Archive del 2011

Fattore Umano | Viaggio nell’illegalità delle carceri italiane


Un reportage di Radio Radicale all’interno degli istituti di pena «per riempire il vuoto di solitudine in cui è confinata questa umanità dolente». Un insieme di testimonianze drammatiche, tra cui i detenuti di Favignana reclusi in un bastione del XII secolo fino a 7 metri sotto terra. A colloquio con gli autori del “viaggio”: Simone Sapienza (Fainotizia.it) e Valentina Ascione (Ufficio Stampa On. Bernardini e Radicali)


Come è nata l’idea di questo “viaggio”?

Ascione: È nata per rompere il silenzio sulle carceri italiane, cioè «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile», come l’ha definita il Presidente Napolitano. I Radicali se ne occupano da almeno trent’anni, visitano le carceri compreso a Natale, Pasqua e Ferragosto. Lo scopo è anche quello di riempire, almeno per qualche ora, la solitudine di questa umanità dolente, mentre fuori ci si riunisce per festeggiare con i propri affetti. Eppure l’attenzione della grande stampa resta bassa. Perché? Bianca Berlinguer, che dirige una delle poche testate sensibili al tema, ha dichiarato che fare informazione sul carcere è difficile poiché mancano immagini recenti degli ambienti penitenziari. Con l’inchiesta di Radio Radicale vogliamo contribuire a risolvere il problema e mettere a disposizione dei nostri colleghi, e non solo, il patrimonio di testimonianze che stiamo raccogliendo.


Finora cosa avete visto, e quali le prossime tappe?

Ascione: Il nostro viaggio è partito dalla Sicilia. Giarre, in provincia di Catania: un piccolo istituto nato come struttura a custodia attenuata per tossicodipendenti che però, a causa del sovraffollamento, ospita anche detenuti in regime di media sicurezza, con forti ripercussioni sul lavoro di agenti, operatori e sulla funzionalità stessa del carcere. Poi siamo entrati nella Casa circondariale di Messina, che ospita uno dei reparti peggiori del Paese: la cosiddetta “Sosta”.

Sapienza: Abbiamo provato a vedere le condizioni del nuovo carcere, ancora non aperto, ma già inaugurato innumerevoli volte a Gela…

Ascione: A Gela abbiamo ripreso l’esterno di un carcere nuovo di zecca che da 50 anni aspetta di aprire i battenti, il viaggio è proseguito 7 metri sotto terra, tra i detenuti e gli internati di Favignana reclusi in un bastione del XII secolo.

Sapienza: Poi siamo andati a Favignana, dove un nuovo carcere sta per essere inaugurato, ma il vecchio difficilmente riuscirà a chiudere con questo sovraffollamento.

Ascione: Poi all’Ucciardone di Palermo. La settimana scorsa a Sassari, alla casa circondariale “San Sebastiano” e presto visiteremo in carcere di Brescia “Canton Mombello”.

Sapienza: Ma il nostro viaggio proseguirà ancora…


Quali le difficoltà riscontrate?

Sapienza: Il direttore di un carcere è un padrone di casa. Prima dell’arrivo degli ospiti si preoccupa di tirare a lucido le sezioni e spesso preparare delle storie che non facciano passare la sua amministrazione come inefficace. Ma la realtà è che con le scarsissime risorse a disposizione spesso anche i migliori padroni di casa non possono fare molto.

Ascione: È difficile convincere i direttori degli istituti che è nel loro interesse mostrare le condizioni vergognose delle nostre galere e le problematiche cui sono costretti a far fronte ogni giorno. Siamo convinti infatti che non siano soltanto i detenuti a soffrire per l’emergenza, ma l’intera comunità penitenziaria. Eppure alcuni di loro preferiscono nascondere la polvere sotto il tappeto, correre ai ripari con pulizie straordinarie e riverniciature in extremis, e indirizzare l’occhio della telecamera verso le sezioni più vivibili.


