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“Iva Telefonica”: riparte il processo


Davanti ai giudici della Prima Sezione penale, al via l’esame di Giovanni Gabriele, Antonio Ricci, Massimo Micucci e Giuseppe Cherubini


Torna oggi in aula il processo per l’“Iva Telefonica”. Davanti alla Prima Sezione penale del Tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Mezzofiore, sono previsti da calendario gli interrogatori di: Giovanni Gabriele, Antonio Ricci, già socio Telefox, l’imprenditore Massimo Micucci e Giuseppe Cherubini, ex Amministratore di Globestream Ltd.


La scorsa udienza del 17 febbraio, con il controesame di Massimo Comito, ex Responsabile commerciale per l’Europa di TIS, ha visto concludersi il ciclo di testimonianze dei manager di Telecom Italia Sparkle.


Nel corso della medesima udienza, cinque imputati avevano comunicato di volersi avvalere della «facoltà di non rispondere»: Riccardo Scoponi, Manlio Denaro, Luca Breccolotti, Aurelio Gionta e Silvio Fanella.


Si proseguirà il 12 marzo, giornata nella quale è fissato l’esame il Maggiore della Guardia di Finanza, Luca Berriola e di Francesco Fragomeli.


Fattore umano | «Il senso della rieducazione» a Convegno


Nella Casa di reclusione di Padova la Giornata di studi promossa da Ristretti Orizzonti, Ministero Giustizia e Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Appuntamento il 18 maggio


Le iscrizioni sono già iniziate. L’appuntamento è per venerdì 18 maggio, dalle 9.30 alle 16.30, presso la Casa di Reclusione di Padova dove si terrà una Giornata nazionale di studi dedicata al tema: «Il senso della rieducazione in un Paese poco “educato”». A partire, dunque, dal senso di una pena (carceraria) che la Costituzione italiana chiede «rieducativa».


Ma in un paese poco «educato», dove la legalità trova barriere già nei piccoli comportamenti di molti cittadini, la questione si complica. E tocca domandarsi, ad esempio: cosa potrebbe essere, poi, la rieducazione? E chi dovrebbe esercitare la funzione del «rieducatore»? «Anche perché – aggiungono i promotori – è il caso di smettere di pensare che «a commettere reati siano sempre “gli altri” e che il carcere sia l’unica punizione possibile».


La giornata si svilupperà su alcuni filoni quali la «mala e buona educazione», il tema del carcere che produce una «regressione infantile» nei detenuti, i passaggi complessi di una possibile «rieducazione» compresi i suoi fallimenti, le dinamiche del detenuto-vittima, l’esigenza di una rieducazione sentimentale, il delicato ruolo della stampa, soprattutto quando non informa ma «diseduca».


Tra i relatori presenti:


  • Giovanni De Luna, Professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Torino, autore, tra l’altro, del saggio La Repubblica del dolore e della prefazione a Lo Stato siamo noi di Piero Calamandrei.
  • Gherardo Colombo, ex magistrato, autore, tra l’altro, dei saggi Sulle Regole, Democrazia e Il perdono responsabile.
  • Mauro Palma, Presidente uscente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani o degradanti del Consiglio d’Europa.
  • Roberto Bezzi, Responsabile dell’area pedagogica nella Casa di reclusione di Bollate.
  • Ivo Lizzola, Professore ordinario di Pedagogia Sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo.
  • Deborah Cartisano, figlia di Lollò Cartisano, il fotografo di Bovalino sequestrato ed ucciso dalla ‘ndrangheta.
  • Eraldo Affinati, scrittore, la sua ultima opera è Peregrin d’amore.
  • Pietro Buffa, Direttore della Casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino.
  • Alessandra Augelli, Dottore di ricerca in Pedagogia. Svolge attività di formazione sui temi dell’affettività e della relazionalità, privilegiando le metodologie narrative ed autobiografiche.
  • Beppe Pasini, docente a contratto di Pedagogia della Famiglia all’Università di Milano Bicocca e di Pedagogia Sperimentale all’Università di Brescia.
  • Giovanni Bianconi, giornalista del Corriere della Sera. L’ultimo suo lavoro è Il brigatista e l’operaio. L’omicidio di Guido Rossa. Storia di vittime e colpevoli.
  • Coordinerà i lavori Adolfo Ceretti, Professore ordinario di Criminologia, Università di Milano-Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano.


