Archivio di novembre 2011
Fattore umano | Un Acceleratore per le imprese “ristrette”
Parte da Milano A.I.R, un progetto per sostenere le attività imprenditoriali profit e non all’interno degli istituti penitenziari della città. Obiettivo: connettere il tessuto produttivo milanese con quello “intramurario”
L’inaugurazione è avvenuta nella sede di Vittorio Bottego 6 a Milano dove l’A.I.R. (Acceleratore Impresa Ristretta) prende le mosse. Un progetto del Comune di Milano, condiviso dal Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, che verrà realizzato dalla Cooperativa Sociale A&I Onlus. Gli obiettivi? Valorizzare le realtà produttive che operano da anni all’interno del circuito penitenziario milanese e sostenerle nel passaggio «da logiche assistenziali a dinamiche economico-commerciali». Inoltre, dal prossimo gennaio, l’A.I.R. aprirà anche a nuove imprese e cooperative la possibilità di avviare produzioni all’interno delle carceri.
Per partire, oltre 1 milione di euro. E, come prima iniziativa, un bando che mette quasi 600mila euro a disposizione delle micro e piccole imprese e/o cooperative operanti all’interno delle carceri Milanesi di Opera, Bollate, San Vittore e dell’Istituto Penale per minorenni Cesare Beccaria.
Il Comune di Milano – si legge nel bando – intende favorire l’accesso al mercato esterno e l’aumento di competitività delle imprese cosiddette “ristrette” che: dovranno presentare progetti di investimento finalizzati allo sviluppo commerciale e imprenditoriale, privilegiando attività che prevedano come finalità anche la diffusione esterna sia mediante il coinvolgimento di soggetti Terzi e di Imprese anche non “ristrette”, sia l’apertura di sedi esterne a fini commerciali e promozionali».
Oltre che su fondi ministeriali l’Acceleratore potrà contare sul sostegno finanziario e “tecnico” di Banca Prossima del gruppo Intesa San Paolo, esclusivamente rivolta al terzo settore. «Una delle finalità dei loro interventi – spiega Lorenzo Mancini (Responsabile progetti sociali Intesa San Paolo) – è di produrre strumenti innovativi come un particolare Rating che mette l’impresa nel cuore della complessa rete di relazioni di servizio che la legano alla società».
L’Acceleratore si presenta come una proposta innovativa già dall’utilizzo dei finanziamenti ministeriali messi a disposizione delle «aree periferiche». Spiega Cristina Tajani, Assessore al lavoro, sviluppo, università e ricerca del Comune di Milano: «il sistema penitenziario è sempre stato considerato periferico perché ai margini del tessuto sociale». Con A.I.R il detenuto potrà invece assumere «una nuova centralità e diventare co-protagonista dello sviluppo della città».
Secondo Francesca Valenzi del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria di Milano, proprio il lavoro potrà dare alle persone in esecuzione penale «la possibilità di conoscere e di sviluppare le loro potenzialità». Perché i detenuti possono essere «una risorsa». Ovviamente responsabilizzandosi in un quotidiano esercizio di cittadinanza sociale.
Fattore Umano | Bernardini: «Regina Coeli, carcere illegale»
Detenuti costretti a dormire sui pavimenti. Poco cibo, poche docce, poca carta igienica e ozio assoluto in cella per oltre 23 al giorno. La deputata radicale presenta un’interrogazione parlamentare e chiede l’intervento del Magistrato di Sorveglianza: «Una sentenza della Corte Costituzionale lo autorizza ad agire. Lo faccia»
«Siamo oltre il tollerabile, nel carcere di Regina Coeli la situazione è semplicemente illegale». L’On. Rita Bernardini non fa nessuno sconto dopo la sua visita ispettiva (non preannunciata) presso la casa circondariale romana, avvenuta il 22 novembre scorso. Dai risultati è nata un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri della Giustizia e della Salute e la decisione di portare a conoscenza di quanto emerso il Magistrato di Sorveglianza affinché si attivi «esercitando i poteri/doveri che gli attribuisce l’ordinamento penitenziario».
On. Bernardini, cosa ha potuto vedere?