Una realtà dura da raccontare…

Sapienza: Dopo aver visitato 5 carceri hai già mille volti e mille storie che ti rincorrono. Come quelle degli immigrati internati a Favignana: persone che pur non avendo commesso nessun reato per un motivo o per un altro vengono ritenuti pericolosi. Così sono arrestati e spediti nelle “case lavoro”, assistiti da psicologi. Però a Favignana praticamente gli psicologi non ci sono e non esiste possibilità di lavoro. Ovviamente se non lo trovi non puoi avere la libertà. Dunque questi rimangono dentro in regime di “ergastolo bianco”. Tra loro moltissimi immigrati che non hanno nessuno in Italia disposto a fornirgli una residenza e un contratto. Così sono costretti in celle come gli altri detenuti: venti ore al giorno, con solo due ore la mattina e due la sera per uscire davanti alla cella dove c’è un passaggio di pochi metri quadrati. Un incubo.

Ascione: Sì, gli internati… i detenuti “in attesa di reato”.  E i molti sfollati dalle carceri del Nord, trasferiti a centinaia di chilometri dalle proprie famiglie che non possono fargli visita perché non hanno i soldi per affrontare il viaggio. I primi a essere spediti, come pacchi, lontano da casa sono gli stranieri, ma anche loro hanno genitori, compagni e figli in Italia. E alcuni non li vedono da anni.


Cosa chiedono i detenuti?

Sapienza: Chiedono di pagare per quello che hanno commesso ma non essere torturati. Chiedono il rispetto della legge e degli standard previsti da numerose convenzioni e dagli stessi regolamenti penitenziari. Oggi tutti chiedono l’amnistia, per aiutare anche i magistrati a fare il proprio lavoro. Oggi in Italia finisce in carcere solo chi non ha i soldi per pagarsi l’avvocato capace di portare il processo in prescrizione. Si registrano circa 170 mila prescrizioni l’anno, delle quali almeno il 70% matura nei cassetti dei PM, prima ancora di arrivare dinanzi a un GIP…

Ascione: I detenuti, insomma, chiedono nulla più di quanto sancito dalla Costituzione e dall’ordinamento penitenziario. Una pena che tenda alla rieducazione e condizioni detentive all’altezza di un paese civile. Chiedono di lavorare e studiare, così da potersi reinserire con più facilità una volta fuori. E poi chiedono tempi certi. Non dobbiamo dimenticare che il 40% della popolazione detenuta è in attesa di giudizio e che, come suggeriscono le statistiche, la metà sarà riconosciuta innocente. Ma per quasi tutti la richiesta più urgente è quella di un’amnistia.


Per seguire il viaggio di Valentina Ascione e Simone Sapienza nelle prossime settimane è possibile vedere e condividere i loro servizi attraverso questi link che saranno costantemente aggiornati:




Fattore Umano | I garanti dei detenuti: «Riforma carceri improrogabile»



A Milano la riunione del Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti. Entro due giorni una “Carta” di proposte da inviare al Senato, in vista del 21 settembre

 

È stata una riunione di lavoro intenso quella di oggi al Circolo della Stampa di Milano, dove si è tenuto l’incontro del Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti. Per l’occasione sono stati presentati i punti-chiave della Carta, che verrà terminata nel corso dei prossimi due giorni, e che verrà inviata in Senato in vista della seduta straordinaria del prossimo 21 settembre.


Presenti al tavolo dei lavori: Franco Corleone, Coordinatore del Coordinamento Garanti
, 15 Garanti, 
Stefano Anastasia (Difensore civico di Antigone), Riccardo De Facci, (vicepresidente CNCA, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), 
Maurizio Mazzi (presidente della Conferenza regionale volontariato giustizia Veneto), Michele Passione (membro dell’Osservatorio nazionale carceri dell’Unione Camere Penali), 
Sergio Segio (Società In/formazione, Forum Droghe) e Ornella Favero (Ristretti Orizzonti). Alla conferenza stampa è intervenuto anche il vicepresidente del consiglio comunale di Milano, Andrea Fanzago che ha voluto comunicare la volontà di impegno da parte della Giunta di migliorare la situazione degli istituti di pena milanesi partendo dal «riallacciare i contatti con la Commissione Servizi Sociali nell’ottica di riconfermare la Commissione Carceri».


