Archive del 2011
L’avvocato Merluzzi: “Dai PM palesi contraddizioni”
Secondo il legale degli ex dirigenti TIS, Mazzitelli e Comito: “La Procura ha dimostrato un atteggiamento del tutto autoreferenziale. E adesso si sono accorti dell’errore…”
“Autoreferenziali e in palese contraddizione fra loro”. È perentorio il giudizio che l’avvocato Fabrizio Merluzzi, difensore degli ex dirigenti di TIS, Stefano Mazzitelli e Massimo Comito, esprime rispetto alle requisitorie con cui i PM Passaniti e Bombardieri, nella quinta udienza, hanno replicato alle “eccezioni” prodotte dai collegi di difesa, chiedendo al Tribunale di respingerle. “Prendo atto – aggiunge Merluzzi – che una risposta tecnica alle eccezioni non l’abbiamo sentita. Il che la dice lunga”.
La dice lunga su cosa, avv. Merluzzi?
Sul fatto che la Procura ha un atteggiamento autoreferenziale. Nelle requisitorie abbiamo sentito passaggi inaccettabili…
Ad esempio?
I PM hanno detto che siccome la Procura ha lavorato quattro anni, siccome il Tribunale del Riesame gli ha dato ragione, allora in pratica l’udienza preliminare poteva diventare inutile. È come se dicessero: poiché sappiamo di avere ragione, si fa come diciamo noi. Ma allora mi domando: se una Procura pensa di avere ragione e questo fa premio su tutto, che si fanno a fare i processi? A che serve il dibattimento?
Accennava a “palesi contraddizioni”…
Certamente. È stata la dottoressa Passaniti a dire che il giudizio immediato non necessita di una valutazione di merito del GIP il quale, pur non conoscendo il fascicolo prende atto della situazione di custodia cautelare degli accusati e dispone il rito su richiesta delle Procura.
Dunque?
Poi, però, pochi minuti dopo, abbiamo sentito il sostituto Bombardieri sostenere che adesso è il Tribunale che non può valutare la decisione del GIP di concedere l’immediato poiché, mentre il GIP valuta gli atti, il Tribunale non può farlo perché non li conosce. Quindi, in un caso si sostiene che il GIP non entra nel merito, nel secondo che è il Tribunale a non poter entrare nel merito, perché tanto lo ha già fatto il GIP. Se non è una contraddizione… vorrei che qualcuno mi spiegasse se per la Procura il GIP Paolicelli poteva entrare nel merito degli atti o non poteva, perché le abbiamo sentite entrambe.
Quindi?
La verità è che, a seconda delle eccezioni delle difese cui intendevano replicare, i PM hanno detto una cosa e il suo contrario. In palese contraddizione. I PM hanno anche chiesto, in subordine, al Tribunale di separare eventualmente il “delitto fiscale” da quello “associativo”. Che ne pensa? Faccio io una domanda: perché non lo hanno detto prima? Perché, al contrario, hanno agito fin dall’inizio come se i reati non potessero essere scissi e, anzi, proprio su questo, hanno costruito la richiesta di rito immediato, tra l’altro senza disporre dell’“evidenza della prova”?
Ha un’ipotesi?
È evidente. Perché per il reato fiscale erano scaduti i termini, quindi le persone andavano liberate e processate per rito ordinario. Invece, la Procura ha fatto di tutto perché i due reati non venissero separati e gli accusati restassero agli arresti, in quanto erano già agli arresti. Ora si sono resi conto dell’errore…
Ma se adesso il Tribunale decidesse per la separazione?
Si creerebbe una situazione assurda, per la quale si può discutere del mezzo, cioè del reato associativo, ma non del fine, cioè il reato fiscale. Mi spiego meglio: se il fine delle persone era il reato fiscale, il fatto di associarsi diventava il mezzo per raggiungere quel fine. Ma se dovessero essere separati i procedimenti, ci troveremmo nella situazione di non poter discutere del reato fiscale, quindi fare domande, accettare documenti o testimoni relativi al reato fiscale, poiché non costituisce l’oggetto del processo. Ma a quel punto come si potrà discutere del mezzo, cioè del delitto associativo?