Ormai si fatica persino a trovare le parole adatte. Lo spazio per ciascun detenuto è un terzo di quello che l’Europa impone per gli allevamenti di suini. A fronte di una capienza regolamentare di 724 posti e “tollerabile” di 1002, ci sono 1197 detenuti. Anche accettando la “capienza tollerata” c’è il 20% in più delle persone consentite. Ma non solo. Se si scava in questi numeri si capisce che il sovraffollamento non è casuale: i tossicodipendenti sono 672 (55%) e la somma di stranieri comunitari ed extracomunitari è di 676 (56%).
L’ennesima emergenza?
Definirla un’emergenza umanitaria è il minimo. Se non esplode è solo grazie alla responsabilità di polizia, operatori penitenziari e detenuti stessi. Ho potuto verificare che spesso a due soli agenti tocca sorvegliare 220 detenuti. Nel reparto “Nuovi Giunti” si dorme perfino sui pavimenti, in celle di circa 6 mq vivono in 3, mentre dovrebbe starci una sola persona, il blindato chiude dalle 18 fino al mattino e i detenuti possono fare solo 20 minuti di aria al giorno. Hanno dovuto trasformare in una cella per 5 persone perfino quella che prima era l’area ricreativa. Questo perché Regina Coeli, oltre ad essere stata costruita nel 1600, adesso ha una sezione e mezza chiuse per lavori di ristrutturazione.
Ma che fanno i detenuti nelle rimanenti 23 ore e 40 minuti?
Ozio più assoluto, senza nessuna socialità o poter almeno cucinare. Per non dire di gabinetti rotti, docce solo ogni due- tre giorni e un rotolo di carta igienica a settimana. Non ci sono i soldi per fornire detergenti, così le celle restano sporche. Il personale che ci accompagnava era imbarazzato, perfino umiliato nel descriverci la situazione.
Situazione igienica sotto il limite. E la situazione sanitaria?
C’è il rischio che scoppino epidemie di malattie contagiose come tubercolosi e scabbia. Inoltre c’è stato un taglio del 35% del monte ore degli psicologi penitenziari nel reparto “Nuovi giunti” per valutare le condizioni psicologiche di chi è appena entrato in carcere e il pericolo che compia atti di autolesionismo o violenza verso altri. Nella sezione Primo ingresso i detenuti dovrebbero permanere solo qualche giorno e poi andare nelle rispettive sezioni. Invece quasi tutti, a causa del sovraffollamento, sono costretti a restare chiusi in quel reparto anche per mesi e mesi.
Lei, tra l’altro, sollecita il Magistrato di Sorveglianza, dott. Tamburino, ad attivare i suoi poteri/doveri. Ma cosa potrebbe fare in concreto?
È un aspetto che ci tengo a sottolineare. Il Magistrato di Sorveglianza, secondo l’articolo 69 Ord. Pen., può esprimersi anche con – si legge – «disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati». In particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n. 266 del 23 settembre 2009, nel rivalutare il ruolo complessivo del Magistrato di Sorveglianza nei suoi rapporti con le altre istituzioni ed in particolar modo con l’amministrazione penitenziaria, precisa che «… la norma (l’art. 69 Ord. Pen.), nel quinto comma (“ultimo periodo”) dispone che il magistrato di sorveglianza «impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati». La parola «disposizioni», nel contesto in cui è inserita, non significa segnalazioni o inviti (tanto più che questa modalità d’intervento forma oggetto di apposita previsione nel primo comma dell’art. 69), ma prescrizioni ed ordini, il cui carattere vincolante per l’amministrazione penitenziaria è intrinseco alle finalità di tutela che la norma stessa persegue. Insomma c’è una sentenza della Corte Costituzionale che chiarisce i poteri/doveri del Magistrato di Sorveglianza. Quindi agire è possibile, non sollecitare o invitare, ma decidere. Chiaro no? Ricordo l’art. 27 della Costituzione secondo il quale «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Visto che abbiamo una bella Costituzione, perché non rispettarla?
