Archivio di febbraio 2012
Fattore Umano | Decesso a Regina Coeli, al Dozza in cella un non vedente
Ancora un morto nel carcere romano, il terzo in meno di un mese, mentre nell’istituto di Bologna si resta in galera pure da ciechi. Con l’assistenza di un altro detenuto
Un altro decesso a Regina Coeli, il terzo in meno di un mese, avvenuto nella notte di venerdì e sabato 25 febbraio. A morire nel centro clinico del carcere romano un detenuto di 65 anni, Angelo Savarese, affetto da diverse patologie cliniche, diabete compreso. Una morte «per cause naturali». «L’uomo – si legge nel comunicato a firma del garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni – era ricoverato nel Centro diagnostico terapeutico dove stava scontando una pena di diversi anni per cumulo di condanne». E a nulla sono serviti i soccorsi «pur tempestivi», e la presenza di medici: Savarese si è sentito male ed è deceduto poco dopo.
Aggiunge però Marroni: «Il centro clinico di Regina Coeli è una struttura di riferimento nazionale per la salute in carcere ma, come il resto del penitenziario, soffre di molti mali: rotture di impianti e infiltrazioni, precarie condizioni igieniche, sovraffollamento e promiscuità, carenza di macchinari e di risorse economiche». Del resto, ad essere ricoverati non sono solo gli ammalati interni del carcere, ma anche detenuti provenienti da tutta Italia con gravi patologie. Come risultato, c’è un detenuto che da 14 mesi aspetta un intervento chirurgico, mentre un altro, trasferito dalla regione Sicilia, aspetta da tre mesi un fisioterapista.
Insomma: «È l’intero complesso di Regina Coeli – aggiunge Marroni – a non essere più in grado di garantire standard accettabili di vivibilità per nessuno, dai detenuti agli agenti. Regina Coeli ha oltre 300 anni e li dimostra tutti, e non possono bastare gli interventi di ristrutturazione, pur radicali. Solo qualche settimana fa avevamo proposto di chiudere il carcere ai nuovi ingressi per alleviare il sovraffollamento. Ora credo che sia giunto il momento di pensare alla chiusura di Regina Coeli».
Da Roma a Bologna, un viaggio-incubo che si ripete: «Tre persone in una cella in cui dovrebbe starcene una sola, costrette a stare sdraiate sul loro letto per la mancanza di spazio di movimento; quattro docce (fredde) per 75 detenuti; derrate alimentari stipate nei bagni e tre esperti-psicologi (pagati 17 euro l’ora) che devono stare dietro a 480 detenuti». È la denuncia sul carcere della Dozza, dopo la visita di alcuni avvocati penalisti, guidati dal Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Valerio Spigarelli. I ristretti “stipati” sono 1.083, contro i 450 previsti dalla capienza regolamentare.
Ma non c’è solo il sovraffollamento cronico, ci sono casi umani oltre il limite della vergogna. Ad esempio, c’è un detenuto non vedente di 65 anni: «Lo assiste un detenuto-piantone – spiegano i penalisti – pagato tre ore al giorno ma in realtà fa le altre 21 ore di volontariato per non lasciarlo solo». Per non dire di un altro recluso, reduce da un trapianto di fegato, che al momento resta in infermeria. «Avrebbe dovuto stare isolato per evitare contagi, ma la direttrice ha dovuto scegliere il “male minore” cioè quello di tenerlo in infermeria», dicono i penalisti.
Commenta Spigarelli: «Siamo di fronte a una situazione di assoluta inciviltà, i detenuti sono costretti a vivere in condizioni intollerabili, in particolare quelli in attesa di giudizio». «Il problema – aggiunge – è soprattutto una legislazione che non fa altro che appesantire il sistema delle pene e prevedere il carcere per sempre più reati, mentre le misure alternative, come la messa in prova, sono pressoché sparite. E la cosiddetta legge “svuota carceri” non ha svuotato niente».
Che fare? «Prima di tutto – insiste il Presidente UCPI – provvedimenti incisivi in tema di custodia cautelare. Il carcere deve essere l’estrema ratio e non può diventare un ricettacolo delle persone ai margini della società. La custodia cautelare va limitata, facendo tornare in vigore una serie di misure alternative ormai scomparse in tanti Tribunali di sorveglianza, Bologna compresa, come l’affidamento in prova, i lavori socialmente utili che a volte possono essere molto più educativi e deterrenti che restare 20 ore al giorno chiusi in una cella o la semilibertà».
