Fattore Umano | L’emergenza è urgenza
A colloquio il Presidente de Il carcere possibile Onlus, l’avvocato Riccardo Polidoro. «Non è possibile – dice – che per agire sulle carceri si debba giungere a un morto ogni due giorni. Le linee illustrate dal ministro Severino sono in larga misura condivisibili, ma occorre che dagli annunci si passi ai fatti»
L’Associazione Il carcere possibile nasce nell’aprile del 2003 come progetto promosso dalla Camera Penale di Napoli, su iniziativa dell’avvocato Riccardo Polidoro, all’epoca componente della Giunta dell’Associazione.
Siamo in stato di “emergenza carceraria”. A suo avviso, ci si sta muovendo nella giusta direzione per affrontare il problema?
Il nuovo Ministro della Giustizia ha messo in moto la macchina legislativa, finalmente, in una direzione giusta, contrariamente a quanto avvenuto in passato. La riforma annunciata agli inizi del 2010 dal Ministro Alfano, anche se fosse stata attuata, non avrebbe risolto alla radice le problematiche relative alla detenzione. Allora, si faceva riferimento a 4 pilastri: 1) Edilizia Penitenziaria; 2) Arresti Domiciliari per coloro che dovevano scontare un residuo di pena di un anno; 3) Messa alla prova; 4) Assunzione di 2.000 agenti di polizia Penitenziaria. Tali proposte, delle quali solo la seconda ha trovato parziale applicazione e con risultati di gran lunga inferiori alle aspettative, si muovevano in un’ottica “carcerogena”, nel senso che si voleva risolvere il sovraffollamento costruendo nuovi spazi detentivi, con il risultato aberrante che ci sarebbero volute sempre più carceri, visto l’aumento costante della popolazione detenuta.
Cosa è cambiato?
Il Ministro Severino ha annunciato di voler coltivare una strada del tutto diversa, con una riforma che veda con favore: 1) le misure alternative al carcere; 2) l’applicazione di pene, già in sede di condanna, diverse dalla detenzione; 3) la depenalizzazione di alcuni reati con ricorso a sanzioni amministrative, per impegnare i Giudici Penali in processi di effettiva rilevanza sociale e accelerare la stessa celebrazione dei processi con riduzione della custodia cautelare; 4) l’uso di dispositivi per il controllo a distanza dei detenuti agli arresti domiciliari, cosa che favorirebbe la concessione di tale misura; 5) la realizzazione di una Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti.
Con quali conseguenze?
Tali annunci – perché, allo stato, di annunci si tratta – se effettivamente realizzati, unitamente alla rivisitazione di alcune norme, come quelle sull’immigrazione e gli stupefacenti che prevedono pene detentive inutili e eccessive, porterebbero ad un’immediata risoluzione del sovraffollamento, nel rispetto del principio sacrosanto della “certezza della pena”.
Manca qualcosa, dunque?
Manca, da sempre, una concreta volontà di risolvere il problema, perché l’argomento non è popolare, non porta consenso. Non è possibile che per agire, e speriamo lo si faccia, si debba giungere ad un morto nelle carceri ogni due giorni, come è avvenuto in questi due ultimi anni.
Quali, a suo avviso, le prospettive per il 2012 rispetto al piano del Governo per affrontare l’emergenza nelle carceri italiane?
Se parliamo di “prospettive”, quello appena iniziato potrebbe essere l’anno della svolta. Ma mi si consenta di essere diffidente, avendo assistito a troppe dichiarazioni d’intenti, poi non realizzati, che hanno illuso la popolazione detenuta, già colpita da ingiuste sofferenze. Penso al primo provvedimento del Governo in materia, ad esempio, il Decreto Legge, in vigore dal 23 dicembre scorso. Ritengo, infatti, che non tenga conto delle reali condizioni del Paese: viene stabilito che gli arrestati in flagranza non transitino più negli Istituti di pena, ma vengano “custoditi”, in attesa del giudizio direttissimo, nelle celle di sicurezza del Corpo di Polizia che ha eseguito l’arresto. Tale norma, se da un lato consentirà forse meno ingressi in carcere, aggraverà i compiti della Polizia Giudiziaria, che non è affatto in grado di gestire una tale situazione, per carenza di strutture, di mezzi e di uomini. Inoltre il detenuto sarà portato in una cella non attrezzata e per di più sorvegliata da coloro che lo hanno arrestato. Per il detenuto sarà senz’altro peggio. Inoltre, proprio per tali carenze, si arriverà ad un aumento delle convalide e alla diminuzione dei giudizi direttissimi, nel senso che, pur di non custodire gli arrestati in luoghi non idonei, questi verranno tradotti direttamente in carcere a disposizione del GIP. A conferma di quanto sto dicendo, basta pensare alla polemica tra il Vicecapo della Polizia di Stato Francesco Cirillo e il Ministro Severino. Il primo ha dichiarato che le celle di sicurezza sono troppo poche e non rispettano gli standard minimi di dignità e sicurezza. Secondo Cirillo insomma i detenuti stanno molto meglio in carcere e vi sono gravi problemi di organico che non consentono di sorvegliare gli arrestati.