Fattore Umano | Una class action contro il sovraffollamento
La denuncia collettiva potrebbe costare allo Stato italiano «almeno 4.720.540 euro»
«Dove è finita l’ipotesi di class action contro lo Stato» da parte dei detenuti italiani “vittime” del sovraffollamento? Che sviluppi ha avuto l’iniziativa dell’anno scorso promossa dai Radicali all’indomani della sentenza Sulejmanovic in cui la Corte Europea «condannava l’Italia al pagamento di una multa di 1000 euro per risarcire un detenuto costretto a vivere in cella, in uno spazio non regolamentare (inferiore a 7 metri quadrati a persona)?».
La questione, a distanza di un anno, rimane ancora aperta. A risollevare il tema un articolo di Fabio Galli pubblicato sull’ultimo numero di Cartebollate, il periodico di informazione della Seconda casa di reclusione di Milano-Bollate.
In concomitanza con la proposta dei Radicali, a fine 2010, ben 50 detenuti di 4 carceri siciliane e del penitenziario Fuorni di Salerno hanno tentato una class action rivolgendosi alla Corte europea di Strasburgo per denunciare «la situazione nelle carceri» e chiedendo un «risarcimento danni per le condizioni disumane» in cui erano costretti a vivere».
Ma non è un caso isolato. A giugno di quest’anno la «non osservanza delle norme imposte dalla Comunità Europea e della legge che disciplina le condizioni di detenzione carcerarie e della Convenzione sui diritti dell’uomo» sono stati oggetto delle motivazioni dell’ordinanza n°17/10 del giudice di sorveglianza di Lecce sul reclamo proposto a giugno 2010 da Slimani Abdelaziz.
Il detenuto richiedeva infatti al Tribunale l’accertamento della «lesione dei diritti soggettivi del detenuto e la conseguente liquidazione a titolo di indennizzo di 7.000 euro o quella maggiore ritenuta congrua secondo discrezionale giudizio di equità per aver sopportato detenzione inumana e degradante». Il giudice – si legge nell’articolo di Cartebollate – «si è attenuto agli standard decisi dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e di ogni forma di trattamento inumano e degradante». Parametri definiti dal Comitato per la prevenzione dalla tortura e dalle pene o dai trattamenti disumani o degradanti che stabilisce che «in cella singola si deve disporre di almeno 7 metri quadri di spazio utile, mentre in cella multipla lo spazio non deve essere inferiore ai 4 metri quadri per ogni detenuto». Un provvedimento che spinge la questione “valutativa” ben al di là di una semplice “valutazione volumetrica”.
Questo risarcimento “simbolico” rappresenta però un precedente importante che crea ampie possibilità di successo ad una class action da parte dei detenuti italiani ristretti in condizioni «degradanti» e «disumane» che violano le normative previste. Una “azione collettiva” di denuncia che – secondo quanto riportato dal periodico del carcere di Bollate – potrebbe costare allo Stato «almeno 4.720.540 euro».
Fattore Umano | Un “esperto di carceri” alla Giustizia
È l’appello al Governo, in vista della nomina dei Sottosegretari, promosso dalle maggiori associazioni e sigle che si occupano del drammatico stato degli istituti penitenziari
Il nodo potrebbe già essere sciolto nelle prossime 24 ore. Ma in attesa di conoscere gli interventi della neoministra Paola Severino in commissione Giustizia al Senato (martedì 29 novembre) e a Montecitorio (mercoledì 30 novembre) in tema di politica giudiziaria, qualcosa si può già fare: sottoscrivere l’appello affinché venga nominato un Sottosegretario alla Giustizia con delega all’amministrazione penitenziaria che sia già «esperto e autorevole». Un appello promosso da Antigone, Arci, Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti, La Società della Ragione, Unione delle Camere Penali Italiane, VIC-Caritas e sottolineato con forza dal Coordinamento Nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti.
Nel frattempo, mentre si discute su come frenare l’emergenza, i detenuti aumentano. E con loro anche i decessi: il “record della disperazione” segna una media aggiornata di 1 suicidio ogni 5 giorni, ndr.). Ragione per cui diventa perfino inutile discutere di nuove carceri da costruire che sarebbero pronte fra anni.
Anche per Mirko Manna, Segretario generale LiSiAPP (Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria), la soluzione al problema del sovraffollamento non si può risolvere con la sola applicazione del “Piano Carceri” bensì è necessario, come minimo, applicare le leggi. Rafforzando, ad esempio, le «misure alternative al carcere» – sottolinea il LiSiAPP – e depenalizzando alcune «condotte illecite minori», oltre a ridurre al «minimo» l’uso della custodia cautelare. Le soluzioni, dunque ci sono: basta metterle in pratica per evitare che il carcere continui ad essere una «discarica sociale».