A moderare la tavola rotonda, Franco Corleone. In una giornata che ha dato come frutto una “Carta” che «vuole essere di riforma radicale del carcere». In uno sforzo comune e “concreto” per un carcere più aperto e più responsabilizzante: «si pensi ad esempio alla istituzione di supermercati interni, oppure alla distribuzione di carte telefoniche o ancora alle mense comuni». Interventi fattibili che trasformerebbero l’esigenza di bisogni primari dei detenuti (sempre meno colmata) da richiesta di «permessini» a richiesta autonoma e responsabile da parte del singolo recluso. Ma anche «mettere fine alla speculazione del “sopravvitto” (dover comperare ciò che serve in una sorta di negozio interno alle carceri, gestito dalla medesima ditta che fornisce i pasti alla amministrazione carceraria, ndr.)».


«Non si dovrà più parlare – ha sottolineato Corleone – di “capienza regolamentare” o “reale” delle carceri, bensì di “capienza costituzionale”, l’unica possibile in uno stato di diritto e di democrazia». E si sbilancia, immaginando «carceri per meno detenuti. Non a nuovi edifici come prevede il Piano carceri: utilizziamo le risorse pianificate per diversificare le strutture rendendole adatte alle diverse forme di detenzione: chi è in attesa di giudizio, le donne, i tossicodipendenti e così via».


Fattore Umano | Emergenza carceri: il 21 settembre la sessione straordinaria in Senato


Mercoledì prossimo si svolgerà un’intera sessione di lavori a Palazzo Madama con comunicazioni al Governo. Lo ha deciso ieri la conferenza dei capigruppo in Senato. Sarà presente anche il ministro della Giustizia, Nitto Palma, che presenterà una relazione sulla situazione della giustizia



L’urgenza è stata accolta. Dopo le iniziative “nonviolente” promosse dai Radicali, in accordo con le recenti raccomandazioni del Presidente della Repubblica e dei numerosi firmatari di maggioranza e opposizione, il prossimo 21 settembre si darà il via ai lavori straordinari di discussione (e votazione) di un documento che fissi modi e tempi certi in materia di amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione. Nel rispetto della legalità costituzionale e delle convenzioni internazionali.




La volontà è comune: dopo le 146 le firme di senatori raccolte per la convocazione straordinaria, sono state completate anche le adesioni alla Camera. Proprio ieri, Marco Pannella – assieme a Rita Bernardini e ad Irene Testa, segretaria dell’associazione Il Detenuto Ignoto –, aveva ripreso lo sciopero della fame. In attesa di una «risposta legislativa efficace e tempestiva» da parte del Parlamento.


Intanto sono arrivati i primi commenti. Come quello del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che ha considerato positiva l’occasione dell’incontro del 21 settembre, ma ha lamentato l’assenza di un incontro tra i sindacati e il guardasigilli prima della seduta straordinaria in Senato. «Peccato – sottolinea Donato Capece, segretario del Sappe – che il Ministro della Giustizia Nitto Palma, che nell’occasione presenterà una relazione, abbia fissato un incontro con noi e gli altri sindacati solo il 26 settembre. In quell’incontro il primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, potrà fornire il proprio costruttivo contributo, utile anche al dibattito parlamentare che purtroppo, sarà già ampiamente terminato».


Un altro appuntamento importante di ieri è stato quello tra una delegazione del Forum della Sanità Penitenziaria e il Ministro Palma per la programmazione delle prossime iniziative. In agenda, a novembre, è stato fissato un convegno sullo “stato dell’arte” della sanità penitenziaria; a dicembre la prima riunione dei 203 comuni che ospitano carceri e che sono impegnati sul fronte recupero sul territorio dei detenuti. «Su questi temi, tra il Forum e il ministro – ha dichiarato il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo – c’è stata piena concordanza sugli obiettivi, anche in vista della sessione speciale di mercoledì del Senato sulle carceri. C’è poi il problema degli ospedali psichiatrici, dove 400 detenuti hanno bisogno di un ambiente nel quale integrarsi».