Clicca qui per il modulo d’iscrizione e qui per il programma della Giornata.


Fattore Umano | Corte di Strasburgo: cure garantite a tutti i detenuti


Dalla Seconda Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo un’altra condanna per l’Italia per «trattamenti disumani e degradanti»



Il palazzo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo



«Le condizioni di detenzione che procurano un peggioramento della malattia di un detenuto costituiscono un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali: Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti». Ecco – in sintesi – quanto emerge dalla sentenza del 7 febbraio (Cara-Damiani contro Italia, ndr.) dalla Corte europea di Strasburgo a seguito del ricorso del 13 dicembre 2004 di un detenuto italiano. Il ricorrente è Nicola Cara-Damiani, un sessantacinquenne entrato in carcere nel 1992. Affetto da paralisi agli arti inferiori, è costretto su una sedia a rotelle da 15 anni.




Nel 2003, a causa delle sue condizioni, Cara-Damiani viene trasferito da Bologna al carcere di Parma, struttura che gli poteva garantire il necessario programma di fisioterapia perché provvisto di una specifica unità per disabili. Una garanzia, però, che è rimasta solo sulla carta: il detenuto disabile finisce, infatti, in una “sezione ordinaria” nella quale non ha accesso ai servizi igienici, non può fare fisioterapia e non ha possibilità di movimento con la sedia a rotelle. L’unità per disabili – non funzionante per mancanza di fondi e con poco personale – è stata inaugurata solo nel 2005. Damiani vi rimane fino al 2008 (era arrivato a Parma nel 2003, ndr.) quando ottiene il ricovero in una clinica. Nel settembre 2010 però rientra in carcere, dove rimane fino al 23 novembre 2010.


Con questa decisione, la Corte di Strasburgo (che condanna l’Italia anche a versare alla parte lesa 10.000 euro di risarcimento, ndr.) ricorda a tutti gli stati Membri il principio fondamentale secondo cui essi hanno l’obbligo di assicurare che «tutti i carcerati siano detenuti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana». Ma non solo: avendo riguardo per le esigenze “pratiche” della reclusione, devono garantire che «la salute dei carcerati sia salvaguardata in maniera adeguata» e che le cure in carcere siano «a un livello comparabile a quelle che lo Stato garantisce all’insieme della popolazione».


Fattore Umano | Un magistrato di sorveglianza “latitante”


Interrogazione parlamentare dell’On. Bernardini dopo la visita ispettiva nel carcere di Rimini. Dove si affollano “tossici” e stranieri, senza che ASL e magistrato preposto si facciano vivi. E lo stesso Comandante dice che una sezione «è come il Bronx»



La Casa Circondariale di Rimini


Il magistrato di sorveglianza? Da quando è in carica, non si è mai visto (per la cronaca è il Dott. Franco Raffa). Ma nemmeno i funzionari della ASL di riferimento si prendono la briga di fare le dovute ispezioni sulle condizioni igienico-sanitarie delle celle e di altri spazi per detenuti e agenti. Cose che capitano nella Casa Circondariale di Rimini, dove alcuni che dovrebbero sorvegliare e controllare, non controllano e non sorvegliano.



Nulla che riguardi il personale interno o la direzione dell’istituto. Ma così, non c’è da sorprendersi se perfino il comandante Fernando Picini definisce la prima sezione «un Bronx». Sono solo alcune cose che si scoprono leggendo l’interrogazione parlamentare rivolta al ministro Severino dall’On. Rita Bernardini, dopo la visita ispettiva dei giorni scorsi nel carcere riminese, accompagnata dall’Avv. Desi Bruno, Garante regionale dei diritti dei detenuti, da Irene Testa (Segretaria Associazione Il Detenuto Ignoto), Vincenzo Gallo (Consigliere comunale PD a Rimini), Ivan Innocenti (Associazione Luca Coscioni) e il radicale Filippo Vignali.


