Archivio di maggio 2012
Il perito di Rossetti: per Fastweb le Phuncard e il traffico esistevano
Federico Ciccone scova nella rete i siti e le e-mail del business. «Erano operazioni comuni a tutte le tlc». E Fabrizio Ferrara, assistente del direttore finanziario spiega: «Lui si occupava di finanza straordinaria. E stava in via Broletto, presso la capogruppo e.Biscom»
Per Fastweb non esisteva alcuna evidenza che l’operazione Phuncard fosse fittizia. Anzi, al contrario di quanto evidenziato dalla relazione della Guardia di Finanza, esiste sia traccia dei siti che delle carte d’accesso agli stessi. È uno dei passaggi chiave della testimonianza resa al processo sull’”Iva Telefonica” del consulente tecnico Federico Ciccone, uno dei due testi chiamati dalla difesa dell’allora direttore finanziario di Fastweb Mario Rossetti. In giornata è stata infatti sentita la testimonianza anche di Fabrizio Ferrara, all’epoca dei fatti Direttore Affari Societari di Fastweb, e stretto collaboratore di Rossetti.
Davanti alla Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore, Ciccone ha svolto una relazione sia sugli aspetti di mercato delle operazioni relative alle Phuncard ed al Traffico Telefonico che su quelli più strettamente tecnici. Con abbondanza di esempi e riferimenti internazionali Ciccone ha sottolineato che il mercato dei contenuti di intrattenimento per adulti «ha svolto un ruolo rilevante nello sviluppo del settore tlc». Tutti gli operatori di telecomunicazioni hanno avviato iniziative in questo settore, per cui si può dire che Phuncard e Traffico Telefonico costituivano attività assolutamente normali.
Non è corretto dire, ha aggiunto Ciccone, che i siti e, di riflesso, delle card che consentivano l’accesso, non siano mai esistiti. Anzi, Ciccone è riuscito a ricostruire l’esistenza del sito Phuncard.net (affiancata da Phuncards.com) e delle e-mail relative alle carte d’accesso ai siti.
Per quanto riguarda il Traffico Telefonico non mancano esempi di iniziative analoghe sul mercato globale. Anche in questo caso il consulente ha potuto produrre in giudizio l’esempio di un’iniziativa australiana le cui dinamiche (come emerge dal carteggio legato ad una causa civile) sono assai simili a quelle contestate a Fastweb come irragionevoli. Infine, lo stesso Ciccone ha spiegato perché, dal punto di vista tecnico, fosse tecnicamente rilevante l’intervento di Fastweb per la realizzazione dell’operazione. La società tlc si occupava della gestione e del trasferimento del traffico e, inoltre, aveva un ruolo chiave nel billing nel contabilizzare il traffico in entrata e quello in uscita.
La testimonianza di Ferrara è servita a ricostruire il ruolo, le competenze e l’attività effettivamente svolta da Rossetti. In quegli anni, ha confermato Ferrara, Rossetti si è occupato di finanza straordinaria, senza avere alcuna mansione nelle materie contestate. Non a caso, ha aggiunto Ferrara, Rossetti lavorava negli uffici della capogruppo e.Biscom in via Broletto e non presso la sede operativa di Fastweb in via Caracciolo. Sia dal punto di vista logistico che delle mansioni, insomma, Rossetti appare estraneo a qualsiasi legame con le attività contestate.
Cala così, per questa settimana, il sipario sul processo. L’udienza di giovedì 1 giugno, infatti, è stata cancellata. Si riprenderà il giorno 5.
Scalpelli: Fastweb vittima ignara della frode
Il Responsabile Relazioni esterne: «L’allarme è scoppiato dopo l’articolo di Repubblica». «Il Comitato direttivo si è occupato, marginalmente, delle operazioni contestate in una sola occasione». Mella (Rete): «La verifica del 2010 ha confermato l’audit del 2006/07». Rizzo (Security): «Massima collaborazione con gli inquirenti»
Le operazioni di I-Globe e delle altre società coinvolte nel “Traffico Telefonico” non sono mai state argomento di esame del Comitato direttivo di Fastweb se non, marginalmente, quando si è deciso nel 2006 di riattivare il servizio già interrotto. Solo nel novembre del 2006, dopo la perquisizione degli uffici da parte della Guardia di Finanza, il caso viene affrontato con la massima attenzione dall’organo dirigente della società di tlc. Ma l’allarme vero e proprio scatta pochi mesi dopo, in seguito alla pubblicazione dell’articolo de La Repubblica: è allora che tra i vertici della società si diffonde la sensazione di esser stati vittima di una frode ben più ampia di quanto fino allora temuto, una frode di cui all’epoca non si era in grado di cogliere le esatte dimensioni.