Nel frattempo, quando il numero dei detenuti alla Dozza supera il numero di 1.100, si aggiungono per terra dei materassi. Alcune celle hanno la doccia interna (tre metri quadrati su 10), ma la maggior parte dei detenuti deve utilizzare quelle al piano: sono quattro per 25 celle pari a 75 persone. E sono «docce fredde con un unico rivolo d’acqua», afferma l’avv. Elisabetta D’Errico, presidente della Camera penale di Bologna, rimarcando, a proposito di bagni, che vi si trovano «le derrate alimentari, frutta e verdura, stipate».
La grave carenza di educatori obbliga gli stessi agenti penitenziari a trasformarsi la sera in «psicologi verso i detenuti», sottolinea Alessandro De Federicis, responsabile dell’Osservatorio carcere UCPI. Gli educatori alla Dozza sono in tutto sette (tre dei quali al momento assenti): «devono seguire 480 detenuti, con un monte ore di 60 ore mensili pagate 17 euro lordi all’ora».
Fattore Umano | Un Vademecum sui diritti-doveri dei detenuti
Italo Tanoni, Ombudsman regione Marche: «Nei colloqui con i detenuti ho capito le difficoltà di molti, soprattutto stranieri, a capire come funziona il carcere in Italia». Da qui l’idea di uno piccolo volume per facilitare l’accoglienza in un ambiente «spesso invivibile»
Parte oggi nei 7 istituti penali delle Marche la distribuzione di un “Vademecum” stampato in 1500 copie da distribuire in ogni cella. Tradotto in 8 lingue (nei sette istituti di pena marchigiani, quasi la metà dei reclusi, il 44% di 1.186, sono stranieri, ndr.) – intende spiegare a chi entra in carcere, oltre ai doveri, i propri diritti. «Alcuni – spiega il Dott. Tanoni – sono sacrosanti come il rispetto per la persona, la salute, l’istruzione, l’informazione, altri un po’ meno, soprattutto nel vissuto quotidiano: il lavoro anche interno al carcere e le misure trattamentali, ad esempio, sono scarsamente diffusi». Con il risultato che – sottolinea il Garante – «la maggior parte dei detenuti vive la propria giornata nella noia più completa dentro lo spazio angusto di una cella, senza far nulla».
Il volumetto, visionato prioritariamente sia da alcuni Direttori delle carceri marchigiane sia da rappresentanti della polizia penitenziaria, contiene anche informazioni per i famigliari dei detenuti: gli indirizzi di alcune case alloggio utili per le visite dei famigliari ai parenti in carcere. Ci sono anche i recapiti delle principali associazioni di volontariato che operano all’interno dei 7 istituti penali delle Marche. Inoltre – spiega il Prof. Tanoni – «vengono chiariti ruolo e funzioni del garante dei diritti dei detenuti e le modalità per chiedere il suo intervento».
Oggi verrà fatta la prima distribuzione di 150 copie nelle celle di Montacuto. «Sarò io stesso – spiega il Prof. Tanoni – a consegnarle alla Direttrice Dott.ssa Santa Lebboroni, accompagnato da una folta schiera di Consiglieri regionali che andranno in visita all’Istituto». Nelle prossime settimane la distribuzione sarà completata anche nelle altre realtà carcerarie marchigiane. «Il soprattutto patrocinio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del PRAP (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) – sottolinea il Garante – rappresenteranno il passe par tout per l’effettiva distribuzione del Vademecum».
Il Vademecum del carcere è scaricabile qui.
Fattore Umano | «Cerco la verità su mio fratello»
È l’appello di Marco Longello, gemello di Massimo, morto il 30 gennaio scorso a Regina Coeli in circostanze tuttora da accertare. Domani manifestazione davanti al carcere, dalle 10 alle 14, presenti l’On. Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’Associazione radicale Il Detenuto Ignoto
«Il medico, non sapendo usare il defibrillatore, leggeva il libretto delle istruzioni». È questa la durissima accusa lanciata da Marco Loggello, il fratello di Massimo Loggello, 46 anni, morto a Regina Coeli il 30 gennaio scorso in circostanze ancora da accertare. Le accuse non si fermano qui: «L’abbiamo saputo la mattina dopo – aggiunge Marco – ci hanno informati quando mio fratello era già nella camera mortuaria del Gemelli, dopo l’intera notte abbandonato in cella, con un lenzuolo sopra».