Le cifre crude parlano di un carcere dove tossicodipendenti ed extracomunitari rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione carceraria: «I detenuti presenti nell’istituto – si legge – sono 204 a fronte di 150 posti regolamentari disponibili; il 65% dei detenuti sono tossicodipendenti, il 70% stranieri in massima parte magrebini, albanesi e rumeni; i detenuti in attesa di primo giudizio sono 63, gli appellanti 25, i ricorrenti 21, i definitivi 77; i detenuti con posizione mista con una sentenza definitiva sono 11, mentre i detenuti con posizione mista senza definitivo sono 6; i semiliberi sono in tutto 6». Di tutti questi, però solo «20 detenuti lavorano a rotazione perlopiù impegnati in mansioni domestiche all’interno dell’istituto».


Insomma, tante anime perse, con pochissimi che possono fare di meglio che restare 20 ore al giorno in una cella sovraffollata. Gli agenti (143) sono il 40% in meno degli effettivi (102), con 6 educatori e 2 psicologi. Le richieste (le lamentele) dei detenuti sono quelle di sempre: poter lavorare, poter studiare, non vedersi piovere dal soffitto acqua sulla testa, avere i soldi per telefonare e avvisare i parenti che si è detenuti, o avvisare la famiglia che si verrà trasferiti (a San Vittore). Piccole cose, in apparenza, ma che diventano cose “impossibili” nel carcere romagnolo. Dove capita anche che venga negato di partecipare ai funerali della moglie.


Per tutto questo, ma non solo per questo (vedi sotto testo integrale dell’interrogazione), l’On. Bernardini chiede se si «intenda verificare l’operato della magistratura di sorveglianza in merito all’aderenza del suo operato a quanto prescritto dalla normativa riportata in premessa». Già, chi controlla chi deve controllare? Al neoministro Severino l’ardua risposta.


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Fattore Umano | Decesso a Regina Coeli, al Dozza in cella un non vedente


Ancora un morto nel carcere romano, il terzo in meno di un mese, mentre nell’istituto di Bologna si resta in galera pure da ciechi. Con l’assistenza di un altro detenuto



Il carcere romano di Regina Coeli


Un altro decesso a Regina Coeli, il terzo in meno di un mese, avvenuto nella notte di venerdì e sabato 25 febbraio. A morire nel centro clinico del carcere romano un detenuto di 65 anni, Angelo Savarese, affetto da diverse patologie cliniche, diabete compreso.  Una morte «per cause naturali». «L’uomo – si legge nel comunicato a firma del garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni – era ricoverato nel Centro diagnostico terapeutico dove stava scontando una pena di diversi anni per cumulo di condanne». E a nulla sono serviti i soccorsi «pur tempestivi», e la presenza di medici: Savarese si è sentito male ed è deceduto poco dopo.




Aggiunge però Marroni: «Il centro clinico di Regina Coeli è una struttura di riferimento nazionale per la salute in carcere ma, come il resto del penitenziario, soffre di molti mali: rotture di impianti e infiltrazioni, precarie condizioni igieniche, sovraffollamento e promiscuità, carenza di macchinari e di risorse economiche». Del resto, ad essere ricoverati non sono solo gli ammalati interni del carcere, ma anche detenuti provenienti da tutta Italia con gravi patologie. Come risultato, c’è un detenuto che da 14 mesi aspetta un intervento chirurgico, mentre un altro, trasferito dalla regione Sicilia, aspetta da tre mesi un fisioterapista.


Insomma: «È l’intero complesso di Regina Coeli – aggiunge Marroni – a non essere più in grado di garantire standard accettabili di vivibilità per nessuno, dai detenuti agli agenti. Regina Coeli ha oltre 300 anni e li dimostra tutti, e non possono bastare gli interventi di ristrutturazione, pur radicali. Solo qualche settimana fa avevamo proposto di chiudere il carcere ai nuovi ingressi per alleviare il sovraffollamento. Ora credo che sia giunto il momento di pensare alla chiusura di Regina Coeli».