Conclusioni?
Questo processo andava fatto con rito ordinario.
Nessun elemento nuovo dai PM
“Una settimana in più o in meno può sembrare un’inezia se si confronta con i mesi con i mesi di carcere preventivo” commenta Libero a proposito dell’udienza del processo sulla “frode Carosello” aggiornato a lunedì 17 in attesa delle decisioni del Collegio della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma sulle eccezioni sollevate dai difensori degli imputati sul rito immediato.
“Tuttavia – aggiunge – i sei giorni protraggono un’agonia che rischia di lasciare ferite psicologiche impossibili da rimarginare. Silvio Scaglia lo sa bene. Lo ha imparato il 26 febbraio scorso quando l’imprenditore è rientrato in Italia di su spontanea volontà a seguito della notizia di un mandato d’arresto emesso tre giorni prima. Atterrato a Ciampino si consegnò alla Guardia di Finanza passando senza soluzione di continuità dal sole sudamericano al buio della cella romana. L’intenzione era quella di raccontare ai giudici la sua versione dei fatti. Una premura (nemmeno immaginata da altri) che non lo ha salvato dall’arresto preventivo”.
Così Libero affronta l’aspetto più tragico ed inquietante, cioè la negazione della libertà individuale, all’interno di una partita giudiziaria aggrovigliata e complessa. Dalla replica dei PM Passaniti e Bombardieri alle eccezioni delle difese è emersa una prima crepa nella scelta del rito immediato. La pubblica accusa ha infatti ipotizzato, “in via subordinata” che se i giudici dovessero ritenere parzialmente fondate le eccezioni delle difese, si potrebbe separare il procedimento relativo agli “illeciti tributari” rispetto a quello dell’“associazione a delinquere”.
“L’idea di separare il processo – commenta al proposito su MF l’avvocato Pier Maria Corso, legale di Silvio Scaglia – rappresenta il riconoscimento che l’eccezione è fondata”. “La Procura – ha aggiunto l’avvocato Corso – è stata molto abile e suggestiva nell’esporre le motivazioni secondo cui il Tribunale dovrebbe respingere le nostre eccezioni, ma oltre a non presentare alcun elemento idoneo a superarne le ragioni non ha affrontato il tema centrale: non si può infatti disporre il rito immediato per un procedimento che riunisce due reati in cui per uno è prevista la custodia cautelare, mentre nell’altro no”.
Le “suggestioni” cui è ricorsa la Procura riguardano le dimensioni della presunta frode, illustrate con immagini forti del tipo “il fiume di denaro che l’associazione per delinquere ha fatto circolare tra Panama, Singapore e la Svizzera che equivale a 10mila rapine per un importo di 40mila euro ciascuna”, come riferisce Repubblica.
In realtà, nel ricostruire i meccanismi “della truffa ben congegnata di cui sono stati vittime Fastweb e l’ingegner Scaglia”, si prende atto che la Procura non è stata in grado di individuare dove siano finiti i soldi.
Oggi, quinta udienza
I legali di Scaglia: “Tardiva e irrituale la richiesta della Procura”
I PM ai giudici: respingete le “eccezioni” delle difese. Ma poi, in subordine, prospettano una separazione processuale per il reato “tributario” e il “delitto associativo”. La replica dei difensori del fondatore di Fastweb: “è il riconoscimento che le nostre eccezioni sono fondate”
Le eccezioni delle difese? Tutte da respingere. È stata questa la linea, oltremodo scontata, tenuta dai PM questa mattina alla ripresa del processo per “frode Carosello” che si svolge presso la Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma.
Meno scontata, invece, appare a questo punto la decisione che sulle “eccezioni” prenderanno i giudici: una decisione inizialmente prevista per oggi, che è invece slittata alla prossima udienza che si terrà lunedì 17 gennaio, in considerazione delle “molte questioni” sollevate con le eccezioni stesse dai legali degli imputati.
Tra le argomentazioni dei PM che hanno preso la parola – il sostituto Francesca Passaniti e il sostituto Giovanni Bombardieri – va rimarcato come, a fronte di argomentazioni scontate in difesa della loro attività di indagine, sia emersa anche una richiesta che, per diversi avvocati difensori, è stata subito etichettata come quantomeno “irrituale”.