Una vicenda dai tratti oscuri sulla quale l’On. Rita Bernardini ha presentato un’interrogazione parlamentare (vedi sotto) che attende ancora la risposta del ministro Severino. Il deputato radicale non ha mezzi termini: «Si tratta di un episodio incredibile, che conferma una sola cosa: Regina Coeli va chiuso».
Domani intanto, promossa dallo stesso Marco Luggello, si terrà dalle 10 alle 14 una manifestazione davanti al carcere romano, affinché sulla vicenda «non cali il silenzio». «I compagni di cella – ha raccontato ancora Marco – si sono accorti subito che Massimo stava male, si contorceva e chiedeva aiuto. Erano le undici di sera. Hanno gridato per far venire i secondini, ma il primo si è fatto vivo solo 20 minuti dopo. Poi, dopo altri 40 minuti, è arrivato il medico». Che però non riusciva ad attivare il defibrillatore, al punto che dopo vari tentativi andati a vuoto, a provarci sarebbero stati alcuni detenuti.
Alla manifestazione parteciperanno anche Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’Associazione radicale Il Detenuto Ignoto. «Ogni decesso – dice Irene Testa – che avviene entro le mura di un istituto di pena italiano, al di là di se e quanto siano naturali le circostanze che lo determinano e se questo avrebbe potuto essere o meno evitato – e probabilmente non è questo il caso – costituisce la ricaduta più tragica della rovina del sistema di custodia penale nazionale, e uno dei sintomi sempre più drammatici del suo essere patologicamente fuori dalla legalità e dallo stato di diritto».
«Ci sembra utile ricordare – prosegue Testa – che anche da detenuti si dovrebbe poter morire magari in ospedale o agli arresti domiciliari per incompatibilità col regime detentivo a causa di prognosi cliniche infauste, invece che, come nella maggior parte dei casi avviene, dentro una cella, o al più, nell’infermeria dell’istituto. Nel nostro trovarci profondamente ritrosi a dover accettare con rassegnazione le lesioni costantemente inferte ai diritti umanitari e civili di ogni cittadino detenuto, risiede il senso della nostro sostegno ai familiari di Massimo Loggello».
Fattore Umano | Poggioreale? È peggio di uno zoo
Dice l’avvocato Polidoro, presidente de Il Carcere Possibile Onlus: «quel che si vuole legittimamente garantire agli animali, non è assicurato a chi è rinchiuso in carcere». E scrive alla Procura di Napoli chiedendo se non vi sia «notizia di reato»
Avvocato, come mai questa lettera?
Tra gli scopi della nostra Associazione vi è anche quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della detenzione in carcere, che per i principi costituzionali e per le norme vigenti, deve tendere alla rieducazione del condannato. È necessario far comprendere che una detenzione nel rispetto della legalità è funzionale anche alla sicurezza sociale e al benessere del Paese. La lettera trova spunto dall’articolo pubblicato da La Repubblica sull’indagine, in corso presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, che ha ad oggetto le condizioni, appunto illegali, in cui sarebbero tenuti gli animali nello zoo di Napoli. Indagine giusta, che ci auguriamo possa – ove fosse vera la notizia di reato – pervenire alla punizione dei responsabili e al mutamento di uno stato di cose non degno di un Paese civile. Ci siamo chiesti perché l’Ufficio di Procura ha chiesto l’archiviazione per l’esposto da noi presentato nel 2009, che riguarda più o meno gli stessi fatti subiti da uomini.
Che cosa è successo dopo l’archiviazione?
L’esposto è stato depositato nel 2009. Dopo due anni d’indagine, la Procura della Repubblica ne ha richiesto l’archiviazione, che non è stata accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari, che ha chiesto la prosecuzione delle indagini. Allo stato il fascicolo pende ancora presso l’Ufficio di Procura.
