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Cacciatore: le Phuncard? Un business come gli altri
La deposizione dell’ex responsabile amministrazione e controllo di Fastweb
«Lei ha sentito parlare dell’operazione commerciale denominata Phuncard o carte prepagate?». A questa domanda del PM Giovanni Bombardieri, l’ex responsabile dell’amministrazione e controllo tra il 2001 e il 2003 di Fastweb, Mario Cacciatore risponde così, nel corso dell’udienza del 20 luglio del processo sull’”Iva telefonica”. «Nell’ultimo periodo di mia permanenza era una delle linee di business, come tantissime altre che Fastweb aveva – dice –. Fastweb è nata con un progetto di utilizzo della larga banda e con dei servizi particolarmente innovativi e questo servizio rientrava nella politica normale di implementazione di nuovi servizi, per quanto a mia conoscenza». Insomma, l’operazione Phuncard «era uno dei tanti business significativi come il business dei residenziali, piuttosto che gli altri, non era il business più importante». Semmai «una delle tante operazioni commerciali che Fastweb aveva in pipeline».
Cacciatore, allora responsabile amministrazione, ha più volte precisato nel corso della sua testimonianza che «non conoscevo nel dettaglio il prodotto perché gli amministrativi non entrano nel merito del prodotto tecnologico che veniva offerto». Ma per caso lei sa, chiede il PM Bombardieri, «per quale motivo veniva pagata CMC?… Per una consulenza, per la vendita di un prodotto, per un servizio telefonico, per che cosa?». «Veniva pagata per un prodotto chiamato carta telefonica» – risponde Cacciatore, e continua – «CMC era un fornitore, se ben ricordo, con cui operavamo anche nell’ambito dei numeri Premium». E aggiunge: «Era un fornitore come tanti, come altri, di un servizio assolutamente normale per quei tempi… I numeri Premium erano dei numeri come ancora adesso utilizzati, assolutamente di ordinaria amministrazione».
Insomma, le Phuncard erano una linea di business. «… uno dei tanti servizi». «Io posso solo dire – conclude l’ex manager di Fastweb – che era uno dei prodotti, chiamiamoli servizi, che facevano parte del portafoglio della società. Quindi… per me fondamentalmente è uno dei tanti servizi che la società realizzava e proponeva ai suoi clienti».
Uno dei tanti servizi che è stato gestito, come emerge dalla testimonianza, in modo normale secondo i criteri di organizzazione seguiti per ogni altra linea di business.
Fattore Umano | L’On. Bernardini: «Amnistia come volano di una grande riforma»
Per la deputata radicale: «Dopo lo sciopero del 14, il prossimo passo sarà la raccolta di firme per una seduta straordinaria del Parlamento sull’emergenza carceri e giustizia»
Se mai passasse la proposta di pagare deputati e senatori per quanto lavorano, l’onorevole radicale Rita Bernardini rischierebbe solo di guadagnarci. Il 14 agosto l’ha passato a Rebibbia, in sciopero della fame e della sete; il 17 a scrivere un’interrogazione parlamentare su un tale che si è fatto quattro giorni di carcere per avere acquistato online un “farmaco” che contiene una sostanza inserita nelle tabelle della Giovanardi-Fini. Lo hanno prelevato 12 agenti della GdF con l’accusa di spaccio: «Davvero uno strano spacciatore – ironizza Rita Bernardini – che lascia indirizzo, telefono e carta di credito».
Oggi, 18 agosto, c’è già altro da fare e da pensare: «Il prossimo passo – spiega – sarà la raccolta di firme per arrivare ad una seduta parlamentare straordinaria dedicata all’emergenza carceri e giustizia». L’art. 62 della Costituzione lo prevede con chiarezza: «Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti». Altrettanto recita l’art. 29 del Regolamento della Camera. Insomma, si può fare.
Del resto, prosegue Rita Bernardini, «è il motivo per cui abbiamo fatto lo sciopero del 14, un’iniziativa non violenta che non ha precedenti in Italia per la qualità e il numero delle adesioni: oltre duemila persone fra cui, lo sottolineo, 12 direttori di carceri e un altissimo numero di agenti». Che nelle carceri la situazione abbia superato ogni limite umano non lo nega più nessuno, a partire dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Basta ascoltare anche le parole di Don Sandro Spriano, 70 anni, cappellano di Rebibbia da oltre 20, anche lui tra i digiunatori: «Oggi nelle carceri non ci sono i soldi per cambiare una lampadina». O per fare una doccia, per resistere all’afa, come capita all’Ucciardone di Palermo. Dove comunque si vive accatastati nelle celle.