Un punto su cui premono anche i Garanti dei detenuti italiani che sono scesi di nuovo in campo per chiedere al Governo una svolta sul carcere. Franco Corleone, coordinatore dei «Garanti della carta igienica», (come ormai si autodefiniscono, ndr.), si è quindi rivolto al Presidente del Consiglio e alla neoministra della Giustizia perché si nomini un Sottosegretario con delega al carcere «capace, competente e appassionato e che possa incidere positivamente sul dramma quotidiano delle carceri».
“Iva telefonica”. Sentiti ieri i marescialli De Luca e Fasano
Identificate in forma ufficiale le intercettazioni effettuate da GdF e ROS
Il processo per l’“Iva telefonica” è ripreso ieri con la testimonianza di Alessandro Fasano, maresciallo capo della Guardia di Finanza, e del maresciallo dei ROS Giovanni De Luca, uno dei più stretti collaboratori del capitano Francesco De Lellis, già sentito in aula dal PM Giovanni Bombardieri lo scorso 21 ottobre che ha partecipato alle indagini fin dalle prime battute, cioè dall’epoca della denuncia dell’imprenditore laziale Vito Tommasino a carico di Luca Berriola. I due militari hanno ricostruito in aula gli estremi delle intercettazioni telefoniche e delle caselle di posta elettronica. Per ogni utenza sottoposta a controllo sono stati elencati: data, orario, identità del comunicante e del comunicato. Un’udienza che ha consentito di esaurire una serie di incombenze tecniche, che verranno completate con la seconda parte della testimonianza del capitano De Lellis, in una delle udienze di dicembre.
Il processo ripartirà il 5 dicembre con la seconda parte della deposizione di Gianfranco Ciccarella, già Responsabile dal 2005 dell’Area Network di TIS.
Nell’udienza di ieri l’avvocato Ambra Giovene, difensore di Gennaro Mokbel, ha anticipato una dichiarazione spontanea del suo assistito, assente per un aggravamento delle sue condizioni di salute. La dichiarazione spontanea, ha riferito l’avvocato Giovene, riguardava «ciò che i giornali purtroppo in maniera molto invasiva stanno riferendo per un’operazione che non lo riguarda affatto e cioè (…) in merito alla vicenda Enav».
Fattore Umano | Detenuti in libertà, via etere
Nasce GRC, il primo giornale radio realizzato dai detenuti di Roma Rebibbia nuovo complesso e di Milano Bollate. Un progetto – spiegano i curatori – «per far parlare il carcere senza mettergli in bocca ogni volta le nostre parole»
Ieri sera la prima puntata. Il GRC avrà uno spazio ogni lunedì in diretta all’interno della trasmissione radiofonica Jailhouse Rock su Radio Popolare Roma (103.3 Fm) dalle 21 alle 22.30 e ogni domenica in replica nella stessa fascia oraria sulle frequenze della Lombardia. La trasmissione è curata da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti dell’Associazione Antigone. A Jailhouse Rock – spiega il Presidente di Antigone, Gonnella – «parliamo di rock e parliamo di carcere, incrociamo storie di musicisti attuali e del passato con le storie che ci provengono dalle nostre galere. Raccontiamo il carcere per come lo viviamo noi dal di fuori. Con questo nuovo spazio daremo invece voce a chi il carcere lo vive da dentro e di voce ne ha sempre troppo poca».
Cosa si dirà dal carcere?
Gli argomenti sono selezionati dai detenuti stessi che lavorano al giornale radio. Si tratta di due redazioni, una nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso e l’altra in quello milanese di Bollate, costituitesi allo scopo. Il GRC parla di tutto ciò che riguarda la vita all’interno dell’istituto. In pochissimi al di fuori sanno come si vive dentro un carcere giorno per giorno, ora per ora. Il giornale radio, al di là dell’evento eclatante che riesce a trovare spazio anche sulle testate ufficiali, vuole raccontare la galera nella sua quotidianità. Spesso un’assurda quotidianità.