Fattore Umano | Palma: «Rivedere le regole della custodia cautelare»


Il ministro della Giustizia ipotizza una riforma della “carcerazione preventiva”. «Non può servire per far confessare». E aggiunge: «Dai tempi di Tangentopoli non è cambiato nulla»


«Se è vero che la custodia cautelare deve essere applicata come estrema ratio bisogna trovare un sistema alternativo pur mantenendola per i reati di maggiore gravità». Lo ha dichiarato sabato scorso il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, nel corso della presentazione del libro di Maurizio Tortorella La Gogna, dal palco della festa dei giovani del PdL ad Atreju.


Dunque bisogna «intervenire con saggezza e prudenza» perché – sottolinea il guardasigilli – «Abbiamo 67.500 detenuti in carcere di cui il 40% è in regime di custodia cautelare e ogni anno c’è il turn over di circa 90mila persone che non hanno la sentenza (dati che superano del 43%, la seppur preoccupante media europea del 25%, ndr.)».


Alla luce di queste dichiarazioni, il ministro Palma ha ipotizzato una «riforma della custodia cautelare in carcere, risalendo al principio del nostro Codice che dice che la custodia cautelare in carcere è l’estrema ratio». Parole che si riallacciano – come ricordato dallo stesso ministro – alle recenti dichiarazioni rese dal primo Presidente della Cassazione, Ernesto Lupo (che ha invitato i magistrati «ad un uso sempre più prudente e misurato della misura cautelare restrittiva») e all’«abnorme ricorso alla carcerazione preventiva» che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annoverato «tra i mali della giustizia che umiliano l’Italia in Europa».


Perché il carcere non può e non deve essere uno strumento per far confessare un imputato. Come all’epoca di Tangetopoli – ricorda il guardasigilli – «quando nacque una discussione di dottrina perché vi erano dei provvedimenti del pool di Milano con cui si negava la scarcerazione a un imputato perché non aveva parlato. Non credo sia cambiato molto dall’epoca».


Il Foglio dedica un lungo ritratto al PM che ha dato il via all’inchiesta sull’Iva telefonica «che rischia la carriera per colpa della P4»


«Classe 1946, sostanzialmente estraneo alla vita correntizia della magistratura, il procuratore dell’antimafia non è il tipo da inchieste spettacolo. Ha la fama del moderato (…). Non è una toga incline alla militanza politica». Ma, nota Marco Pedersini, autore su Il Foglio di un lungo ritratto-inchiesta del procuratore aggiunto antimafia Giancarlo Capaldo, nel suo metodo c’è un eccesso: «la durezza estrema con cui ricorre al carcere preventivo. Il fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia (…), ne è testimone, a fronte dei 363 giorni che ha passato in regime di custodia cautelare (per essere interrogato una volta peraltro su sua richiesta)»


 

È l’unico accenno all’inchiesta sull’Iva Telefonica, nel servizio dedicato a questo «schivo sacerdote del diritto, abile a non farsi scottare dal fuoco di inchieste delicatissime, si ritrova tra le mani un’indagine complessa dall’architrave debole (la loggia segreta) ma che potrebbe valere un’intera carriera». Fino a pochi mesi, infatti, Capaldo era dato in “pole position” per la successione del procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, che andrà in pensione nella primavera del 2012. Un pronostico maturato all’inizio di febbraio del 2010 quando il procuratore aggiunto Achille Toro, già favorito, venne travolto dall’inchiesta fiorentina “Grandi eventi”. È in quelle settimane, tra l’altro, che matura il blitz di quella che impropriamente venne definita la “truffa carosello” basata sull’Iva telefonica.

 

Da allora il procuratore aggiunto Capaldo si è occupato di altre inchieste, ancor più clamorose per gli intrecci tra il mondo della politica e quello degli affari, dalle indagini su Finmeccanica fino al dossier P3, affrontato con la cautela del caso. Perciò, nota Pedersini, «uno non si aspetterebbe di trovare il procuratore al centro dell’inchiesta che rischia di far saltare la maggioranza di governo a pranzo con il ministro dell’Economia, cordialmente attovagliati in una casa dei Parioli». Quella cena, a casa dell’avvocato Luigi Fischetti, riunisce Giulio Tremonti, Giancarlo Capaldo e il consigliere politico del ministro, l’onorevole Marco Milanese, ex ufficiale della Gaurdia di Finanza, all’epoca già indagato nella cosiddetta inchiesta P4.