Cosa sperate di ottenere con l’invio della lettera?
Noi vogliamo solo che venga spiegato perché gli Istituti di Pena devono essere considerati “zona franca”. Laddove è previsto che l’ASL competente visiti almeno ogni 6 mesi gli Istituti di Pena per verificare le condizioni igienico-sanitarie in cui vivono i detenuti e il rispetto della normativa vigente. Se si vuole, giustamente, intervenire perché gli animali sono detenuti in spazi angusti, perché il cibo è scadente, perché vi è pericolo di malattie, perché ciò è tollerato per gli uomini? Eppure dal 2010 è stato dichiarato lo «stato di emergenza» negli Istituti di Pena, il Ministro della Giustizia ha affermato che il carcere oggi è una tortura, alcuni giorni fa il Presidente del Senato, visitando la Casa Circondariale di Poggioreale, ha dichiarato che «ci sono reparti di cui preferisco non parlare… vi è una situazione inaccettabile» e le condizioni in cui si trova Poggioreale sono state innumerevoli volte denunciate dai parlamentari che vi sono stati in visita. Lo stesso Procuratore della Repubblica recentemente è stato, con alcuni componenti del suo Ufficio nella predetta Casa Circondariale e si è potuto rendere conto della situazione. Insomma la notizia di reato credo ci sia, vi è un fascicolo ancora aperto, perché non intervenire?
Di seguito il testo della Lettera aperta al Procuratore della Repubblica a Napoli.
Fattore Umano | Libro Bianco sulle carceri, con pagina su Facebook
Questionari ai detenuti, tramite i legali e le famiglie, contro il sovraffollamento. Obiettivo: una class action contro l’amministrazione penitenziaria. Aperto anche uno spazio sul social network. Intervista all’avv. Ermanno Zancla, insieme all’avv. Gino M. D. Arnone, tra i promotori dell’iniziativa
«Stiamo sollecitando altri avvocati, speriamo di smuovere le acque, poi faremo un primo bilancio». Ermanno Zancla, 44 anni, penalista del Foro di Palermo e coordinatore per la Sicilia dell’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, spiega così l’idea di realizzare un Libro Bianco sulle carceri italiane, a partire da quelle del capoluogo siciliano. Un cahier de doléances – spiega il legale –«frutto di quello che ci diranno i detenuti stessi sulla loro condizione, sugli spazi che occupano, sulle difficoltà che incontrano, tramite un questionario da compilare che mettiamo a disposizione dei loro avvocati e delle loro famiglie».
Un’impresa certo ambiziosa, non facile, ma possibile, come premessa per la tappa successiva, quella di una class action dei detenuti contro l’amministrazione penitenziaria per il sovraffollamento delle carceri e, più in generale, contro le situazioni invivibili (dal riscaldamento ai servizi igienici, dalle ore d’aria al diritto alla salute) e per i tempi di totale e obbligatoria inattività trascorsi in cella, in contrasto col principio del «profilo rieducativo». della pena.
«Nel settembre 2011 – prosegue Zancla – c’è stata una sentenza che si può definire rivoluzionaria, con la quale un giudice del Tribunale di sorveglianza di Lecce ha condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire con una cifra pari a 220 euro un detenuto tunisino, recluso nel carcere di Borgo San Nicola». «Certo, la cifra è risibile, poco più che simbolica – insiste l’avvocato –, ma quel che conta è che il giudice ha accolto il ricorso dove si parla di condizioni disumane e degradanti. È una sentenza che apre una dimensione nuova sotto il profilo giurisprudenziale italiano».
Il caso di Lecce, in effetti, potrebbe fare scuola e diventare il grimaldello per altre azioni individuali o di gruppo, di fronte agli innumerevoli casi di illegalità che si consumano nelle carceri italiane, in netto contrasto con gli standard sanciti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti che fissa paletti ben precisi sullo spazio minimo vitale di ogni detenuto: 7 metri quadri in cella singola, 4 metri quadri per le celle multiple. Mentre, al di sotto dei 3 metri, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo parla chiaramente di una «condizione di tortura».