La proposta dei Radicali è nota: «Ci vuole un’amnistia – insiste la Bernardini – che funga da volano per una vera riforma della giustizia. L’Italia è fuorilegge, viola ogni giorno le direttive europee e dell’Onu. Abbiamo già subito diverse condanne da organismi internazionali, dunque ha ragione Marco Pannella quando parla di “delinquenza professionale” da parte dello Stato. E non solo per l’emergenza carceri: ogni anno vengono prescritti 170mila processi. Cosa c’è di più ingiusto che avere subito un torto e rimanere senza giustizia?».
Caldarola: «L’atteggiamento persecutorio nei confronti di Scaglia, e di altri esponenti di Fastweb (…) fa parte dello stile peggiore di certa magistratura»
Giuseppe Caldarola è uno dei pochi commentatori che non ha mai dimenticato, nemmeno nei mesi più bui, il trattamento riservato a Silvio Scaglia: tre mesi di carcere a Rebibbia seguiti da una lunga segregazione, altri nove mesi, sotto un regime di arresti domiciliari estremamente rigorosi. Nemmeno quando il «PM di punta a piazzale Clodio» Giancarlo Capaldo, protagonista dell’inchiesta sull’”Iva telefonica”, poteva contare sul sostegno quasi unanime del mondo dei media. Quel mondo che non si scandalizzava, al contrario di Caldarola, «per un PM che ha mandato in galera fior di personaggi pubblici senza andare troppo per il sottile», a partire da Silvio Scaglia rientrato in Italia per collaborare con la giustizia.
Giuseppe Caldarola non ha dimenticato quest’inchiesta. Anzi ci torna con un commento di grande spessore su Linkiesta, il giornale online. E così, nel momento in cui «PM di punta» si spoglia dell’inchiesta Enav-Finmeccanica adombrando l’ombra di un complotto, Caldarola confessa che «non riesco a commuovermi per Capaldo» e, aggiunge, «appare chiaro che sarà molto difficile valutare serenamente le sue inchieste, anche quelle passate, alla luce delle sue disinvolte abitudini». Non solo perché le circostanze che hanno portato al suo passo indietro, cioè le cene con il ministro Tremonti e il suo segretario particolare Milanese già inquisito, sono gravi e inquietanti. Ma soprattutto perché «l’atteggiamento persecutorio nei confronti di Scaglia e di altri esponenti di Fastweb, ad esempio l’amministratore delegato Stefano Parisi, fa parte dello stile peggiore di certa magistratura che prima arresta e poi cerca le prove e che soprattutto adotta il sistema della carcerazione preventiva come strumento per ottenere la confessione».
Capaldo ora chiede un metro diverso da quello da lui adottato neo confronti degli inquisiti. La risposta dello Stato di diritto dev’essere una sola: il Csm convinca Capaldo a fare un ben più marcato passo indietro. In momento così delicato, conclude Caldarola, è bene che in prima fila restino solo gli insospettabili.
Fattore Umano | In corso il digiuno contro l’inferno carceri
Lo sciopero “della fame e della sete” promosso dai Radicali. Le adesioni di migliaia di operatori, detenuti e famigliari. Obiettivo: una riunione straordinaria del Parlamento, dopo le parole del presidente Napolitano
Chissà, forse si toccherà perfino quota 2000. Almeno a guardare la sfilza di adesioni cresciute negli ultimi giorni, di ora in ora, all’appello dei Radicali per la giornata di “sciopero della fame e della sete”, per chiedere la convocazione straordinaria del Parlamento sull’emergenza carceri.