 

Dopo di che inizia un’estate rovente per il magistrato, la cui reputazione, nota il Foglio «è crivellata di colpi. Il procuratore capo Ferrara, invece di prendere le difese di Capaldo, si attiva perché, con il pretesto della competenza territoriale, i colleghi campani inviino al più presto a Roma tutto il materiale che hanno raccolto sul pranzo a casa Fischetti». Capaldo si difende da quello che, in un’intervista, definisce «il reato (…) di pranzo con un ministro». Intanto, facendo riferimento al nodo della successione in piazzale Clodio, dichiara di non voler credere «alle voci di corridoio le quali sostengono che quanto sta accadendo ruota attorno alla poltrona di futuro capo». «Alcuni cronisti – racconta Pedersini – dicono d’averlo visto a colloquio con il neo ministro della Giustiza Nitto Palma già collega alla procura di Roma. “Caro Nitto, sono un perseguitato credimi, pare abbia detto al ministro».

 

Intanto, ad inizio agosto, Giancarlo Capaldo lascia l’indagine Enav, decisione «che non posso non condividere» commenta il procuratore capo Ferrara. Ma, a sorpresa, invece di chiedere la proroga delle indagini, sempre ad inizio agosto Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli depositano gli atti dell’inchiesta P3. «Il calendario dice – puntualizza il Foglio – che dal 15 settembre ci saranno venti giorni per eventuali (e improbabili) richieste spontanee di interrogatorio da parte degli indagati, poi si chiederà il rinvio a giudizio e inizieranno le udienze preliminari».

 

Quasi in contemporanea, il giorno 22, riprenderà il processo sull’Iva telefonica arrivato all’udienza n°43. Capaldo, probabilmente, sarà intanto in tutt’altre faccende affaccendato. Resta, però, il segno di «quell’unico eccesso del suo metodo», cioè «la durezza estrema con cui il procuratore ricorre al carcere preventivo».

 

L’Angolo di Vincino | La Manovra


 

 

Fattore Umano | Dramma carceri: una “due giorni” di seminari a Loreto



Il 7 e l’8 settembre appuntamento nella cittadella umbra per le associazioni del volontariato e i Garanti dei detenuti


Le 207 carceri italiane scoppiano. Ad oggi sono circa 67mila i reclusi, di cui 21.186 in “esubero” rispetto alla capienza regolamentare. In attesa di quanto potranno decidere Senato e Camera, chiamati a discutere, probabilmente subito dopo la manovra economica (forse già da lunedì 13 settembre), il 7 e l’8 settembre si terrà una “due giorni” di seminari a Loreto, dove gli “addetti ai lavori” discuteranno possibili soluzioni sul dramma carceri nel nostro Paese.



Nella prima giornata, presso il Teatro Comunale di Piazza Garibaldi, saranno al lavoro le associazioni di volontariato e di settore che operano negli istituti penali. Temi: pene detentive e rieducazione, ruolo del volontariato, gli Ospedali psichiatrici giudiziari, diritto alla genitorialità durante la reclusione.


L’8 settembre, invece, presso la Sala del Consiglio Comunale Corso Boccalini, si svolgerà il primo seminario nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti. Quattro gruppi di lavoro (ognuno composto da un consigliere regionale componente della commissione carceri dell’Assemblea legislativa e da garanti regionali, provinciali e comunali) discuteranno di: accesso e funzioni del Garante negli istituti penitenziari, decongestionamento della situazione carceraria, quotidianità e misure trattamentali, sistema giudiziario e rapporto tra Autorità di Garanzia e Amministrazione Penitenziaria.


Tra i moderatori che introdurranno i lavori del seminario il Prof. Italo Tanoni, Ombudsman-Garante dei diritti dei detenuti delle Marche.






Come mai la scelta di un seminario?