Per i PM infatti, qualora i giudici dovessero ritenere fondate o parzialmente fondate alcune considerazioni emerse dalle difese (in particolare quelle relative alla separazione dei procedimenti per Fastweb e TIS e alla scelta del rito immediato), sarebbe comunque opportuno “in via subordinata” che si decidesse di separare il procedimento relativo agli “illeciti tributari” rispetto a quello dell’“associazione a delinquere”. Ciò significa, in altre parole, che qualora accadesse alcuni imputati si ritroverebbero nella paradossale situazione di essere giudicati per “rito ordinario” rispetto al primo reato, (ovviamente da un altro collegio di giudici che dovrebbero istruire un nuovo dibattimento rispettando le regole della competenza territoriale), e giudicati invece secondo “rito immediato” rispetto al secondo reato.
Al tal proposito va registrato il comunicato emesso dai difensori di Silvio Scaglia, prof. avv. Piemaria Corso e prof. avv. Antonio Fiorella: “La Procura è stata molto abile e suggestiva nell’esporre le motivazioni secondo cui il Tribunale dovrebbe respingere le eccezioni presentare dalla difesa, ma dal nostro punto vista non ha presentato alcun elemento idoneo a superare le ragioni delle eccezioni. Infatti non ha affrontato un tema centrale: secondo la legge non si può disporre il rito immediato per un procedimento che unisce il reato associativo, per il quale si può richiedere la custodia cautelare a quello fiscale, che invece non lo prevede. Perciò l’ipotesi di separare il procedimento relativo al reato fiscale da quello associativo appare strumentale e tardivo, oltre che irrituale, ed entra in rotta di collisione con la linea tenuta finora dalla Procura, ma soprattutto rappresenta il riconoscimento che l’eccezione è fondata. In ogni caso il Tribunale farà le proprie valutazioni per arrivare ad una decisione che noi accetteremo serenamente”.
A questo punto, lunedì prossimo, la decisione finale dal collegio dei giudici, presieduti dal dottor Giuseppe Mezzofiore.
Riparte il “Processo Carosello”
Oggi si decide sul rito abbreviato
Si riparte. Stamane, presso la Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma, riprenderà il processo per la “frode Carosello”.
Davanti al Collegio giudicante, presieduto dal dottor Giuseppe Mezzofiore, la pubblica accusa replicherà alle eccezioni sollevate da diversi difensori contro la decisione del GIP Paolicelli di concedere il rito immediato, su richiesta della Procura.
Nell’ultima udienza, prima della pausa per le festività, il PM presente in aula, la dottoressa Francesca Passaniti, aveva chiesto al presidente del Collegio i termini per poter rispondere ai quesiti. È probabile che, dopo la replica della pubblica accusa, il Collegio giudicante si ritiri per una decisione che potrebbe già essere comunicata nel coro dell’udienza.
Gli scenari possibili:
- il Collegio giudicante respinge tutte le eccezioni. In tal caso, il processo va avanti nella forma attuale;
- al contrario, il Collegio accoglie le richieste delle difese in toto. Di conseguenza, il fascicolo torna ai PM per l’istruzione della causa secondo il rito ordinario;
- vengono stralciate le posizioni di alcuni imputati;
- viene ritenuta fondata l’eccezione di incostituzionalità per l’interpretazione estensiva data all’articolo 453/1 bis del Codice di procedura penale. In tal caso il processo si ferma in attesa della pronuncia della Suprema Corte.
Le eccezioni delle difese vertevano principalmente su:
- il fatto che si sia disposto di procedere anche per fatti di cui erano già decaduti i termini di custodia cautelare;
- la distinzione delle posizioni delle persone fisiche da quelle giuridiche;
- la violazione del diritto al contraddittorio. In particolare, per quanto riguarda Silvio Scaglia, non è stata esaminata la memoria difensiva dell’ingegnere, regolarmente presentata nei termini di legge;
- la violazione del diritto di difesa poiché ad oggi, come lamentano alcuni difensori, non risulta nella loro disponibilità una parte rilevante della documentazione;
- l’eccezione di incostituzionalità, in merito alla decisione di concedere il rito immediato non sulla base di “prove evidenti”, come espressamente previsto dalla legge, ma solo perché gli imputati erano già sottoposti al regime di custodia cautelare.