È la parte centrale della testimonianza resa ieri da Sergio Scalpelli, Responsabile delle Relazioni esterne di Fastweb, davanti al Collegio della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma, presieduto da Giuseppe Mezzofiore. Scalpelli, chiamato a deporre dalla difesa di Roberto Contin, Responsabile Large Account di Fastweb, ha evidenziato che le attività di I-Globe e delle altre società coinvolte non sono mai state argomento di discussione del Comitato strategico, salvo, in forma marginale, al momento in cui si decise di riattivare il servizio già interrotto. Il “Traffico Telefonico” entra nell’agenda dei vertici di Fastweb solo dopo la perquisizione degli uffici nel novembre del 2006. La società, sottolinea Scalpelli, dimostrò subito forte attenzione per capire l’accaduto. Ma solo l’articolo di Repubblica, conclude Scalpelli, prese corpo la consapevolezza della frode.
Il Responsabile della pianificazione della Rete di Fastweb, Mario Mella, il secondo teste della giornata, ha precisato che, a suo tempo, non era stato interessato in alcun modo alle operazioni coinvolte, data la natura standard dei servizi in oggetto. Ma nel 2010, dopo gli arresti, allo stesso Mella è stata chiesta la revisione dell’audit effettuato nel 2006/07. Dall’analisi non è risultata alcuna anomalia: il traffico in questione non risultava fittizio né presentava alcuna anomalia.
Infine, la sfilata dei testi si è conclusa con Luca Rizzo, Responsabile della sicurezza di Fastweb, ove c’è sempre stata a suo dire una forte vigilanza nei confronti delle truffe, un fenomeno assai diffuso nel settore. È stato lo stesso Rizzo a gestire, nel corso delle indagini, i rapporti con l’autorità giudiziaria. L’atteggiamento della società, ha sottolineato, è sempre stato improntato alla massima collaborazione con gli inquirenti le cui richieste sono sempre state prontamente esaudite. Gli ultimi testi chiamati a deporre dall’avvocato Gildo Ursini, difensore di Contin, deporranno nell’udienza del 26 giugno prossimo.
Scaglia: «La vera vittima della truffa è stata Fastweb»
La testimonianza dell’ingegnere al processo per l’“Iva Telefonica”. «Per noi le operazioni incriminate erano lecite, ma di bassa marginalità e irrilevanti. E non hanno mai suscitato l’interesse degli investitori». «Non mi sono mai occupato di contratti, delegati al settore commerciale». «Nel 2006 non avevo più cariche operative»
«L’idea di base nell’operazione Phuncard era che Fastweb pagasse l’Iva. Dunque Fastweb è la vera frodata perché il credito d’Iva, che ammontava a diverse centinaia di milioni di euro, legati agli investimenti della rete e che nelle previsioni avrebbe dovuto recuperare nel tempo, in realtà non è mai stato recuperato dallo Stato». È quanto ha affermato da Silvio Scaglia, fondatore della società di telecomunicazioni, ascoltato nell’ambito del processo sull’“Iva Telefonica” in corso presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduto da Giuseppe Mezzofiore. Scaglia ha sottolineato che «i soldi del riciclaggio sono stati portati via a Fastweb». Per il manager «le operazioni Phuncard e Traffico Telefonico, dal nostro punto vista vere e lecite, erano di così bassa marginalità e basso fatturato che rientravano nel business tattico e non strategico di Fastweb ed erano irrilevanti nel raggiungimento degli obiettivi. Quello che era no-core business non ha mai suscitato nessun interesse da parte di azionisti e investitori». L’ex fondatore di Fastweb ha inoltre affermato che «Fastweb avrebbe raggiunto in ogni caso i suoi obiettivi anche senza il business Phuncard legato. Ogni decisione che veniva adottata a livello commerciale era a me sconosciuta. Non mi sono mai occupato di contratti e della loro tipologia che era delegata al commerciale». Il manager ha quindi concluso spiegando che nell’aprile del 2006, quando la magistratura avvia i primi accertamenti, era già impegnato in altre iniziative. «Non avevo più cariche operative. Restavo come presidente ma avevo rimesso le deleghe», ha concluso.