Come sono stati selezionati i redattori e gli speaker?
Abbiamo lanciato la proposta a tutti i detenuti, e alcuni hanno risposto. A Rebibbia siamo stati aiutati dal fatto che, proprio nei mesi in cui cominciavamo il nostro lavoro, aveva preso il via un corso di giornalismo organizzato dall’associazione A buon diritto e rivolto ai detenuti interessati. Siamo stati coinvolti anche noi all’interno del corso e abbiamo chiesto agli studenti se volevano prendere parte al progetto di giornale radio. Sono stati entusiasti. Pure a Bollate, con l’aiuto anche del giornalista William Beccaro, la redazione ha mostrato una grande volontà di partecipazione. Redattori e speaker coincidono. I detenuti propongono i temi, si riuniscono in vere e proprie riunioni di redazione e incidono le notizie prescelte.
Per info e podcast della trasmissione visita il blog di Jailhouse Rock.
Fattore Umano | «La galera ha bisogno di aria e di luce»
Il corpo e lo spazio della pena: un libro di prossima uscita su architettura, urbanistica e politiche penitenziarie. A colloquio con uno dei tre curatori, Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti e Garante a Firenze. Le riforme possibili, le riflessioni sul senso della pena
«Il sovraffollamento delle carceri non è come un terremoto, un incidente naturale, al contrario è il frutto di scelte sbagliate». Chi parla è Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001, attualmente Garante per i diritti dei detenuti a Firenze e Coordinatore nazionale dei Garanti territoriali. Tra le mani mostra l’ultima fatica Il corpo e lo spazio della pena (Ediesse edizioni), in libreria dal prossimo 23 novembre. È il frutto di un lavoro collettivo, nato da due seminari del 2009 e 2010, di cui Corleone è uno dei tre curatori, accanto a Stefano Anastasia, docente di Filosofia e Sociologia del Diritto a Perugia, e Luca Zevi, architetto e urbanista.
«Nel libro c’è l’ambizione – aggiunge Corleone – di proporre un disegno di politica della giustizia e di politica penitenziaria. Mi auguro che il nuovo ministro abbia voglia di tenerne conto perché c’è tutto: da come concepire gli spazi e i luoghi dell’architettura penitenziaria, all’idea che il carcere debba essere un luogo di responsabilizzazione e non dove si ritorna infantili, c’è il tema delle pene alternative, dei limiti che deve avere la carcerazione preventiva e altro ancora. Sono 15 interventi, di altrettante persone che si dedicano da anni su questi temi, che non posso elencare tutti, ma che riflettono – ritengo – la frase finale con cui Adriano Sofri chiude il suo intervento che vorrei citare: “Io penso che il fine della pena sia la fine della pena”. Come non essere d’accordo?»
Dottor Corleone, si diceva degli spazi e dei luoghi dell’architettura penitenziaria…
Non si risolve l’emergenza con nuove carceri. Certo, bisogna costruirne di nuove ma giusto per chiudere quelle immonde dove adesso si accatasta la gente. Carceri vecchie, antiche, dove diventa difficile garantire il recupero, la salute e la dignità dei reclusi. Poi bisogna cominciare a distinguere: non si possono mettere negli stessi luoghi le mamme con i figli, le persone in attesa di giudizio, i semiliberi e i detenuti con il 41-bis. Bisogna differenziare, costruire luoghi diversi e separati, in questo consiste il ripensare l’architettura dell’edilizia penitenziaria.
Ma intanto c’è il degrado degli oltre 67mila ristretti…
Come dicevo, non è un degrado naturale e inevitabile, è frutto di errori, culturali e politici innanzitutto. In cifre: se in un anno passano dalle carceri 80mila persone, sappiamo che 26mila sono piccoli spacciatori, di cui 16mila sono tossicodipendenti, e che il 40% di chi entra è in attesa di giudizio. Che senso ha mischiare tutti negli stessi identici luoghi. Ci sono esperienze all’estero dove il tema della differenziazione dei luoghi è stato affrontato, penso alla Danimarca. Sarebbe anche un modo per introdurre responsabilità e non infantilismo. Che senso ha chiedere a uomini maturi, in attesa di giudizio, magari con una vita famigliare professionale alle spalle, di dover fare la “domandina” per una scatola di pomodori? Che senso ha mettere negli stessi luoghi chi è in semilibertà e chi deve scontare venti anni? Ad esempio, bisognerebbe creare quelle che chiamiamo le Case della semi-libertà, luoghi dove costruirsi il futuro.