Casa circondariale di Bologna Dozza


Da Roma a Bologna, un viaggio-incubo che si ripete: «Tre persone in una cella in cui dovrebbe starcene una sola, costrette a stare sdraiate sul loro letto per la mancanza di spazio di movimento; quattro docce (fredde) per 75 detenuti; derrate alimentari stipate nei bagni e tre esperti-psicologi (pagati 17 euro l’ora) che devono stare dietro a 480 detenuti». È la denuncia sul carcere della Dozza, dopo la visita di alcuni avvocati penalisti, guidati dal Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Valerio Spigarelli. I ristretti “stipati” sono 1.083, contro i 450 previsti dalla capienza regolamentare.





Ma non c’è solo il sovraffollamento cronico, ci sono casi umani oltre il limite della vergogna. Ad esempio, c’è un detenuto non vedente di 65 anni: «Lo assiste un detenuto-piantone – spiegano i penalisti – pagato tre ore al giorno ma in realtà fa le altre 21 ore di volontariato per non lasciarlo solo». Per non dire di un altro recluso, reduce da un trapianto di fegato, che al momento resta in infermeria. «Avrebbe dovuto stare isolato per evitare contagi, ma la direttrice ha dovuto scegliere il “male minore” cioè quello di tenerlo in infermeria», dicono i penalisti.


Commenta Spigarelli: «Siamo di fronte a una situazione di assoluta inciviltà, i detenuti sono costretti a vivere in condizioni intollerabili, in particolare quelli in attesa di giudizio». «Il problema – aggiunge – è soprattutto una legislazione che non fa altro che appesantire il sistema delle pene e prevedere il carcere per sempre più reati, mentre le misure alternative, come la messa in prova, sono pressoché sparite. E la cosiddetta legge “svuota carceri” non ha svuotato niente».


Che fare? «Prima di tutto – insiste il Presidente UCPI – provvedimenti incisivi in tema di custodia cautelare. Il carcere deve essere l’estrema ratio e non può diventare un ricettacolo delle persone ai margini della società. La custodia cautelare va limitata, facendo tornare in vigore una serie di misure alternative ormai scomparse in tanti Tribunali di sorveglianza, Bologna compresa, come l’affidamento in prova, i lavori socialmente utili che a volte possono essere molto più educativi e deterrenti che restare 20 ore al giorno chiusi in una cella o la semilibertà».


Nel frattempo, quando il numero dei detenuti alla Dozza supera il numero di 1.100, si aggiungono per terra dei materassi. Alcune celle hanno la doccia interna (tre metri quadrati su 10), ma la maggior parte dei detenuti deve utilizzare quelle al piano: sono quattro per 25 celle pari a 75 persone. E sono «docce fredde con un unico rivolo d’acqua», afferma l’avv. Elisabetta D’Errico, presidente della Camera penale di Bologna, rimarcando, a proposito di bagni, che vi si trovano «le derrate alimentari, frutta e verdura, stipate».


La grave carenza di educatori obbliga gli stessi agenti penitenziari a trasformarsi la sera in «psicologi verso i detenuti», sottolinea Alessandro De Federicis, responsabile dell’Osservatorio carcere UCPI. Gli educatori alla Dozza sono in tutto sette (tre dei quali al momento assenti): «devono seguire 480 detenuti, con un monte ore di 60 ore mensili pagate 17 euro lordi all’ora».


