Fattore Umano| Le stoviglie della speranza


Il bilancio della «Grande battitura della» promossa dai Radicali. Per mezz’ora i detenuti di quasi 90 carceri  hanno picchiato sulle sbarre delle celle. Anche perché il numero dei “ristretti” è di nuovo risalito a 67.000


«Suoneremo così le nostre campane», aveva annunciato Marco Pannella alla vigilia della «Grande battitura della speranza». E le campane sono risuonate forti, chiare e numerose. A Catania, Cosenza, Roma Rebibbia e Regina Coeli. E ancora, a Poggioreale, Lecce, Cagliari Buoncammino e Trento, e poi a San Vittore, Genova, Venezia, Bologna e in parecchie decine di altre carceri, ben 89 le adesioni giunte da tutte le regioni di Italia.


Già, perché migliaia di detenuti giovedì 30 agosto scorso hanno battuto con le stoviglie le sbarre delle proprie celle, nello stesso istante e per mezz’ora, trasformando così una forma di protesta tra le più tradizionali dell’immaginario carcerario in un messaggio pacifico e collettivo di speranza. Un messaggio che si è levato da quelle che il leader radicale ha definito le «nuove catacombe della democrazia e della giustizia».


La speranza dunque resiste e trova spazio perfino lì dove di spazio ce n’è pochissimo e, talvolta, basta soltanto per respirare. E dove persino lo stare in piedi è un tempo da contrattare con altri detenuti che, nel frattempo, devono stare in branda, perché lo spazio non basta per tutti.


La popolazione detenuta, nonostante le promesse e gli “interventi” normativi realizzati, è infatti tornata a sfiorare quota 67mila, mentre la capienza regolamentare (ma non necessariamente effettiva) non supera i 45mila posti. E sebbene il ministro ne abbia annunciati 11mila in più con la costruzione di nuovi padiglioni e istituti, non c’è traccia di assunzioni di nuovo personale. Insomma il piano di edilizia carceraria sembra destinato ad innalzare solo altre cattedrali nel deserto. Ammesso che poi si arrivi a costruirle davvero.


Ciò di cui c’è realmente bisogno, invece, sono misure rapide e incisive per uscire dallo stato di illegalità in cui versano le patrie galere e l’intera macchina della giustizia. Schiacciata dal peso di milioni di procedimenti arretrati.


Secondo i radicali è l’amnistia la sola strada da percorrere per un ritorno immediato alla legalità; e per restituire un po’ di credibilità al nostro Paese, ripetutamente condannato dalla Corte europea dei diritti umani proprio a causa del malfunzionamento della giustizia. Mentre a Strasburgo, sommersi da oltre mille ricorsi di singoli detenuti, i giudici si apprestano a emettere nei confronti dell’Italia una sentenza pilota per denunciarne le carenze strutturali in materia di carceri.


Anche per questo i reclusi d’Italia hanno risposto all’appello del leader radicale. Per invocare il rispetto della legge da parte di uno Stato che punisce loro per averla violata. E al tempo stesso fugge, come un latitante qualunque, dalle proprie responsabilità.


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