La parola alla difesa (2)
I legali di Scaglia: “Ignorati fondamentali atti difensivi”
Sul decreto di rito immediato emergono: 1) un “difetto radicale” nei presupposti di emissione; 2) questioni di “legittimità costituzionale”. Inoltre, il GIP non ha tenuto conto della memoria dei legali del fondatore di Fastweb: in palese violazione del contraddittorio
Il decreto di “giudizio immediato” richiesto dai PM e disposto dal GIP Paolicelli, presenta non soltanto un “difetto radicale” nei presupposti per i quali è stato emesso, ma pone anche rilevanti questioni di “legittimità costituzionale” che investono l’art. 405 co. 1 bis c.p.p.. Sono queste, in sintesi, le “eccezioni” ribadite dai legali di Scaglia ai giudici della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma (udienza del 21 dicembre 2010), sulle quali il collegio giudicante dovrà ora esprimersi, presumibilmente nell’udienza del 12 gennaio, sia in merito alla richiesta di “nullità” del giudizio immediato, sia sull’ipotesi di un rinvio alla Corte costituzionale della materia relativa all’art. 453 che disciplina i “casi e i modi” dello stesso giudizio immediato.
Ma vediamo più in dettaglio, seguendo i documenti dei legali, le motivazioni delle “eccezioni”:
“Difetto radicale” per il giudizio immediato
L’instaurazione del “procedimento speciale” ha di fatto privato Silvio Scaglia (e non solo) di garanzie e facoltà difensive che ora “non possono essergli restituite”. Vi sono state, infatti, “violazioni di norme procedimentali, concernenti l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’imputato, nonché violazioni del diritto di difesa personale e tecnica”. In particolare: 1) si è prodotta la soppressione dell’udienza preliminare; 2) è stato violato il principio del contradditorio; 3) si è omesso di rispondere all’articolata memoria presentata dalla difesa di Scaglia il 21 luglio 2010 (prima cioè del decreto di giudizio immediato del 10 agosto 2010). Ma soprattutto – aggiungono i legali – “difettano le condizioni di instaurazione del giudizio immediato”, per più ragioni:
- la mancanza di “prova evidente” (che continua a costituire un presupposto indispensabile);
- il fatto che per l’“illecito tributario” non potesse disporsi il giudizio immediato per decorrenza dei termini di custodia cautelare;
- di conseguenza, volendo procedere cumulativamente sia per l’“illecito tributario” che per l’“associazione a delinquere”, il rito immediato non poteva essere disposto poiché, come prescrive l’art. 453, comma 2, secondo periodo c.p.p.: “se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario”.
Da qui la richiesta di “nullità” della decisione del GIP.
Violazione del principio del contradditorio
Scrivono i legali: “Con particolare riferimento alla situazione dell’ing. Scaglia, il decreto risulta emesso in palese violazione del contradditorio, in quanto in esso è omessa qualsivoglia replica, considerazione o anche semplicemente menzione di un fondamentale atto difensivo depositato presso l’Ufficio del gip di Roma”. Che fine ha fatto quell’atto? Come mai non se ne è tenuto conto, visto che proprio con quella memoria la difesa chiedeva al GIP di respingere la richiesta dell’Ufficio del PM di giudizio immediato?
Al contrario, proprio nel successivo decreto di giudizio immediato, disposto l’8 agosto 2010, emerge “come detto atto difensivo non sia stato in alcun modo preso in considerazione, a differenza di quanto è avvenuto per le memorie presentate da altri difensori”. Fatto che, di per sé, dimostra come “con riferimento alla posizione dell’ing. Scaglia, nessun contradditorio è mai stato assicurato al medesimo… in radicale violazione dei diritti costituzionali di difesa”.
Una palese violazione, dunque, che impone una volta rilevato il vizio che “si proceda allo stralcio della posizione specifica dell’ing. Scaglia, con conseguente regressione alla fase preesistente al fine di valutare gli argomenti presentati dalla difesa con la memoria sopramenzionata”.