Fattore Umano | Un Vademecum sui diritti-doveri dei detenuti


Italo Tanoni, Ombudsman regione Marche: «Nei colloqui con i detenuti ho capito le difficoltà di molti, soprattutto stranieri, a capire come funziona il carcere in Italia». Da qui l’idea di uno piccolo volume per facilitare l’accoglienza in un ambiente «spesso invivibile»



La copertina del Vademecum del carcere



Parte oggi nei 7 istituti penali delle Marche la distribuzione di un “Vademecum” stampato in 1500 copie da distribuire in ogni cella. Tradotto in 8 lingue (nei sette istituti di pena marchigiani, quasi la metà dei reclusi, il 44% di 1.186, sono stranieri, ndr.) – intende spiegare a chi entra in carcere, oltre ai doveri, i propri diritti. «Alcuni – spiega il Dott. Tanoni – sono sacrosanti come il rispetto per la persona, la salute, l’istruzione, l’informazione, altri un po’ meno, soprattutto nel vissuto quotidiano: il lavoro anche interno al carcere e le misure trattamentali, ad esempio, sono scarsamente diffusi». Con il risultato che – sottolinea il Garante –  «la maggior parte dei detenuti vive la propria giornata nella noia più completa dentro lo spazio angusto di una cella, senza far nulla».


Il volumetto, visionato prioritariamente sia da alcuni Direttori delle carceri marchigiane sia da rappresentanti della polizia penitenziaria, contiene anche informazioni per i famigliari dei detenuti: gli indirizzi di alcune case alloggio utili per le visite dei famigliari ai parenti in carcere. Ci sono anche i recapiti delle principali associazioni di volontariato che operano all’interno dei 7 istituti penali delle Marche. Inoltre – spiega il Prof. Tanoni – «vengono chiariti ruolo e funzioni del garante dei diritti dei detenuti e le modalità per chiedere il suo intervento».




Oggi verrà fatta la prima distribuzione di 150 copie nelle celle di Montacuto. «Sarò io stesso – spiega il Prof. Tanoni – a consegnarle alla Direttrice Dott.ssa Santa Lebboroni, accompagnato da una folta schiera di Consiglieri regionali che andranno in visita all’Istituto». Nelle prossime settimane la distribuzione sarà completata anche nelle altre realtà carcerarie marchigiane. «Il soprattutto patrocinio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del PRAP (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) – sottolinea il Garante – rappresenteranno il passe par tout per l’effettiva distribuzione del Vademecum».


Il Vademecum del carcere è scaricabile qui.


L’Angolo di Vincino | L’interrogatorio di Comito


Fattore Umano | «Cerco la verità su mio fratello»


È l’appello di Marco Longello, gemello di Massimo, morto il 30 gennaio scorso a Regina Coeli in circostanze tuttora da accertare. Domani manifestazione davanti al carcere, dalle 10 alle 14, presenti l’On. Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’Associazione radicale Il Detenuto Ignoto


«Il medico, non sapendo usare il defibrillatore, leggeva il libretto delle istruzioni». È questa la durissima accusa lanciata da Marco Loggello, il fratello di Massimo Loggello, 46 anni, morto a Regina Coeli il 30 gennaio scorso in circostanze ancora da accertare. Le accuse non si fermano qui: «L’abbiamo saputo la mattina dopo – aggiunge Marco – ci hanno informati quando mio fratello era già nella camera mortuaria del Gemelli, dopo l’intera notte abbandonato in cella, con un lenzuolo sopra».


Una vicenda dai tratti oscuri sulla quale l’On. Rita Bernardini ha presentato un’interrogazione parlamentare (vedi sotto) che attende ancora la risposta del ministro Severino. Il deputato radicale non ha mezzi termini: «Si tratta di un episodio incredibile, che conferma una sola cosa: Regina Coeli va chiuso».


Domani intanto, promossa dallo stesso Marco Luggello, si terrà dalle 10 alle 14 una manifestazione davanti al carcere romano, affinché sulla vicenda «non cali il silenzio». «I compagni di cella – ha raccontato ancora Marco – si sono accorti subito che Massimo stava male, si contorceva e chiedeva aiuto. Erano le undici di sera. Hanno gridato per far venire i secondini, ma il primo si è fatto vivo solo 20 minuti dopo. Poi, dopo altri 40 minuti, è arrivato il medico». Che però non riusciva ad attivare il defibrillatore, al punto che dopo vari tentativi andati a vuoto, a provarci sarebbero stati alcuni detenuti.