Il digiuno è iniziato dalla mezzanotte scorsa e andrà avanti per 24 ore. Oltre ai radicali (Marco Pannella innanzitutto, poi Emma Bonino e Rita Bernardini quest’oggi in visita ispettiva nel carcere di Rebibbia) e qualche rappresentante politico qua e là, a scendere in campo stavolta ci sono soprattutto coloro che l’emergenza la vivono e la affrontano ogni giorno: direttori degli istituti di pena, agenti in divisa (tutte le sigle sindacali di rappresentanza del mondo penitenziario hanno aderito), educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, cappellani e volontari. Oltre, ovviamente, a molti detenuti e loro famigliari. Tutti con la medesima motivazione: l’emergenza carceri è giunta a un punto di non ritorno, non solo nei numeri (67mila persone stipate contro 43mila posti), ma per le condizioni di vita sempre più invivibili ad ogni livello: vale a dire per ciò che il burocratese definisce “eventi critici” ma che spogliati dal linguaggio amministrativo significano 602 tentati suicidi (38 morti) nel solo 2011, 24 risse censite ufficialmente, continui episodi di auto-violenza (ferimenti, tagli, ingurgitamento di lamette, assunzione di gas tossici con le bombolette), per non dire delle difficoltà degli operatori: missioni non pagate ai poliziotti, carenze di vitto (tre pasti al giorno costano in media 3.8 euro, ma niente a che vedere coi menu di Camera e Senato), mancanza di soldi per le riparazioni (con il risultato che se si rompe un sanitario i detenuti vengono stipati ancora di più in altre celle).
Non a caso è stato lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a definire quella del carcere «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» e a sottolineare «l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona». Già, un abisso.
La proposta dei Radicali è nota: una amnistia «senza se e senza ma», che riporti la dimensione carcere in Italia a quella antica civiltà giuridica di cui meniamo vanto. Non piccole pezze, dunque, ma un’assunzione chiara delle forze politiche in Parlamento del fallimento delle scelte degli ultimi anni, a partire dal miraggio di un piano carceri che esiste solo sulla carta. Proprio domani, il neoministro della Giustizia, l’ex magistrato Nitto Palma, sarà in visita a Regina Coeli. Nei giorni scorsi ha chiarito la sua posizione: «niente amnistia ma sì alle depenalizzazioni». Gli ha fatto eco il segretario nazionale del Sidipe (Sindacato direttori penitenziari) Enrico Sbriglia: «Una buona intenzione, ma non basta». Citando che ben 4 commissioni parlamentari negli ultimi 20 anni non hanno cavato un ragno dal buco. Intanto, secondo indiscrezioni, starebbe prendendo corpo l’idea di consentire che gli ultimi due anni di pena possano trasformarsi in arresti domiciliari. Una soluzione che – è stato calcolato – svuoterebbe le carceri di (forse) 5mila persone. Insomma, niente più che un pannicello. Compresa la discriminazione fra chi il domicilio ce l’ha e chi ne è privo.
E che dire poi dell’emergenza giustizia in generale. Gente carcerata per “farla confessare”, decine di migliaia di persone in attesa di giudizio, per poi scoprire che per il presunto furto di un pacco di biscotti (da 2 euro) a Trento ci sono voluti tre anni tre di dibattimento. Che altro aggiungere, non basta?
Macciò: Mai parlato di Phuncard o CMC nei nostri meeting
Il direttore commerciale nel 2003 racconta l’organizzazione della start-up
«Io dell’attività dell’azienda con Scaglia ne parlavo in quanto ne parlavamo direttamente, ma anche in una riunione settimanale, che era la riunione che noi chiamavamo Partners Meeting, dove i fondatori di e.Biscom e Fastweb ogni lunedì pomeriggio si riunivano per parlare delle attività».
Nel corso dell’udienza del 20 luglio scorso Lorenzo Macciò, uno dei fondatori di Fastweb e responsabile commerciale e delle operations fino all’aprile 2003, ha tracciato, nel corso dell’udienza del 20 luglio scorso del processo sull’“Iva telefonica” un quadro dell’organizzazione della società nel corso dei primi anni di attività, appena uscita dalla fase di start-up.
L’attenzione dei PM Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti, si è concentrata, tra l’altro, proprio sui Partners Meeting. Ne facevano parte spiega Macciò, oltre a lui stesso, sia Silvio Scaglia che Francesco Micheli «poi c’erano sicuramente Angelidis, Trondoli, Garrone, Rossetti… ». «Era un momento di sintesi il Partners Meeting, una sintesi molto importante – continua Macciò – per un’azienda dallo sviluppo frenetico, cresciuta in pochi anno da zero a 700mila clienti». Per poter tener testa a tutto questo «bisogna alla velocità della luce incontrarsi, scambiarsi le informazioni».
Ma «Lei ha mai sentito parlare dell’operazione Phuncard, carte prepagate?» chiede il PM Bombardieri, «Allora – risponde Macciò – io ho sentito parlare dell’operazione Phuncard quando nel 2006, io ero già andato via da tre anni, si presentarono nel mio ufficio due signori della Guardia di Finanza e mi fecero delle domande su questo argomento, di cui io non ricordavo… non ricordavo assolutamente nulla. Mi fecero vedere dei documenti, ce n’era tra l’altro anche uno firmato da me, dove c’era scritto Phuncard, ma per me era una cosa assolutamente sconosciuta».