Un Garante dei diritti dei detenuti, può accendere – come lo scorso anno è stato fatto con la pubblicazione del primo Rapporto sulla situazione nelle carceri delle Marche – l’attenzione dei decisori politici sul problema. Altri mezzi, per ora, non ci sono, oltre a quelli consentiti dalla legge regionale che fissa le competenze, in realtà molto ridotte. Il Convegno nazionale di Loreto, da una parte si pone in continuità con quanto il Consiglio regionale delle Marche ha espresso recentemente, con documento bipartisan, sul problema delle carceri (sovraffollamento, carenza di organici, situazioni disumane) e ne intende approfondire i risvolti, dall’altra intende aggiornare – a livello regionale – la normativa relativa alle competenze dell’Ombudsman Garante dei diritti dei detenuti, alla luce delle disposizioni che sono intervenute dal 2008 ad oggi. Non da ultimo anche la risonanza dell’evento con il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona (è programmata una Messa a Montacuto) servirà a mettere l’accento su un problema che l’opinione pubblica preferisce glissare tranquillamente… per non parlare della parte politica nazionale oggi sotto i riflessi della rinnovata ennesima finanziaria da portare a termine.


Cosa si aspetta dal Governo?

Sono fiducioso che anche le due giornate di Loreto possano rimuovere certe situazioni ormai “collassate”: siamo la quarta regione ad avere in Italia il sovraffollamento degli istituti con situazioni come Montacuto che sono addirittura e tristemente ai primi posti in Italia. Il Governo da parte sua dovrebbe dare “segnali” di cambiamento, rispetto all’attuale stallo con provvedimenti atti a decongestionare gli istituti penitenziari. Nei gruppi di lavoro delle due giornate di Loreto verrà affrontato anche questo problema… sicuramente ne uscirà un documento di denuncia contenente precise proposte per venir fuori da una situazione a dir poco ” insopportabile”.


A questo link potete scaricare una panoramica sulla situazione detenuti presenti e capienza delle carceri al 31 agosto 2011 (a cura di Ristretti Orizzonti su dati Ministero della Giustizia)


L’Angolo di Vincino | Stress


L’Angolo di Vincino | Un giorno, per prova…

 

 

 

Fattore Umano | Beneduci (Osapp): «Carceri oltre il limite. Poliziotti allo stremo»


«Un terzo delle regioni è vicina del collasso» denuncia il segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. «Ogni giorno 40 nuovi ingressi – aggiunge – mentre la carenza di personale è ormai drammatica»


«Una media di 67.500 detenuti, con un picco nel 2010 di 69.000». Bastano questi numeri per capire cosa succede davvero nelle carceri italiane. A Parlare è Leo Beneduci, segretario dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). «Per rendere l’idea – prosegue – nel 1998 c’erano 49.050 detenuti, praticamente negli stessi spazi». Un sovraffollamento che si riflette nel lavoro quotidiano degli agenti: «I poliziotti penitenziari in servizio – spiega Beneduci – sono 37.500 su di un organico di 44.620 unità definito per legge nel 1991 e mai aggiornato. Allora però  di detenuti ce n’erano circa 37.000». La carenza di personale dunque è preoccupante: in media un poliziotto in servizio deve gestire 17 detenuti. E di notte o nei festivi il rapporto diventa anche 1 a 100.


Dottor Beneduci, partiamo dai numeri. Sembra di capire che la “capienza” funziona come un elastico. La si modifica a seconda dei momenti…

La “capienza regolamentare” così definita – e che rappresenta per noi posti realmente disponibili –, riguarda la possibilità di allocare i detenuti in condizioni alloggiative normali, tipo due o anche un solo detenuto per cella, in alcuni casi e quando lo spazio lo consente anche tre, come dovrebbe essere. L’Amministrazione penitenziaria, comunque, a causa dell’emergenza ha definito anche un altro parametro che è quello della “capienza tollerabile” (oggi pari a 69.126 posti), che in pratica significa aggiungere ad ogni due posti un altro posto, aumentando così la capienza regolamentare del 50%. E non solo: perché nella capienza tollerabile l’aumento dei posti riguarda anche le infermerie e gli isolamenti, grazie a presunti malati o isolati, che magari non ci sono, sale ancora la possibilità di intasare le celle. In alcune i detenuti possono stare solo sui letti, ci sono troppe brande e non si cammina.


In sintesi?

Anche la capienza tollerabile è ormai superata in ben 7 regioni su 20.


Cosa significa per gli agenti lavorare in carceri così sovraffollate?