Nel corso dell’interrogatorio Scaglia, rispondendo alle domande del PM Giovanni Bombardieri, ha ripercorso le tappe dello sviluppo di Fastweb. «Abbiamo iniziato con una visione di rete innovativa che voleva porsi come eccellenza e alternativa agli altri operatori che tranne Telecom non avevano cavi di proprietà». «Gli investitori interessati allo sviluppo dell’azienda stavano attenti a quanti erano i suoi clienti». Insomma «le operazioni Phuncard e Traffico telefonico non hanno mai suscitato nessun interesse da parte di azionisti e investitori». E poi «Fastweb dal punto di vista finanziario era un’azienda più che solida, i soldi avevano il fine di trasformarsi in rete». «Tra il 2003 e il 2005 i dipendenti sono passati da 1500 a 3000 e sono cresciuti anche dopo. La crisi non ha causato, quindi, alcun contraccolpo. E nel 2004 – ha proseguito – quando non c’erano Phuncard e Traffico telefonico, il fatturato è passato da 400 a oltre 700 milioni». Insomma, le operazioni incriminate non erano funzionali allo sviluppo dell’azienda. Del resto, ha aggiunto, «se il Traffico Telefonico fosse stato così importante per il destino dell’azienda, non sarebbe stato interrotto bruscamente con l’uscita dell’articolo del gennaio 2007 sul quotidiano La Repubblica che dava conto delle prime iniziative giudiziarie di Procura e Guardia di Finanza. La prova ulteriore sta nel fatto che quando Swisscom lanciò l’Opa, ben sapendo tutto quello che era successo, lo fece a un prezzo superiore al valore di borsa».
Riguardo alla sua conoscenza delle ispezioni avvenute in azienda da parte della Gdf e degli avvisi di garanzia mandati ad alcuni ex dirigenti, Scaglia ha chiarito – anche rispondendo alle domande dei suoi difensori, Antonio Fiorella e Carlo Federico Grosso – che dopo la fase di start-up aveva maturato la decisione di allontanarsi ed in pratica fin dall’aprile del 2006, quando erano stati avviati gli accertamenti degli inquirenti, era già impegnato in Inghilterra con altre iniziative imprenditoriali: «Non avevo più cariche operative. Restavo come presidente, ma avevo rimesse le deleghe». Quindi dopo l’uscita delle prime notizie «caddi dalle nuvole perché tutto mi sembrava pazzesco e assurdo».
Fattore Umano | «Chiamiamola tortura»
L’appello lanciato dall’Associazione Antigone per l’introduzione del reato di Tortura nel nostro Codice penale
Un altro vuoto normativo da colmare. Parliamo del reato di tortura, uno dei grandi assenti nel nostro Codice penale. «Sono 25 anni – si legge nel testo di presentazione dell’iniziativa di Antigone – che l’Italia è inadempiente rispetto a quanto richiesto dalla Convezione contro la tortura delle Nazioni Unite, che il nostro Paese ha ratificato: prevedere il crimine di tortura all’interno degli ordinamenti dei singoli Paesi». Nonostante, infatti, il nostro Paese abbia sottoscritto e ratificato la Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti del 1984, nulla ancora è stato fatto.
«Abbiamo deciso di riprovarci – spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – e di far ripartire una campagna per l’introduzione del crimine di tortura nel codice penale». «Nei prossimi giorni – conclude Gonnella – chiederemo a tutti i senatori e a tutti i deputati di firmare la proposta di legge e chiederemo ai Presidenti del Senato Renato Schifani e della Camera Gianfranco Fini di impegnarsi per una rapida calendarizzazione affinché‚ si arrivi entro l’estate alla approvazione».