Illegittimità costituzionale art. 453 co.1 bis c.p.p.
Tra le eccezioni sollevate dalla difesa di Scaglia va infine sottolineata la richiesta rivolta al collegio dei giudici di rinviare al parere della Corte costituzionale i dubbi di “legittimità” che emergono in relazione art. 453 co.1 bis c.p.p. Nel richiamare tale articolo, secondo i difensori, “oltre ad apparire dubbio che sia legittimo costituzionalmente il giudizio immediato” (anche se disposto sul presupposto dell’evidenza della prova, ma che qui non c’è, ndr.), “appare certa l’illegittimità ove il giudizio medesimo prescinda da ogni verifica del carattere incontrovertibile della prova di colpevolezza in violazione dell’art. 24 co. 2 Cost. e soprattutto, sul piano degli effetti in materia di custodia cautelare, prescinda da una nuova valutazione delle esigenze cautelari”.
In altri termini: se l’udienza preliminare rappresenta una chance fondamentale per dimostrare anticipatamente la propria innocenza, il rito immediato sopprime tale chance. Ma ciò è in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione. Di più: se il decreto di giudizio immediato viene sganciato dall’evidenza della prova, e posto in essere solo (e soltanto) per lo stato di “custodia cautelare” dell’imputato, ne consegue che – come scrivono i legali – “è proprio la detenzione in quanto tale che, innescando il giudizio immediato medesimo, produce l’effetto di sopprimere il mezzo difensivo dell’udienza preliminare!”. Arrivando, in tal modo, a realizzare un “inammissibile automatismo fondato sullo stato di detenzione che incide esclusivamente su taluni soggetti… ”.
Al contrario, ribadiscono i legali, va rispettato il principio che porta alla “piena formazione del fascicolo delle indagini nel contradditorio con la difesa”. In particolare: “Appare certa l’illegittimità dell’art. 453 co.1 bis c.p.p là dove, in combinato con l’art. 303, comporta l’automatico prolungamento dei termini della custodia cautelare a seguito del giudizio immediato che prescinda da un qualsiasi accertamento contenutistico, tutto facendo dipendere dallo stato di detenzione in carcere o agli arresti domiciliari dell’imputato. Invero, in virtù dell’art. 453 co.1 bis c.p.p., la custodia cautelare alimenta se stessa senza che l’imputato e la sua difesa siano messe in condizione di dimostrare in quella sede il difetto delle esigenze cautelari; e in ogni caso con palese e odioso privilegio a danno dell’imputato che a differenza di altri vede prolungarsi il suo termine di custodia cautelare senza potersi in quella sede assolutamente difendere per contrastare tale prolungamento”.
Laddove, invece, “nel nostro sistema la limitazione della libertà personale per ragioni cautelari è disciplinata rigorosamente e, conformemente agli art. 13,24 e 27 della Costituzione sottoposta a scansioni temporali rigorose”. O così dovrebbe essere.
Ora il verdetto dei giudici.
La giustizia in Italia? Casuale
Claudio Borghi su Il Giornale ricorda la vicenda di Bruno Contrada, non scarcerato perché “non pentito”. E nella lista dei paradossi del “sistema” aggiunge anche Silvio Scaglia
Mafiosi e ‘Ndranghetisti a piede libero, magari scarcerati perché in quattro anni un giudice non ha trovato il tempo di redigere la sentenza (è il caso di Giuseppe Belcastro, boss condannato all’ergastolo), ed altri, detenuti in cella o ai domiciliari perché, non avendo di che “pentirsi”, vengono trattati alla stregua di criminali indisponibili a collaborare.
È nutrito l’elenco dei “paradossi” della giustizia italiana che descrive Claudio Borghi, cronista de Il Giornale, in un articolo dedicato quest’oggi al particolare caso di Bruno Contrada, 80 anni, che – scrive Borghi – «ex poliziotto e medaglia d’oro, condannato per un reato non espressamente previsto dal codice ed assolto una volta con formula piena, si è visto negare ieri la scarcerazione perché “non pentito”, condizione peraltro impossibile da ottenere in quanto Contrada si è sempre dichiarato innocente». Laddove, nell’articolo, non manca un riferimento al “caso Scaglia”, coinvolto in un procedimento per ben altre ragioni, ma non per questo meno emblematico.