Alla manifestazione parteciperanno anche Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’Associazione radicale Il Detenuto Ignoto. «Ogni decesso – dice Irene Testa – che avviene entro le mura di un istituto di pena italiano, al di là di se e quanto siano naturali le circostanze che lo determinano e se questo avrebbe potuto essere o meno evitato – e probabilmente non è questo il caso – costituisce la ricaduta più tragica della rovina del sistema di custodia penale nazionale, e uno dei sintomi sempre più drammatici del suo essere patologicamente fuori dalla legalità e dallo stato di diritto».


«Ci sembra utile ricordare – prosegue Testa – che anche da detenuti si dovrebbe poter morire magari in ospedale o agli arresti domiciliari per incompatibilità col regime detentivo a causa di prognosi cliniche infauste, invece che, come nella maggior parte dei casi avviene, dentro una cella, o al più, nell’infermeria dell’istituto. Nel nostro trovarci profondamente ritrosi a dover accettare con rassegnazione le lesioni costantemente inferte ai diritti umanitari e civili di ogni cittadino detenuto, risiede il senso della nostro sostegno ai familiari di Massimo Loggello».

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Fattore Umano | Poggioreale? È peggio di uno zoo


Dice l’avvocato Polidoro, presidente de Il Carcere Possibile Onlus: «quel che si vuole legittimamente garantire agli animali, non è assicurato a chi è rinchiuso in carcere». E scrive alla Procura di Napoli chiedendo se non vi sia «notizia di reato»


Avvocato, come mai questa lettera?

Tra gli scopi della nostra Associazione vi è anche quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della detenzione in carcere, che per i principi costituzionali e per le norme vigenti, deve tendere alla rieducazione del condannato. È necessario far comprendere che una detenzione nel rispetto della legalità è funzionale anche alla sicurezza sociale e al benessere del Paese. La lettera trova spunto dall’articolo pubblicato da La Repubblica sull’indagine, in corso presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, che ha ad oggetto le condizioni, appunto illegali, in cui sarebbero tenuti gli animali nello zoo di Napoli. Indagine giusta, che ci auguriamo possa – ove fosse vera la notizia di reato – pervenire alla punizione dei responsabili e al mutamento di uno stato di cose non degno di un Paese civile. Ci siamo chiesti perché l’Ufficio di Procura ha chiesto l’archiviazione per l’esposto da noi presentato nel 2009, che riguarda più o meno gli stessi fatti subiti da uomini.


Che cosa è successo dopo l’archiviazione?

L’esposto è stato depositato nel 2009. Dopo due anni d’indagine, la Procura della Repubblica ne ha richiesto l’archiviazione, che non è stata accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari, che ha chiesto la prosecuzione delle indagini. Allo stato il fascicolo pende ancora presso l’Ufficio di Procura.


Cosa sperate di ottenere con l’invio della lettera?

Noi vogliamo solo che venga spiegato perché gli Istituti di Pena devono essere considerati “zona franca”. Laddove è previsto che l’ASL competente visiti almeno ogni 6 mesi gli Istituti di Pena per verificare le condizioni igienico-sanitarie in cui vivono i detenuti e il rispetto della normativa vigente. Se si vuole, giustamente, intervenire perché gli animali sono detenuti in spazi angusti, perché il cibo è scadente, perché vi è pericolo di malattie, perché ciò è tollerato per gli uomini? Eppure dal 2010 è stato dichiarato lo «stato di emergenza» negli Istituti di Pena, il Ministro della Giustizia ha affermato che il carcere oggi è una tortura, alcuni giorni fa il Presidente del Senato, visitando la Casa Circondariale di Poggioreale, ha dichiarato che «ci sono reparti di cui preferisco non parlare… vi è una situazione inaccettabile» e le condizioni in cui si trova Poggioreale sono state innumerevoli volte denunciate dai parlamentari che vi sono stati in visita. Lo stesso Procuratore della Repubblica recentemente è stato, con alcuni componenti del suo Ufficio nella predetta Casa Circondariale e si è potuto rendere conto della situazione. Insomma la notizia di reato credo ci sia, vi è un fascicolo ancora aperto, perché non intervenire?