Le 803 aggressioni subite da gennaio o i circa 900 poliziotti penitenziari che ogni giorno non si recano in servizio per infermità conseguenti al lavoro svolto (spesso riguardanti la sfera psichica ndr.), la dicono lunga su come si lavora in carcere. Il problema riguarda anche la scarsa “soddisfazione” professionale per il lavoro svolto. La Polizia Penitenziaria dovrebbe essere, per legge, l’unico Corpo di Polizia dello Stato, che oltre alle “classiche” funzioni preventive e repressive, svolge attività legate al reinserimento sociale dei detenuti, attraverso l’osservazione, il contatto quotidiano e costante con i detenuti, per recuperarli attivamente alla società. Un’attività, questa, che la Polizia Penitenziaria dovrebbe poter svolgere in sinergia con altre figure professionali penitenziarie quali direttori, educatori, cappellani, psicologi. Spesso però il contesto non aiuta. Non bastasse, ci tocca fare ben altro: sostituire operai, contabili, educatori, medici e infermieri e così via. Credete che qualcuno riconosca al Corpo questa capacità-necessità di interpretare una così ampia molteplicità di ruoli? Niente di tutto ciò.


L’emergenza carceri sarà oggetto di una seduta straordinaria di Camera e Senato. Cosa si aspetta?

Le attese e le speranze sono alte. Anche dopo gli appelli del Presidente Napolitano. Ormai nessun  deputato o senatore può dire di non conoscere il problema. Anche perché di provvedimenti “tampone” per deflazionare le carceri ne sono stati assunti parecchi, salvo poi rimangiarli o vanificarli con altri, tipo la ex Cirielli, la Bossi-Fini e altro ancora.


Un indulto potrebbe servire?

Perché no, visto che i dati sulle recidive dicono che solo il 34% degli “indultati” è rientrato in carcere, rispetto al 68% di coloro che scontano la condanna fino alla fine. Però, più che un indulto, sarebbe opportuna un’amnistia, con i dovuti distinguo, visto che per alcuni reati non riesco a vedere alternative al carcere, anche a quello attuale. Poi vi sono altri aspetti:  depenalizzazioni, misure alternative, detenzione domiciliare, maggiori limiti alla custodia cautelare, l’introduzione della Probation anche per gli adulti e di pene sostitutive al carcere, vanno bene. Purché si sbrighino e non ci ripensino qualche mese dopo sull’onda di qualche delitto di particolare clamore o efferatezza. Del resto, di colpevoli di reati veramente gravi nelle carceri italiane non ce ne sono tantissimi, tutto il resto potrebbe avviarsi a percorsi alternativi.


Cosa fare quindi per evitare il tracollo della “macchina carceraria”?

Ci sarebbero molte cose da ripensare. Non ha senso risolvere tutto nella classica formula: tu sbagli/ ti arresto/il giudice condanna/vai in carcere fino a fine pena. Così come non ha senso costruire nuove carceri, magari per 100.000 detenuti. Sarebbe meglio stabilire che il carcere costituisce l’estrema ratio. Soprattutto per chi ha alle spalle  una vistosa carriera criminale e dopo che sono fallite tutte le altre possibilità/opportunità offerte. Negli altri casi, destinare risorse vere, e quindi energie, al recupero sociale, offrire rapporti, conoscenze e lavoro a chi ha sbagliato deve diventare un onere senza pregiudizi per l’intera società. Anche il volontariato andrebbe riorganizzato. Insieme alla Polizia Penitenziaria costituisce un pilastro insostituibile.


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“Questo Blog è dedicato alla figura di Silvio Scaglia, imprenditore ed innovatore, protagonista di start up (Omnitel, Fastweb, Babelgum) oggi impegnato in nuove sfide come il rilancio de La Perla, marchio storico del made in Italy. E' un luogo di informazione e di dibattito per tutti gli stakeholders (dipendenti, collaboratori, clienti) ma anche comuni cittadini che hanno seguito le vicende in cui Scaglia, innocente, si è trovato coinvolto fino alla piena assoluzione da parte della giustizia italiana.” - Stefania Valenti, Chief Executive Officer Elite World