Macciò conferma invece di ricordarsi di CMC, cliente della filiale di Roma che affittava linee telefoniche per un’attività commerciale legata ai numeri Premium. “Di CMC – incalza il PM Bombardieri – si parlava in questi Partners Meeting?» «Non mi ricordo – replica Macciò – che ci sia stato qualche Partners Meeting in cui si sia parlato specificamente di CMC». Ma non si parlava delle operazioni commerciali più importanti in questi Partners Meeting? «Tenga conto – risponde Macciò – che… se dovevamo fare una proposta importante, che so, alle Poste Italiane, piuttosto che all’Unicredit, magari era argomento da portare al Partners Meeting. Dovendo parlare di società che affittavano delle linee non credo che fosse un argomento da portare» in quella sede.
Insomma, Macciò, che in azienda riportava direttamente ad Angelidis, non ha avuto occasione o motivo per parlare del cliente CMC, curato dalla filiale di Roma, con Silvio Scaglia. O tantomeno di Phuncard, una cosa «a me assolutamente sconosciuta».
Moglia: Fastweb si mise a disposizione dei PM per intercettare il traffico
Il direttore Affari legali e regolamentari chiude le testimonianze del filone della società di Tlc
La testimonianza di Giovanni Moglia, direttore Affari legali e regolamentari di Fastweb, ha esaurito ieri la serie delle deposizioni legate al ruolo della società Tlc in merito alle Phuncard ed al traffico telefonico. Moglia, che già all’epoca dei fatti ricopriva una funzione chiave in azienda, ha tra l’altro ricostruito la reazione della società quando è scattato l’allarme, sull’onda delle rivelazioni dell’articolo apparso su La Repubblica nel gennaio 2007, sulle infrazioni fiscali legate al cosiddetto “traffico telefonico”.
Fastweb, ha ricostruito Moglia, ha preso immediatamente tre provvedimenti: 1) ha subito dato mandato all’allora responsabile Wholesale perché potesse intervenire sulle strutture commerciali per bloccare le attività legate al traffico; 2) ha provveduto ad informare il Consiglio di amministrazione; 3) ha messo a disposizione dell’Autorità giudiziaria tutti gli strumenti necessari per procedere alle intercettazioni che potessero tornare utili all’attività degli inquirenti per verificare le eventuali criticità in odore di reato. Un’opportunità cui la procura non ha ritenuto di dover dare seguito.
Moglia, che ha anche risposto alle domande in materia di Phuncard, spiegando le motivazioni che hanno spinto l’azienda a chiedere in merito il parere di Guido Rossi (il dubbio riguardava il ruolo di prestatore di credito che Fastweb, nei fatti, esercitava verso le controparti), è stato interrogato in particolare sulle caratteristiche del “traffico telefonico”. Un business, ha sottolineato il manager, che visto dalla parte di Fastweb non era fittizio: non c’è mai stato alcun dubbio sul fatto che il traffico fosse effettivo, come era stato confermato sia dall’audit interno che da una perizia curata da una struttura di KPMG indipendente dai revisori.
Un passaggio importante della deposizione di Moglia riguarda l’impatto che hanno avuto le operazioni incriminate, “Phuncard” prima e “traffico telefonico” poi, sui bonus dei manager – la cui remunerazione era in parte agganciata a voci variabili – ed al guadagno effettivo derivato da queste operazioni. Al riguardo Moglia ha affermato che secondo i calcoli fatti da Fastweb all’epoca, l’impatto è stato negativo. Se non ci fosse stata l’operazione “traffico telefonico”, insomma, la quota variabile per i manager sarebbe stata superiore.
Alberto Trondoli controllò la reale esistenza dei contenuti delle Phuncard
L’ex Dg di Fastweb spiega perché si trattava di un business normale
Le Phuncard esistevano. Parola di Alberto Trondoli, uno dei fondatori di e.Biscom-Fastweb e direttore generale della società ai tempi dell’operazione, che ieri ha testimoniato al processo sull’”Iva telefonica”. Rispondendo alla domanda del PM Giovanni Bombardieri se ci fu un controllo del contenuto delle Phuncard, Trondoli ha risposto che lui stesso ne verificò l’autenticità accedendo al portale www.phuncard.net, dove digitando il codice riportato sulla card si visionavano contenuti per adulti. È questo uno dei punti salienti della testimonianza del manager che, all’epoca dei fatti (2003) aveva appena assunto la carica di direttore generale sotto la guida dell’Ad Emanuele Angelidis mentre Silvio Scaglia aveva assunto la presidenza.
