Archivio di novembre 2011
Fattore Umano | Camere Penali in sciopero
Dal 14 al 18 novembre, cinque giorni di astensione dalle udienze e di confronto pubblico nei Tribunali per ripristinare «il diritto alla difesa». Per Spigarelli, presidente della UCPI: «Il segreto professionale deve tornare un tabù invalicabile». Mentre la riforma dell’ordinamento professionale, auspicata, «deve puntare alla qualità con percorsi di specializzazione»
Il diritto alla difesa? «È uno dei capisaldi dello stato democratico e il difensore ne è l’interprete essenziale». Ma, nell’attuale momento storico, «una serie di elementi mirano ad indebolire, e di fatto indeboliscono, la figura e la funzione dei difensori». Non usano mezze parole gli avvocati penalisti d’Italia nel denunciare lo «stato di difficoltà» in cui si trovano ad esercitare. Per questo l’UCPI (Unione delle Camere Penali Italiane) ha indetto una “cinque giorni” di astensione dalle udienze e dalle altre attività processuali, dal 14 al 18 novembre compreso, durante i quali in tutti i Tribunali d’Italia si discuterà su come uscire da una situazione definita di «grave attacco al ruolo del difensore».
«C’è un punto prioritario – spiega l’avvocato Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane – occorre ristabilire un’area sacra, invalicabile, tra assistito e difensore, dove nessuno può pretendere di entrare. E invece assistiamo sempre più spesso al contrario. Un fatto grave, che non è certo l’unico aspetto della nostra protesta».
Presidente Spigarelli, ci spieghi meglio?
Osserviamo che si moltiplicano i casi in cui, ad esempio, la Polizia Giudiziaria o i PM utilizzano intercettazioni fra un assistito e il suo avvocato per, magari, sottoporre qualcun altro a richieste di intercettazioni o richiedere al GIP provvedimenti di proroga delle indagini o di custodia cautelare. È inaccettabile. Vogliamo che gli italiani sappiano che il loro diritto di parlare liberamente con il proprio avvocato sta venendo meno, viene compromesso da norme interpretate in modo distorto. Non si può tacere, ad esempio, sul fatto che a disporre la revoca del segreto professionale sia un PM, com’è accaduto a Napoli con il caso Tarantini. Può, in certe circostanze, farlo un giudice, ma non certo un PM.
Un altro esempio?
Be’, all’avvocato difensore di Bisignani è capitato di leggere sul Corriere della Sera dei dialoghi fra lui e il suo assistito. Una telefonata del tutto innocente, ma non è questo il punto. Il poliziotto che ascolta dovrebbe fermarsi quando sente che una persona, chiunque esso sia e di qualunque cosa sia indagato, sta parlando col difensore. È vero che si tratta di materiale inutilizzabile dal punto di vista processuale, ma di fatto gli avvocati si ritrovano intercettati nelle carte processuali.
Che fare?
C’è una proposta che rimanda alla modifica dell’art. 103 del codice di procedura penale. È già pendente in Parlamento dal 2008, noi chiediamo che si sblocchi: in pratica si fa obbligo a chi intercetta di interrompere ogni ascolto e non trascriverlo, quando c’è di mezzo un avvocato difensore.
La modifica del 103 non è però l’unico motivo dello sciopero…
La lista è lunga, ed è per questo che abbiamo deciso di aprire ai cittadini e alle forze sociali la possibilità di discuterne a fondo. In sintesi, un altro elemento è la riforma dell’ordinamento professionale. Si parla di liberalizzazioni e tariffe, ma nel nostro caso si deve partire dal fatto che ci sono in Italia 200mila penalisti, una cifra enorme che, di fatto, rende già la nostra professione ultra-concorrenziale. Semmai il tema è quello della qualità della difesa, e su questo la nostra proposta è chiara: chiediamo che ci siano esami di accesso alla professione più rigorosi, che vi sia l’obbligo di un percorso di specializzazione e che venga anche riformato il procedimento disciplinare per gli avvocati.
Sono previste anche due manifestazioni nazionali?
Sì, il 14 a Verona e il 17 a Roma. Posso anticipare inoltre che a Roma il giorno 16 si confronteranno il Preside e i ragazzi di quinta del liceo Manara, il giornalista di Report Paolo Mondani, il presidente dell’ANM romana e il responsabile giustizia della CGIL. Insomma, vogliamo un dialogo a 360°.