Scrive Borghi: «Silvio Scaglia, imprenditore, si precipitò a rientrare dall’estero appena seppe di essere indagato per frode fiscale per mettersi a disposizione dei magistrati: fu chiuso in carcere per mesi e poi ai domiciliari, non ha ancora avuto la libertà dopo quasi un anno». «La lista – insiste Borghi – potrebbe allungarsi e l’impressione è di un sistema che non è né garantista né severo, bensì casuale, cosa che per un potere profondamente invasivo nella vita delle persone e delle imprese è la condizione peggiore in assoluto».
La parola alla difesa (1)
I legali di Scaglia: “Annullare lo stralcio di Fastweb e TIS”
Il procedimento verso le due società non poteva essere separato da quello delle “persone fisiche”. Violate le regole del “processo simultaneo” (art. 38) e del diritto al contradditorio (art. 19). Richiesta di “nullità” anche per il giudizio immediato
Vi sono state “palesi violazioni” di alcuni fondamentali “diritti della difesa”. È questa la premessa delle “eccezioni” avanzate dai difensori di Silvio Scaglia e illustrate nell’udienza del 21 dicembre, davanti ai giudici della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma. A partire dallo stralcio, richiesto dai PM e disposto dal GIP Paolicelli, che ha separato il procedimento nei confronti degli “enti” Fastweb e Telecom Italia Sparkle (a giudizio con rito ordinario) da quello degli imputati “persone fisiche” (a giudizio con rito immediato). Secondo i legali del fondatore di Fastweb, il prof. Piermaria Corso e il prof. Antonio Fiorella, con lo stralcio e il decreto di “giudizio immediato”, sono venuti meno sia il principio del processo simultaneo (art. 38 D.Lgs. 231/2001) che quello, altrettanto fondamentale, del diritto al contradditorio (art. 19 c.p.p.).
Ma andiamo con ordine:
1) Violazione del processo simultaneo:
L’art. 38 D.Lgs. 231/2001 è quello che disciplina “il principio generale dell’accertamento unitario”. Principio che, nello spirito della legge, punta a garantire la “maggiore speditezza e razionalità possibile del procedimento”. Ma, sostengono i legali, nel caso specifico “non vi è alcuna possibilità di ritenere che l’evoluzione impressa al procedimento in oggetto, attraverso la separazione, sia conforme alla disposizione dettata da quell’articolo”. Infatti, l’articolo prevede “di regola” che “il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell’autore del reato da cui l’illecito dipende”. Nel caso in questione, invece, si è agito diversamente: ente e autore (reale o presunto) del reato vengono chiamati a giudizio separatamente. E ciò nonostante il legislatore prescriva in modo esplicito la “riunione obbligatoria”.
È vero, aggiungono i difensori, che lo stesso art. 38 assume che vi possano essere “eccezioni” a tale obbligo. Ma non possono essere applicate “oltre i casi espressamente previsti”. Scrivono infatti i legali: “è la legge che definisce previamente i casi limitati in cui la separazione è necessaria; mentre il rapporto tra il procedimento a carico delle Società e quello a carico delle persone fisiche, in sé e per sé considerato, non è di regola – né potrebbe essere – nella disponibilità degli attori del processo. E ciò, come detto, perché le due responsabilità, per l’identità del loro fatto generatore, devono essere accertate insieme e nel medesimo procedimento”.
2) Violazione del contradditorio:
Vi è poi un secondo aspetto, non meno rilevante, di “violazione del principio di difesa” che attiene alla “violazione del contradditorio”. Scrivono ancora i legali: “nel disporre il rinvio a giudizio immediato degli imputati il GIP ha previamente determinato la separazione processuale degli enti chiamati a rispondere dei resti ai sensi del D.Lgs. 231/01 senza che nessuno dei soggetti interessati sia stato posto nella condizione di interloquire sul punto. In ogni caso non è stato posto in condizione di interloquire l’ing. Scaglia”. In sintesi, è venuto meno “un fondamentale diritto della difesa”, sancito dall’art. 19 c.p.p. il quale stabilisce che “la riunione e la separazione di processi sono disposte con ordinanza, anche d’ufficio, sentite le parti”. Ovvero, la decisione del giudice deve essere assunta nel contradditorio delle parti. Ma ciò non è avvenuto.