Oltre l’architettura?
Oltre l’architettura, oltre il corpo e lo spazio della pena, c’è tutto il resto: ripensare il senso della pena, abolire leggi criminogene sulla droga che inchiodano nelle carceri decine di migliaia di persone, chiudere gli OPG, fare davvero una riforma della giustizia, riscrivere il codice penale, rivisitare la riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria limitandone i compiti al controllo delle sezioni del 41-bis e dell’Alta Sicurezza, alle traduzioni e alla vigilanza antievasione.
E le altre funzioni?
Affidarle a un Corpo civile che sviluppi percorsi educativi e trattamentali riprendendo, ad esempio, il modello della Catalogna. Le cose da fare sono molte e possibili. Ma siamo in ritardo.
Fattore Umano | De Federicis: «Giustizia e istituti di pena al collasso. Le nostre proposte»
Intervista al Responsabile Osservatorio Carcere UCPI sui progetti e gli obiettivi dei penalisti italiani: riforma della custodia cautelare, potenziamento dei domiciliari, revisione del sistema sanzionatorio. E un sito di informazione e denuncia sulle patrie galere
Avv. De Federicis, cosa è emerso sul sistema penitenziario?
In moltissimi interventi, così come nella relazione del Presidente Spigarelli, è stata evidenziata la drammatica situazione del nostro sistema penitenziario ormai prossimo al collasso. In particolare si è unanimemente ritenuta la necessità di riformare l’istituto della custodia cautelare, con la previsione del carcere solo in casi di eccezionale rilevanza e con il potenziamento della misura degli arresti domiciliari, unitamente alla riforma del sistema sanzionatorio con la previsione di istituti differenti ed alternativi a quelli carcerari. Si è infine rilevata l’inadeguatezza attuale delle misure alternative alla detenzione in Italia, anche attraverso una ricerca effettuata con l’Università di Torino, i cui risultati confermano quello che gli avvocati penalisti già sapevano. Insomma tante idee e soluzioni per una giustizia migliore che dovranno trovare, però, il modo di essere veicolate nell’opinione pubblica per creare quel consenso alle riforme che oggi si è arenato nelle secche della politica.
Conferma che intendete creare un sito ad hoc per parlare di carceri?
L’idea del sito nasce dalla volontà dell’attuale giunta di individuare canali di comunicazione più efficaci e moderni. L’UCPI ha già sperimentato con successo un analogo sito sulla separazione delle carriere (altra storica nostra battaglia), e da qualche mese abbiamo anche un profilo su Facebook ove registriamo numerosi contatti quotidiani. Gli obiettivi sono quelli di un’immediata e corretta informazione sul carcere ad uso interno ma anche e soprattutto esterno, valorizzando gli ormai consolidati contatti con le altre associazioni che si occupano di carcere.
A che punto è il lavoro di raccolta delle denunce sulla situazione sanitaria in carcere?
Per quel che riguarda l’iniziativa delle denunce presentate nelle Procure italiane sulla situazione sanitaria all’interno degli istituti penitenziari, le stesse sono o stanno per essere tutte archiviate. Dalla lettura degli atti istruttori emerge però, nella quasi totalità, una forte consapevolezza dell’illegittimità in cui versano gli stessi ma non si ritengono, correttamente, penalmente responsabili i direttori degli istituti penitenziari all’epoca denunciati.
Altri impegni nell’agenda 2012?
Nel programma dell’anno prossimo sul carcere un punto fermo sarà quello di denunciare con forza e nel contempo proporre soluzioni rispetto allo scandalo degli OPG e delle case di lavoro. Per farlo abbiamo pensato di organizzare un convegno nazionale di due giorni nel quale invitare gli esponenti della magistratura e della politica per cercare insieme di risolvere uno dei più grandi scandali italiani, venuto anche mediaticamente alla ribalta grazie ad alcune coraggiose inchieste giornalistiche che hanno denunciato la situazione delle persone ristrette in quei luoghi.