Basta solo la volontà politica di farlo. Perché bisogna solo introdurre una sola norma tra l’altro già scritta in un atto internazionale. E «Per approvarla ci vuole molto poco», conclude Gonnella. Chissà se la presenza in questi giorni del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa sbloccherà la situazione.
Tra i primi firmatari dell’appello: Andrea Camilleri, Massimo Carlotto, Ascanio Celestini, Cristina Comencini, Erri De Luca, Luigi Ferrajoli, Rita Levi Montalcini , Elena Paciotti , Mauro Palma, Stefano Rodotà , Daniele Vicari, Vladimiro Zagrebelsky, Don Luigi Ciotti (Libera, Gruppo Abele), Franco Corleone (Coord. Garanti territoriali) , Daniela De Robert (Usigrai, VIC – Caritas) , Roberto Di Giovan Paolo (Forum Salute in carcere) , Ornella Favero (Ristretti Orizzonti), Elisabetta Laganà (CNVG), Luigi Manconi (A Buon Diritto) , Alessandro Margara (ex capo Dap), Carlo Renoldi (Magistratura Democratica) , Marco Solimano (Arci), Valerio Spigarelli (Presidente Ucpi), Irene Testa (Il Detenuto Ignoto) e Christine Weise (Presidente della Sezione Italiana di Amnesty International).
Per aderire all’appello di Antigone mandate una mail a segreteria@associazioneantigone.it
«Per Fastweb Focarelli non era un cliente primario»
Tacchia (commerciale): «La società puntava a margini e cassa, non al fatturato». Hanno testimoniato per Contin anche Filippo Vicariotto (Ufficio legale) e Luigi Gerbi (gestione della Rete)
Nei rapporti tra Fastweb e le attività legate alle Phuncard o al “Traffico telefonico” non vi fu mai alcun elemento, tecnico o contrattuale, che facesse pensare a qualcosa di irregolare o che comunque non rientrasse nell’assoluta ordinarietà del business. È questo il risultato dell’esame dei testi presentati dalla difesa di Roberto Contin, Responsabile Large Account di Fastweb, nel corso dell’udienza di ieri al processo sull’“Iva Telefonica”. Davanti al Collegio della Prima Sezione penale presieduto da Giuseppe Mezzofiore sono sfilate le tre “anime” dell’azienda, dal punto di vista legale, tecnica e commerciale nelle persone di: Filippo Vicariotto, Responsabile dell’Ufficio legale di Fastweb; Luigi Gerbi, Responsabile tecnico del settore Operations della Rete; Giorgio Tacchia, Responsabile della pianificazione della Business Unit Large Account.
Dalle testimonianze dei tre manager, interrogati dai PM Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti è emersa l’assoluta normalità dei contratti nell’ambito del business di Fastweb. In particolare, il dottor Tacchia, in risposta alle richieste del PM Bombardieri, ha potuto far presente che le società che facevano capo a Carlo Focarelli non rappresentavano un cliente rilevante nell’ambito delle strategie della società delle tlc. L’obiettivo dell’azienda, infatti, era di puntare all’incremento della cassa e dei margini piuttosto che di puntare al fatturato.L’avvocato Vicariotto ha spiegato, invece, come nei contratti non risultassero anomalie di sorta dal punto di vista legale, così come non emergeva alcun sospetto sul piano della gestione tecnica.
Il processo riprende martedì 22.
Fattore Umano | Tra tre giorni «Diamoci dentro»
Sabato 19 il «boot camp» per l’avvio del progetto di una cordata di associazioni per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti di Treviso
La Cooperativa Alternativa di Vascon ha vinto il bando «La vita non aspetta» promosso nel 2011 dal Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Treviso volto a finanziare progetti per la promozione e l’inserimento dei giovani esclusi dal mondo della scuola e del lavoro. I 90mila euro sono stati subito destinati al finanziamento di percorsi dedicati ai giovani detenuti nelle due carceri di Treviso (120 nella casa circondariale e altri 20 nell’Istituto penale per minori con meno di 29 anni che non studiano e che non lavorano).