Nel caso specifico, “le parti non sono state sentite” e ciò ha comportato “la perdita della possibilità di articolare strumenti di prova difensivi ex art. 415 bis c.p.p. e privato tutti gli imputati delle ampie possibilità difensive offerte dall’istituto dell’udienza preliminare”. Insomma vi è stata una palese “lesione dei più basilari diritti processuali degli interessati”. Da cui, la richiesta di “nullità assoluta”, oltre che per lo stralcio, anche per il decreto dispositivo del “giudizio immediato”.
“Scaglia: un caso emblematico di giustizia distorta”
Per Raffaello Vignali, già alla guida della Compagnia delle Opere, oggi deputato Pdl: “In Italia c’è un uso eccessivo della limitazione della libertà individuale”. Per questo “la riforma della giustizia è più urgente che mai. Ma prima non dimentichiamo la condizione di chi patisce l’ingiustizia”
“Quello di Silvio Scaglia è un caso emblematico dello stato della giustizia in Italia: non ha senso tenere sotto custodia da oltre dieci mesi una persona senza che sia necessario per lo svolgimento delle indagini. È la prova evidente di quanto sia necessaria ed urgente una riforma che possa ridare più certezza al diritto”. Raffaello Vignali, per anni alla guida della Compagnia delle Opere, oggi vicepresidente della X Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera, interviene così sulla vicenda del fondatore di Fastweb.
“Una vicenda – aggiunge – che rischia di finire nel dimenticatoio anche per l’atteggiamento dei media: grandi titoloni all’avvio delle indagini, poi il silenzio. E nella testa dell’opinione pubblica resta un’immagine semplificata, distorta. A danno della reputazione di un galantuomo. O di un’azienda”.
Ma perché il caso di Scaglia è emblematico?
Innanzitutto per l’uso eccessivo della limitazione della libertà individuale. Non esiste, con tutta evidenza, pericolo di fuga. Non mi sembra, poi, che tenere Scaglia segregato in montagna possa servire alle indagini che, tra l’altro, sono già chiuse. E non credo che si possa sostenere l’ipotesi di una possibile reiterazione del reato. A meno che…
A meno che?
Non si faccia ricorso, come purtroppo avviene troppo spesso nelle aule di giustizia, ad un uso disinvolto della fantasia creativa. Certe volte mi sembra che faccia più leggi la Cassazione che il Parlamento. Il caso Scaglia, insomma, conferma, casomai ve ne fosse ancora bisogno, che occorre fare al più presto una riforma. Nell’interesse generale, mica solo di Berlusconi o di un altro politico. L’essenziale è che, al più presto, sia nell’applicazione della giustizia che dell’attività politica torni ad affermarsi il criterio del bene comune che non può prescindere dal rispetto dei diritti dell’individuo. Silvio Scaglia ha ampiamente motivato l’origine lecita del suo patrimonio fino all’ultimo euro. Ma la cosa, per ora, non ha prodotto alcun effetto. Si ha la sensazione che il successo imprenditoriale sia giudicato comunque un indizio di colpevolezza. È un pregiudizio diffuso, che viene da lontano contro lo stesso concetto di creazione di valore. Il risultato è che l’Italia, il Paese con la maggior imprenditorialità diffusa, è anche quello dove è più difficile fare l’imprenditore. Anche per questo il caso di Scaglia è emblematico: uno come lui, che è diventato ricco ma, di riflesso, ha distribuito ricchezza nella società, si trasforma comunque in un potenziale pericolo pubblico. Non a caso, con questa mentalità, siamo scivolati all’ottantesimo posto nella classifica mondiale della libertà economica, con grave danno per gli investimenti e il lavoro. Anche per questo la riforma della giustizia è più urgente che mai. Ma prima non dimentichiamo la condizione di chi patisce l’ingiustizia.