L’idea di mettere insieme le forze per arrivare ad una class action dei detenuti sta trovando un alleato in Facebook, dove è stata aperta la Pagina Libro Bianco Carceri – L.B.C. «per offrire – come si legge a firma degli avvocati Gino Arnone, Ermanno Zancla, Stefano Bertone e Antonio Fiumara – una finestra costantemente aggiornata con giurisprudenza, dati, statistiche, normativa e opinioni su un problema troppo spesso sottaciuto».
«Lancio un appello ai colleghi – conclude Zancla – a riconsegnare rapidamente le schede dei loro assistiti. Entro un mese contiamo di rendere pubblici i primi risultati».
Per ulteriori contatti è possibile scrivere a: arnone@ambrosioecommodo.it e studiolegalezancla@libero.it
Comito: Agli occhi di una carrier di transito come TIS tutto era coerente e senza anomalie
Conclusi gli interrogatori dei “colletti bianchi” di TIS. Si riprende il 7. Cinque imputati si avvalgono della facoltà di non rispondere. Il 12 marzo la testimonianza di Luca Berriola
Si è concluso ieri, con l’ultima parte dell’interrogatorio di Massimo Comito, già Responsabile commerciale per l’Europa di TIS, il ciclo di testimonianze dei manager Telecom Italia Sparkle coinvolti nel processo per l’“Iva Telefonica”.
Davanti alla Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore, Comito ha ribadito che le operazioni contestate, viste dall’azienda, non presentavano alcuna criticità. Non era anomalo che i clienti operassero sia con Fastweb che con TIS così come non era infrequente, nel mondo dei Servizi Premium, che un operatore andasse ad operare in un Paese dell’Est come la Russia (I-Globe, ndr).
Anche i volumi non destavano particolare stupore ed erano in linea con lo sviluppo del mercato dei servizi premium in quegli anni. Già nel 2004, ha spiegato al PM Giovanni Bombardieri lo stesso Comito, con il supporto di documenti di una delle maggiori società di consulenza internazionale nelle telecomunicazioni depositati agli atti, il mercato del traffico Premium ammontava nella sola Europa a 6,5 miliardi. Solo in Italia la stima del mercato nel 2006 era oltre il miliardo di euro. Non era poi così anomalo, dunque, il fatto che un servizio aggregato in tutto il mondo (Europa, America Latina ed Asia, area delle attività dei tre clienti inglesi, ndr), raggiungesse i volumi di fatturato coerenti con le quote di mercato di TIS in quel periodo. Insomma, costante che ha distinto questo round di interrogatori, anche Comito ha saputo confortare le sue affermazioni con riscontri documentali, senza contraddizione tra i vari testi.
Ora il processo si interrompe per qualche giorno per riprendere il 7 marzo. Non è ancora chiaro il calendario dell’udienza, anche perché ieri ben cinque imputati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Si tratta di: Riccardo Scoponi, Manlio Denaro, Luca Breccolotti, Aurelio Gionta e Silvio Fanella. Per il giorno 12 marzo è invece fissato l’esame del Maggiore della Guardia di Finanza Luca Berriola.
Catanzariti: Da parte nostra ci fu la massima trasparenza
L’ex manager di TIS presenta mail e documenti. «Non ho avuto alcun sospetto anche dopo la visita alla sede di Acumen». Fissato il calendario, saltano le udienze del 17 e 23 febbraio
L’esame dell’ingegner Antonio Catanzariti, già responsabile Carrier Sales Italy di Telecom Italia Sparkle, ha occupato l’intera udienza del processo per l’“Iva Telefonica” in corso alla Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduto da Giuseppe Mezzofiore. Nell’arco del lungo interrogatorio, 6 ore in tutto, l’ingegner Catanzariti ha ricostruito l’intera vicenda fin dalle origini. Fu Giuseppe Crudele, allora in Fastweb, a presentare Carlo Focarelli, rappresentante sia dell’italiana I-Globe che della britannica Acumen, a Catanzariti. L’esigenza prospettata da Focarelli, come si evince dalla documentazione, era di allargare l’attività ad una società, TIS, in grado di sostenere volumi di traffico sempre più impegnativi. Circostanza non eccezionale, ha sottolineato Catanzariti facendo denariferimento a statistiche internazionali, vista la crescita esponenziale delle utenze Premium in quel periodo. Non era nemmeno eccezionale, ha risposto il manager al PM Giovanni Bombardieri, che lo stesso intermediario rappresentasse sia il cliente che il fornitore. Anzi, come dimostrano esempi illustrati in Aula, si trattava di una pratica abituale. Anche la visita alla sede di Acumen a Londra, il 2 agosto 2005, così come a quella di Ubique (cui I-Globe aveva affidato la gestione tecnica del traffico), non aveva destato alcun sospetto sulla natura dei soggetti dell’operazione. In particolare, ha sottolineato Catanzariti, nulla ha mai avvalorato il sospetto che il traffico telefonico potesse essere fittizio e non reale.
