di carceri e un altissimo numero di agenti». Che nelle carceri la situazione abbia superato ogni limite umano non lo nega più nessuno, a partire dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Basta ascoltare anche le parole di Don Sandro Spriano, 70 anni, cappellano di Rebibbia da oltre 20, anche lui tra i digiunatori: «Oggi nelle carceri non ci sono i soldi per cambiare una lampadina». O per fare una doccia, per resistere all’afa, come capita all’Ucciardone di Palermo. Dove comunque si vive accatastati nelle celle.
La proposta dei Radicali è nota: «Ci vuole un’amnistia – insiste la Bernardini – che funga da volano per una vera riforma della giustizia. L’Italia è fuorilegge, viola ogni giorno le direttive europee e dell’Onu. Abbiamo già subito diverse condanne da organismi internazionali, dunque ha ragione Marco Pannella quando parla di “delinquenza professionale” da parte dello Stato. E non solo per l’emergenza carceri: ogni anno vengono prescritti 170mila processi. Cosa c’è di più ingiusto che avere subito un torto e rimanere senza giustizia?».
Caldarola: «L’atteggiamento persecutorio nei confronti di Scaglia, e di altri esponenti di Fastweb (…) fa parte dello stile peggiore di certa magistratura»
Giuseppe Caldarola è uno dei pochi commentatori che non ha mai dimenticato, nemmeno nei mesi più bui, il trattamento riservato a Silvio Scaglia: tre mesi di carcere a Rebibbia seguiti da una lunga segregazione, altri nove mesi, sotto un regime di arresti domiciliari estremamente rigorosi. Nemmeno quando il «PM di punta a piazzale Clodio» Giancarlo Capaldo, protagonista dell’inchiesta sull’”Iva telefonica”, poteva contare sul sostegno quasi unanime del mondo dei media. Quel mondo che non si scandalizzava, al contrario di Caldarola, «per un PM che ha mandato in galera fior di personaggi pubblici senza andare troppo per il sottile», a partire da Silvio Scaglia rientrato in Italia per collaborare con la giustizia.
Giuseppe Caldarola non ha dimenticato quest’inchiesta. Anzi ci torna con un commento di grande spessore su Linkiesta, il giornale online. E così, nel momento in cui «PM di punta» si spoglia dell’inchiesta Enav-Finmeccanica adombrando l’ombra di un complotto, Caldarola confessa che «non riesco a commuovermi per Capaldo» e, aggiunge, «appare chiaro che sarà molto difficile valutare serenamente le sue inchieste, anche quelle passate, alla luce delle sue disinvolte abitudini». Non solo perché le circostanze che hanno portato al suo passo indietro, cioè le cene con il ministro Tremonti e il suo segretario particolare Milanese già inquisito, sono gravi e inquietanti. Ma soprattutto perché «l’atteggiamento persecutorio nei confronti di Scaglia e di altri esponenti di Fastweb, ad esempio l’amministratore delegato Stefano Parisi, fa parte dello stile peggiore di certa magistratura che prima arresta e poi cerca le prove e che soprattutto adotta il sistema della carcerazione preventiva come strumento per ottenere la confessione».
Capaldo ora chiede un metro diverso da quello da lui adottato neo confronti degli inquisiti. La risposta dello Stato di diritto dev’essere una sola: il Csm convinca Capaldo a fare un ben più marcato passo indietro. In momento così delicato, conclude Caldarola, è bene che in prima fila restino solo gli insospettabili.
Fattore Umano | In corso il digiuno contro l’inferno carceri
Lo sciopero “della fame e della sete” promosso dai Radicali. Le adesioni di migliaia di operatori, detenuti e famigliari. Obiettivo: una riunione straordinaria del Parlamento, dopo le parole del presidente Napolitano
Chissà, forse si toccherà perfino quota 2000. Almeno a guardare la sfilza di adesioni cresciute negli ultimi giorni, di ora in ora, all’appello dei Radicali per la giornata di “sciopero della fame e della sete”, per chiedere la convocazione straordinaria del Parlamento sull’emergenza carceri.
Il digiuno è iniziato dalla mezzanotte scorsa e andrà avanti per 24 ore. Oltre ai radicali (Marco Pannella innanzitutto, poi Emma Bonino e Rita Bernardini quest’oggi in visita ispettiva nel carcere di Rebibbia) e qualche rappresentante politico qua e là, a scendere in campo stavolta ci sono soprattutto coloro che l’emergenza la vivono e la affrontano ogni giorno: direttori degli istituti di pena, agenti in divisa (tutte le sigle sindacali di rappresentanza del mondo penitenziario hanno aderito), educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, cappellani e volontari. Oltre, ovviamente, a molti detenuti e loro famigliari. Tutti con la medesima motivazione: l’emergenza carceri è giunta a un punto di non ritorno, non solo nei numeri (67mila persone stipate contro 43mila posti), ma per le condizioni di vita sempre più invivibili ad ogni livello: vale a dire per ciò che il burocratese definisce “eventi critici” ma che spogliati dal linguaggio amministrativo significano 602 tentati suicidi (38 morti) nel solo 2011, 24 risse censite ufficialmente, continui episodi di auto-violenza (ferimenti, tagli, ingurgitamento di lamette, assunzione di gas tossici con le bombolette), per non dire delle difficoltà degli operatori: missioni non pagate ai poliziotti, carenze di vitto (tre pasti al giorno costano in media 3.8 euro, ma niente a che vedere coi menu di Camera e Senato), mancanza di soldi per le riparazioni (con il risultato che se si rompe un sanitario i detenuti vengono stipati ancora di più in altre celle).
Non a caso è stato lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a definire quella del carcere «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» e a sottolineare «l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona». Già, un abisso.
La proposta dei Radicali è nota: una amnistia «senza se e senza ma», che riporti la dimensione carcere in Italia a quella antica civiltà giuridica di cui meniamo vanto. Non piccole pezze, dunque, ma un’assunzione chiara delle forze politiche in Parlamento del fallimento delle scelte degli ultimi anni, a partire dal miraggio di un piano carceri che esiste solo sulla carta. Proprio domani, il neoministro della Giustizia, l’ex magistrato Nitto Palma, sarà in visita a Regina Coeli. Nei giorni scorsi ha chiarito la sua posizione: «niente amnistia ma sì alle depenalizzazioni». Gli ha fatto eco il segretario nazionale del Sidipe (Sindacato direttori penitenziari) Enrico Sbriglia: «Una buona intenzione, ma non basta». Citando che ben 4 commissioni parlamentari negli ultimi 20 anni non hanno cavato un ragno dal buco. Intanto, secondo indiscrezioni, starebbe prendendo corpo l’idea di consentire che gli ultimi due anni di pena possano trasformarsi in arresti domiciliari. Una soluzione che – è stato calcolato – svuoterebbe le carceri di (forse) 5mila persone. Insomma, niente più che un pannicello. Compresa la discriminazione fra chi il domicilio ce l’ha e chi ne è privo.
E che dire poi dell’emergenza giustizia in generale. Gente carcerata per “farla confessare”, decine di migliaia di persone in attesa di giudizio, per poi scoprire che per il presunto furto di un pacco di biscotti (da 2 euro) a Trento ci sono voluti tre anni tre di dibattimento. Che altro aggiungere, non basta?