«Il punto di forza di questo progetto sta nella solidità di chi lo compone», spiega Igor de Pol, presidente dell’Associazione Possibili Alternative. Nove le associazioni di volontariato coinvolte nel progetto: Possibili Alternative, B-Net, Ipsia, La Prima Pietra, Circolo, Legambiente Piavenire, Legambiente di Treviso, Associazione Culturale Islamica di Treviso, Per Ricominciare e Tonino Bello. Molti anche i partner dell’iniziativa biennale fra cui la Comunità Morialdo, la Caritas Tarvisina, il Centro per l’Impiego, l’Azienda Ulss 9 e la Camera di Commercio di Treviso.
Diamoci dentro, insomma. Lavorando durante la reclusione per produrre oggetti da vendere all’esterno e sostenendo percorsi formativi ed occupazionali esterni al carcere. Con un doppio obiettivo: aiutare i giovani detenuti nel loro percorso riabilitativo e diffondere un’immagine diversa del carcere nell’opinione pubblica. Perché il “pianeta carcere” non è un mondo sommerso ma una risorsa su cui investire.
Sabato 19 maggio alle ore 14 il Boot Camp che darà il via al progetto. L’appuntamento è in via Cardinal Callegari 32 a Vascon di Carbonera (TV). L’incontro si svolgerà per avviare l’attività di preparazione dei gruppi di lavoro che perseguiranno gli obiettivi previsti dal progetto «Diamoci dentro».
Fattore Umano | La prima volta del CSM in carcere
L’appello da Rebibbia: «Abbandoniamo la via dell’emergenza che ci accompagna da decenni»
Il 10 maggio una delegazione del Consiglio Superiore della Magistratura ha visitato per la prima volta un carcere italiano. «Un evento storico» – lo ha definito Giovanni Tamburino, capo del DAP –che ha coinvolto il primo presidente del CSM Ernesto Lupo, il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, e i componenti della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza. La visita nei reparti Nuovo complesso e femminile di Rebibbia ha permesso di verificare lo stato dell’istituto penitenziario al fine di ottenere una «drastica e radicale depenalizzazione». Per alleggerire le carceri e per ridare fiato a un sistema giudiziario «intasato da un’eccessiva quantità di procedimenti».
La delegazione ha incontrato i rappresentanti della polizia penitenziaria e di altri dirigenti penitenziari di Rebibbia, oltre che un gruppo di detenuti. «Sappiamo – ha dichiarato Vietti rivolgendosi agli agenti di custodia – che si tratta di un lavoro quanto mai importante e difficile: l’effettività della pena è affidata a voi e non è certamente un aspetto secondario del sistema giudiziario». «La vostra difficoltà – ha aggiunto – si misura con la sfida dell’intento rieducatore che la nostra Costituzione vuole sia connesso con l’espiazione della pena, un compito dunque molto più delicato della semplice custodia».
Vietti ha esortato a «uscire dei vecchi schemi con i quali è stata gestita finora la realtà carceraria» ed ha rivolto un appello ricordando le parole del Capo dello Stato. La nostra – ha detto – è una «realtà carceraria che ci umilia di fronte al resto dell’Europa: chi ha la responsabilità di operare, lo faccia».
La visita ha consentito anche di mettere in luce alcuni aspetti positivi di una «struttura dignitosamente mantenuta» come il nido. Ma il carcere romano – nonostante sia in condizioni migliori di tanti altri istituti – vive le conseguenze del sovraffollamento (i detenuti sono arrivati a quota 1750) con celle da massimo 4 detenuti in cui vivono in 6 (anche le sale per attività rieducative sono trasformate in celle, ndr.).
Di fronte alle strutture «vetuste» che non si possono sistemare per mancanza di fondi, il vicedirettore del carcere Anna Del Villano chiede di concentrarsi su «soluzioni alternative al carcere». Perché – ha sottolineato un detenuto di Rebibbia presente all’incontro – «la situazione attuale è invivibile».
Le richieste dei reclusi di Rebibbia sono state più che altro degli inviti a «dare maggiore fiducia ai detenuti che nei fatti hanno dimostrato di essere cambiati, guardando al passato ma soprattutto all’oggi». Come ha chiesto un detenuto che a Rebibbia vive da 20 anni.