L’operazione, del resto, era stata condotta all’insegna della massima trasparenza aziendale: il contratto aveva seguito l’iter previsto, coinvolgendo, oltre al settore commerciale, il marketing, l’ufficio legale e quello finanziario di TIS. L’avvio dell’attività era stato poi gestito, per competenza, dal servizio Rete, sotto la diretta supervisione dell’ingegner Menghini. Una lunga analisi, insomma, che ha permesso di ribadire, con una puntigliosa documentazione cartolare, la posizione dei “colletti bianchi” di TIS. In attesa dell’ultimo atto di questo capitolo del processo: oggi, infatti, è prevista l’ultima parte dell’interrogatorio di Massimo Comito, già Responsabile commerciale per l’Europa di TIS.
L’esame di Comito chiude una fase del dibattimento che riprenderà il 7 marzo (sono saltate le udienze del 17 e del 23 febbraio). Il Presidente Mezzofiore ha annunciato, a fine udienza, il calendario del processo. Si riprenderà con l’interrogatorio di Silvio Fanella cui seguirà l’esame di Gennaro Mokbel e Antonio Ricci. L’elenco provvisorio (non è escluso che uno o più imputati rinuncino all’interrogatorio o si riservino una dichiarazione spontanea) prevede poi nell’ordine: Riccardo Scoponi, Manlio Denaro, Luca Breccolotti, Aurelio Gionta, Luca Berriola, Paolo Colosimo, Giuseppe Cherubini, Carlo Focarelli, Massimo Micucci, Luigi Marotta, Francesco Fragomeli e Giorgia Ricci.
I dirigenti di Fastweb saranno senti per ultimi: Roberto Contin e Mario Rossetti. A chiudere la lista sarà l’ingegner Silvio Scaglia.
Si completa la testimonianza del Capitano De Lellis
“Iva Telefonica”: lunga udienza quella di ieri dedicata all’ufficiale dei ROS. Oggi in Aula il proseguimento dell’interrogatorio di Massimo Comito e l’inizio dell’esame di Antonio Catanzariti
Il Capitano dei ROS Francesco De Lellis è stato il protagonista dell’udienza di ieri al processo per l’“Iva Telefonica” in corso presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma, presieduto da Giuseppe Mezzofiore.
La prima parte della lunga testimonianza, che si è conclusa solo alle 16, è stata assorbita dall’esame del Pubblico Ministero Giovanni Bombardieri, poi è iniziato il controesame da parte di alcuni difensori.
Oggi, archiviata la deposizione del Capitano De Lellis, si riparte con la conclusione della deposizione iniziata venerdì scorso di Massimo Comito, già Responsabile commerciale per l’Europa di Telecom Italia Sparkle, e l’audizione di Antonio Catanzariti, ex Responsabile Carrier Sales Italy di TIS.
Comito: Per noi nessun dubbio sulla regolarità del traffico e il Mercato giustificava ampiamente i volumi
Il manager di TIS: le intercettazioni avrebbero permesso di accertare la presenza di contenuti audio/video nel traffico telefonico ampiamente documentato con i CDR (Call Detail Record, ndr.) consegnati da TIS alla GdF. Martedì 14 in Aula Antonio Catanzariti, altro dipendente di Sparkle
Il traffico telefonico, all’esame ex post dei protocolli IP attivati sulla rete di TIS, non presentava alcuna anomalia ed attestava la presenza di contenuti audio/video. Come già detto anche da diversi testi dell’accusa compreso l’Ing. Ciccarella anche Comito ha affermato che un’attività di intercettazione avrebbe potuto indicare in maniera definitiva che, oltre alla presenza del traffico di segnalazione regolarmente trasportato e documentato dai CDR, sulla rete TIS, vi fosse pure la presenza dei contenuti audio/dati che viaggiavano su Internet secondo quanto il tipo di interconnessione VoIP prevedeva: audio di persone fisiche o voci registrate (IVR-Interactive Voice Responder, ndr.), download di dati, ecc.