L’operazione Phuncard, ha spiegato Trondoli, era seguita nella parte operativa direttamente da Bruno Zito mentre le decisioni strategiche, erano di competenza dell’Ad Angelidis, anche lui convocato ieri per testimoniare al processo, ma che non ha risposto alla chiamata per “legittimo impedimento”. Il business delle Phuncard, ha sottolineato Trondoli, non presentava aspetti critici: la controparte era nota a Fastweb per aver già intrattenuto altri rapporti commerciali con reciproca soddisfazione; l’operazione, seppur di portata marginale rispetto al core business presentava comunque una marginalità interessante, nell’ordine del 7-8 per cento. Al momento dell’interruzione dei rapporti, ha infine concluso Trondoli, era stato lui stesso a comunicare di persona, a Roma, la decisione a Carlo Focarelli, per un semplice gesto di cortesia commerciale.
Nel corso dell’udienza di ieri ci sono state altre testimonianze, di cui daremo un succinto resoconto nei prossimi articoli. In particolare, c’è stata la deposizione dell’Ad di Fastweb Stefano Parisi e quella dell’allora Responsabile dell’amministrazione mentre ha completato la sua testimonianza la ex Responsabile dell’Internal audit.
Oggi si conclude la serie delle testimonianze relative a Fastweb con la deposizione di Giovanni Moglia. Poi inizierà la serie dedicata ai testi di Telecom Italia Sparkle.
Traffico telefonico: Fastweb faceva solo da postino
L’ex responsabile Wholesale di Fastweb ha spiegato in aula perché i servizi Premium usano solo l’“istradamento rigido”
Durante l’udienza del 20 luglio, nel corso del proseguimento dell’esame dell’ex responsabile Wholesale di Fastweb da parte dei PM, iniziato lunedì scorso, sono state sollevate alcune questioni di natura tecnica di non facile comprensione al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, ma di importanza cruciale per rispondere alla domanda chiave: i dirigenti delle società di Tlc, Fastweb in particolare, potevano cogliere un’eventuale anomalia nell’operazione proposta da Diadem? Oppure, vista dal desk della società Tlc, la richiesta di far da transito tra Diadem e il “content provider” rientrava nella normalità?
Nel corso dell’interrogatorio il teste ha spiegato che «in tutti i casi in cui c’è la fornitura di un servizio Premium tutto il traffico è instradato verso il content provider, quindi tutto il traffico raccolto è instradato rigidamente verso un’unica destinazione che è il content provider». Ma qual è la differenza sostanziale tra l’“istradamento dinamico” del traffico telefonico e quello “rigido”?
Per comprendere uno dei punti fondamentali sollevati dalla Procura durante la scorsa udienza, il Blog ha chiesto a degli esperti di fare chiarezza sui concetti di rigidità e di dinamicità del traffico. Nell’istradamento dinamico la società che gestisce il traffico ha la possibilità di scegliere tra una pletore di fornitori del servizio, a seconda del prezzo. Ma lo stesso non capita nell’istradamento rigido, tipico – come ricordato dall’allora responsabile Wholesale di Fastweb nel corso del suo esame – delle formule Premium quando l’aggregatore del traffico deve mettere in contatto quello specifico content provider con l’utente che ha scelto il servizio.
Per capirci, esiste il traffico “Person to Person” in cui chi si occupa del traffico sceglie la strada da percorrere; e il traffico “Person to Application” in cui il traffico deve seguire una strada obbligata, scelta dall’aggregatore per effettuare la “consegna” del contenuto. In questo caso Fastweb faceva lo stesso lavoro del postino che riceve una lettera dal mittente e la recapita all’indirizzo scritto sulla busta.
Il “postino”, quindi, non aveva modo né di leggere il contenuto, né di scegliere la strada da percorrere. O di condizionare i ritmi del traffico. Né, tantomeno, di guardare cosa c’era dietro i numeri di Tuvalu. Una circostanza che non ha nulla di eccezionale, ma è connaturata alla natura dei servizi Premium via Tlc.