Processo “Iva Telefonica”. Tutto rinviato al 22 novembre
Salta anche l’appuntamento del 10 novembre. Si terrà udienza il 5 gennaio
Dopo le udienze “tecniche”, dedicate alle procedure necessarie per l’ammissione tra gli atti di numerose intercettazioni, era prevista oggi la ripresa delle testimonianze al processo sull’“Iva telefonica” che si celebra presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma. Ma un membro del Collegio giudicante, la dottoressa Alessandra Cupone, è stata costretta a dare forfait. Il «Collegio precario», come viene definito in questi casi in linguaggio giuridico, si è così aggiornato a nuova data. Per lo stesso motivo è stata cancellata l’udienza già prevista per giovedì 10 novembre. Il rinvio è destinato a protrarsi fino al giorno 22 perché la settimana prossima, dal 14 al 18, è prevista l’astensione dalle udienze indetta dalle Camere Penali.
La seconda ed ultima parte della deposizione dell’ingegner Gianfranco Ciccarella, già Responsabile dal 2005 dell’Area Network di TIS, slitterà perciò al giorno 22 novembre. Nella stessa udienza dovrebbe trovare spazio la testimonianza del maresciallo dei ROS Giovanni De Luca. La testimonianza di Ciccarella, manager che rispondeva della sua attività direttamente all’Amministratore delegato Stefano Mazzitelli, ha preso il via il 20 ottobre scorso. In quell’occasione Ciccarella era stato chiamato a spiegare le presunte «anomalie tecniche» nei rapporti che intercorrevano tra Telecom Italia Sparkle e le società coinvolte nella presunta truffa sull’Iva. A partire dall’instradamento rigido del traffico che: non si trattava di un’anomalia, ha precisato Ciccarella bensì una richiesta, assolutamente normale, da parte del cliente. Sempre sul piano tecnico, il manager ha confermato che non era possibile per il gestore verificare il contenuto del traffico. Infine, ad una domanda del PM sull’eventuale carattere anomalo dell’andamento uniforme del traffico nelle 24 ore, Ciccarella ha risposto che il traffico non era sospetto perché il rapporto riguardava utenze telefoniche che coprivano diversi fusi orari.
Il maresciallo dei ROS Giovanni De Luca, uno dei più stretti collaboratori del capitano Francesco De Lellis, già sentito in aula dal PM Giovanni Bombardieri lo scorso 21 ottobre, ha partecipato alle indagini fin dall’inizio, cioè dall’epoca della denuncia dell’imprenditore laziale Vito Tommasino a carico del Berriola da cui ha preso il via l’inchiesta. De Luca ha curato tra l’altro le attività di intercettazioni, compresa, come recita la formula ufficiale, «la loro refutazione nella parte occlusiva» che precede la stesura dell’informativa.
Dopo le due testimonianze l’iter processuale proseguirà nel mese di dicembre, a partire dal giorno 5. In quella sede, salvo ulteriori intoppi, riprenderà la testimonianza del capitano dei ROS De Lellis che probabilmente occuperà più di un’udienza. Il resto del mese dovrebbe essere dedicato all’interrogatorio dei testi esteri citati dall’accusa, chiamati a deporre in aula sulle triangolazioni internazionali effettuate dagli ideatori della presunta evasione. Non è escluso che l’esame dei testi presentati dalla Procura possa chiudersi entro il 2011. In ogni caso il Presidente della Prima Sezione penale, il dottor Giuseppe Mezzofiore, ha aggiunto al calendario una nuova udienza, fissata per il 5 gennaio 2012.
Fattore Umano | «Giustamente». Un viaggio nelle carceri italiane
Un reportage sulla condizione della detenzione nel nostro Paese. Girato in otto istituti di pena, il video è presentato da Fainotizia.it, primo sito di giornalismo partecipativo italiano diventato poi format di inchieste distribuite di Radio Radicale
In carcere il silenzio è prezioso. Quasi come la libertà. Anche solo un attimo di intimità – per riflettere, comprendere e aspettare – non è concesso. Giustamente? È così: il tintinnio delle chiavi, il lamento dei compagni di cella, i passi della “guardia” che passeggia nel corridoio con la chiave appesa alla cintura, non concedono un momento di pace. Giustamente? E quando il silenzio arriva ti accorgi che il tuo compagno di cella si è tolto la vita. Giustamente? Il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio. E 15mila di loro risulteranno innocenti dopo aver passato anche mesi ad aspettare il momento della verità. Giustamente?