Di seguito il testo della Lettera aperta al Procuratore della Repubblica a Napoli.


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Fattore Umano | Libro Bianco sulle carceri, con pagina su Facebook


Questionari ai detenuti, tramite i legali e le famiglie, contro il sovraffollamento. Obiettivo: una class action contro l’amministrazione penitenziaria. Aperto anche uno spazio sul social network. Intervista all’avv. Ermanno Zancla, insieme all’avv. Gino M. D. Arnone, tra i promotori dell’iniziativa




«Stiamo sollecitando altri avvocati, speriamo di smuovere le acque, poi faremo un primo bilancio». Ermanno Zancla, 44 anni, penalista del Foro di Palermo e coordinatore per la Sicilia dell’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, spiega così l’idea di realizzare un Libro Bianco sulle carceri italiane, a partire da quelle del capoluogo siciliano. Un cahier de doléances – spiega il legale –«frutto di quello che ci diranno i detenuti stessi sulla loro condizione, sugli spazi che occupano, sulle difficoltà che incontrano, tramite un questionario da compilare che mettiamo a disposizione dei loro avvocati e delle loro famiglie».



Un’impresa certo ambiziosa, non facile, ma possibile, come premessa per la tappa successiva, quella di una class action dei detenuti contro l’amministrazione penitenziaria per il sovraffollamento delle carceri e, più in generale, contro le situazioni invivibili (dal riscaldamento ai servizi igienici, dalle ore d’aria al diritto alla salute) e per i tempi di totale e obbligatoria inattività trascorsi in cella, in contrasto col principio del «profilo rieducativo». della pena.


«Nel settembre 2011 – prosegue Zancla – c’è stata una sentenza che si può definire rivoluzionaria, con la quale un giudice del Tribunale di sorveglianza di Lecce ha condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire con una cifra pari a 220 euro un detenuto tunisino, recluso nel carcere di Borgo San Nicola». «Certo, la cifra è risibile, poco più che simbolica – insiste l’avvocato –, ma quel che conta è che il giudice ha accolto il ricorso dove si parla di condizioni disumane e degradanti. È una sentenza che apre una dimensione nuova sotto il profilo giurisprudenziale italiano».


Il caso di Lecce, in effetti, potrebbe fare scuola e diventare il grimaldello per altre azioni individuali o di gruppo, di fronte agli innumerevoli casi di illegalità che si consumano nelle carceri italiane, in netto contrasto con gli standard sanciti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti che fissa paletti ben precisi sullo spazio minimo vitale di ogni detenuto: 7 metri quadri in cella singola, 4 metri quadri per le celle multiple. Mentre, al di sotto dei 3 metri, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo parla chiaramente di una «condizione di tortura».


L’idea di mettere insieme le forze per arrivare ad una class action dei detenuti sta trovando un alleato in Facebook, dove è stata aperta la Pagina Libro Bianco Carceri – L.B.C. «per offrire – come si legge a firma degli avvocati Gino Arnone, Ermanno Zancla, Stefano Bertone e Antonio Fiumara – una finestra costantemente aggiornata con giurisprudenza, dati, statistiche, normativa e opinioni su un problema troppo spesso sottaciuto».

 

«Lancio un appello ai colleghi – conclude Zancla – a riconsegnare rapidamente le schede dei loro assistiti. Entro un mese contiamo di rendere pubblici i primi risultati».


Per ulteriori contatti è possibile scrivere a: arnone@ambrosioecommodo.it e studiolegalezancla@libero.it


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“Questo Blog è dedicato alla figura di Silvio Scaglia, imprenditore ed innovatore, protagonista di start up (Omnitel, Fastweb, Babelgum) oggi impegnato in nuove sfide come il rilancio de La Perla, marchio storico del made in Italy. E' un luogo di informazione e di dibattito per tutti gli stakeholders (dipendenti, collaboratori, clienti) ma anche comuni cittadini che hanno seguito le vicende in cui Scaglia, innocente, si è trovato coinvolto fino alla piena assoluzione da parte della giustizia italiana.” - Stefania Valenti, Chief Executive Officer Elite World