Massimo Comito, già Responsabile commerciale per l’Europa di Telecom Italia Sparkle ha chiarito questo ed altri elementi nel corso del suo interrogatorio di ieri al processo per l’”Iva Telefonica” in corso presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore.
Rispondendo alle domande del PM Giovanni Bombardieri, Comito ha fatto presente che nella relazione alla Procura del Capo della Rete TIS era chiaramente scritto che dai controlli da lui svolti in quel periodo post notizia criminis, non vi era evidenza che potesse far sorgere il sospetto che il traffico non fosse reale anche perché nel periodo ottobre 2006-maggio 2007 avevano rilevato la presenza sulla rete TIS, per la porzione di traffico trasportato, di protocolli (UDP e RTP, ndr.) che si attivano solo in presenza di contenuti informativi.
Inoltre nella stessa relazione viene fatta la fotografia in quel momento delle configurazioni della rete TIS in termini di indirizzi IP (che cambiano nel corso dei diversi potenziamenti/cambiamenti delle reti di interconnessione, ndr.) fisicamente residenti sulle centrali telefoniche senza i quali il traffico non può fluire. Nella stessa relazione inoltre il Capo della Rete TIS asserisce la “certificazione” dei CDR prodotti dalle centrali telefoniche (che alimentano i sistemi di fatturazione anch’essi certificati) fugando ogni dubbio sulla presenza effettiva del traffico nell’ottica di una Carrier di transito come TIS.
Quanto al tema dell’ABR (parametro tecnico che misura la qualità della terminazione del traffico, ndr.), Comito ha ampiamente spiegato come valori tipici di tale parametro sono appunto elevati proprio per il tipo di servizio Premium che si realizza con apparati IVR sempre disponibili alla risposta e con dimensionamenti di rete robusti (senza colli di bottiglia, ndr.) come nel caso di quelli operativi nel corso dell’interconnessione con I-Globe/Planetarium.
Nel corso dell’udienza, al PM Bombardieri che ha inoltre introdotto il tema della mail del tecnico di rete Perfetti di TIS (mail scambiata fra soli tecnici nel corso del progetto di interconnessione con i clienti/fornitori in discussione, e conosciuta a tutti dagli atti depositati, ndr.) e che sollevava dubbi sul tipo di interconnessione «rigida», Comito ha spiegato leggendo in Aula il passaggio chiave di tale mail dove emerge con chiarezza che Perfetti non aveva in quel momento l’informazione «basilare» e cioè che TIS avrebbe trasportato e istradato via I-Globe solo una direttrice Premium e non come scrive Perfetti «qualunque sia la destinazione chiamata», opzione quest’ultima tipica dell’istradamento di traffico Person to Person.
Comito ha poi ripercorso nel dettaglio i modelli commerciali del traffico Premium spiegando fra l’altro le ragioni economiche per cui tra la stipula del contratto e la successiva utilizzazione delle numerazioni per l’affettivo istradamento del traffico possono passare intervalli di tempo di mesi visti i tempi di interconnessione delle reti.
Ha inoltre introdotto il tema del mercato potenziale dei servizi Premium che nella sola Europa, secondo uno studio internazionale di primaria società di consulenza, ammontava a fine 2004 a 6.5 miliardi di euro ma con picchi superiori non ben identificabili.
Infine, a proposito dei presunti omessi controlli su Carlo Focarelli, Comito ha fatto che presente che la struttura preposta di Finanza e Controllo di TIS, come da prassi, ha effettuato controlli sulle società clienti/fornitori, non sul consulente quale in realtà era Focarelli.
I PM si sono riservati di proseguire l’interrogatorio di Comito nell’udienza di lunedì 13 che proseguirà con la testimonianza del Capitano Francesco De Lellis. Solo martedì 14 dovrebbe prendere il via l’esame di Antonio Catanzariti, l’ex Responsabile Carrier Sales Italy di TIS.