Questa è solo una parte dell’“universo carceri”. Una piccola parte di un viaggio da compiere perché «per conoscere la civiltà del tuo Paese devi visitare le sue carceri». Giustamente. Un’esperienza conoscitiva e critica raccontata in un reportage «in cui le telecamere non erano mai entrate».
Girato in otto istituti di pena italiani è presentato da Fainotizia.it. Un lungo lavoro svolto per poter presentare una realtà in cui vivono stipate migliaia di persone spesso in condizioni al limite della legalità costituzionale. Valentina Ascione, Simone Sapienza sotto la regia di Pasquale Anselmi, hanno concluso il loro viaggio. Agosto, settembre e ottobre 2011: 3 lunghi mesi in cui hanno raccolto testimonianze, immagini e suoni catturati all’interno delle carceri di Messina, Palermo Ucciardone, Giarre, Favignana, Sassari, Brescia, Perugia e Padova.
Su l’Espresso – che ha dedicato un ampio articolo all’iniziativa dei Radicali – il lavoro viene descritto come un viaggio fatto di «immagini spesso rare, come quelle girate all’interno della fortezza di Favignana, già definita “una tomba” nell’800 da Alexander Dumas». Sull’isola siciliana, continua l’articolo – «le celle sono a livello seminterrato, si affacciano all’interno del vecchio fossato della struttura. Qui in molti internati scontano il cosiddetto “ergastolo bianco”, un vecchio retaggio della legislazione fascista che mantiene in cattività persone che hanno già scontato la loro pena ma sono ritenute socialmente pericolose». «In teoria – si legge – la loro condizione non dovrebbe equivalere a quella dei detenuti, nella pratica la distinzione rimane sulla carta».
Radio Radicale ha scelto di mettere il proprio materiale a disposizione di telegiornali e reti televisive pubbliche e private, per favorirne la maggior diffusione possibile e «riparare, almeno in parte, al grave deficit di informazione su un tema rimosso dall’agenda politica del nostro Paese».
Qui potete vedere il reportage.
Fattore Umano | Antigone: le nostre carceri sono «malate»
Le prigioni malate. Presentato l’ottavo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia
La diagnosi è ormai chiara: il paziente è gravemente malato. Ha bisogno di cure immediate. Il sistema penitenziario è in affanno e il sovraffollamento, unito alla carenza di fondi, sta peggiorando un quadro clinico già critico da troppo tempo.
Al 30 settembre erano 67.428 le persone recluse all’interno degli istituti penitenziari italiani, 21.611 in più rispetto alla «capienza regolamentare». Il tasso di sovraffollamento è ormai di 147 detenuti ogni 100 posti. Peggio di noi solo la Serbia: l’Italia, infatti, secondo l’ultima rilevazione del Consiglio d’Europa (settembre 2009) aveva un tasso di sovraffollamento pressoché invariato (148,2%), un triste record in Europa, superato solo dal Paese balcano (157,9%).
Sul totale dei detenuti presenti (al 30 settembre), ben 14.639 sono in attesa di primo giudizio; 28.564 sono imputati; 1.571 internati (sottoposti all’esecuzione delle misure di sicurezza detentive come colonia agricola, casa di lavoro, casa di cura e custodia, ospedale psichiatrico giudiziario). Dei 37.376 detenuti con condanna definitiva (al 30 giugno) il 26,9% ha un residuo di pena fino ad un anno e il 61,5% fino a 3 anni.
Secondo l’elaborazione pubblicata dall’Osservatorio di Antigone in base ai dati forniti dal DAP, il primato di «istituto più sovraffollato di Italia» è del carcere di Lamezia Terme con un «indice di affollamento» del 303%. A seguire il carcere di Canton Mombello a Brescia (258%) e di Busto Arsizio (253%).
Il lavoro di analisi e documentazione dell’Associazione Antigone testimonia inequivocabilmente che non c’è molto tempo da perdere: bisogna intervenire. L’universo degli istituti di pena italiani – come scrive nella prefazione al Rapporto di Giuliano Pisapia –, possono essere resi «luoghi più consoni a quella che dovrebbe essere la loro missione». Una strada percorribile dettata anche dalla nostra Costituzione che indica la detenzione non solo come punizione, ma come «percorso di recupero per chi ha infranto le leggi e commesso dei reati». Ma l’escalation, definita dal primo cittadino di Milano «paradossale ma vera», di presenze di detenuti «stipati» nelle nostre carceri, conferma la definizione di carcere come «discarica sociale».
Basta leggere i numeri. Sempre più allarmanti.