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Dagospia. L’incredibile vicenda Fastweb si va ridimensionando
«Le ultime notizie fanno pensare che l’incredibile vicenda finirà con un ridimensionamento delle accuse nei confronti di Silvio Scaglia, il maggior imputato del processo sul quale si sono abbattute misure giudiziarie al limite della civiltà»
È il commento apparso su Dagospia, dopo le ultime udienze del processo “Iva telefonica” dedicate al capitolo Fastweb. In effetti, dopo le ultime deposizioni, compresa quella di Francesco Micheli che Il Fatto Quotidiano ha sintetizzato con l’eloquente titolo «Fastweb: Scaglia poteva non sapere», si diffonde la sensazione che il teorema dell’accusa poggi su basi sempre meno solide, che almeno finora non hanno retto all’esame in aula.
Il risultato, come conferma l’articolo di Dagospia, è che i protagonisti messi fuori gioco dall’«incredibile vicenda» possono tornare in pista. Come Stefano Parisi, già Ad di Fastweb, «messo in frigorifero dagli svizzeri di Swisscom» dopo l’avviso di garanzia. In questi mesi l’ex Direttore generale della Confindustria, candidato in pole position per la poltrona di numero uno in Telecom Italia prima delle disavventure giudiziarie, non è stato con le mani in mano. In particolare, a lui si deve la nascita di Confindustria digitale, la nuova associazione nelle quali sono rappresentate le aziende di telefoni, informatica e media di cui è presidente. Inoltre, Parisi guida anche Asstel, l’associazione degli industriali a cui aderiscono i gestori in cui figurano quali suoi vice i rappresentanti di tutti i Big: Oscar Cicchetti, Paolo Bertoluzzo, Ossama Bessada di Wind, Renato Soru e Marco Tripi.
Fini qui l’articolo di Dagospia. Le lotte per il potere o d il sottopotere di viale dell’Astronomia non sono certo un argomento interessante per questo Blog, dedicato ad un caso giudiziario emblematico «al limite della civiltà» come nota giustamente il sito. Ma l’articolo merita di esser segnalato per due ragioni: 1) il ritorno, comunque troppo lento, alla “normalità” per i manager e gli imprenditori “congelati” nell’ambito dell’inchiesta; 2) la speranza che, in vista di una nuova stagione di Confindustria torni d’attualità, più che i cambi di poltrona, l’esigenza di una lettura più certa e civile della legge 231 e dei rapporti tra amministrazione della giustizia e dell’economia.
Perché non succeda più, come è accaduto, che un’azienda quotata in Borsa rischi, come Fastweb, il commissariamento con danni irreparabili, per inchieste che più di anno dopo meritano l’etichetta di «incredibile vicenda».
Casati: l’operazione Traffico telefonico era un business in linea con il mercato e del tutto normale
L’ex responsabile Wholesale di Fastweb: era un’attività non-core, perfettamente in linea con il mercato per il margine prodotto e dai bassi costi di investimento
La procedura seguita per le operazioni commerciali con Diadem ed I-Globe, i due terminali del cosiddetto “Traffico telefonico”, non presentava alcuna anomalia rispetto agli altri contratti normalmente conclusi da Fastweb. È questo, in sintesi, il risultato dell’interrogatorio di Fabrizio Casati, dal 2004 al 2010 responsabile dell’Area Wholesale di Fastweb, al quale riportava Giuseppe Crudele.
Casati, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero Giovanni Bombardieri nel corso dell’udienza numero 40, ha rilevato che: a) è assolutamente nella norma, in contratti di questo tipo, adottare il sistema di pagamento “a cascata” che tutela l’azienda dai mancati pagamenti; b) che il ruolo svolto da Fastweb è stato di puro transito del traffico attraverso la sua infrastruttura di rete, tra Diadem a monte ed I-Globe a valle.
In sostanza, secondo il teste Casati, dal punto di vista di Fastweb il “traffico telefonico” non lasciava emergere alcuna perplessità rispetto ad analoghe operazioni commerciali. Le condizioni economiche e contrattuali, del resto, erano state ricalcate su quelle praticate dagli incumbent.
È vero, infine, che seppur si trattava di operazioni che non facevano parte del “business core” dell’azienda producevano un discreto margine a fronte di bassi costi di investimento perché sfruttava l’infrastruttura di rete già esistente.
«Scaglia poteva non sapere»
Il Fatto Quotidiano riferisce l’interrogatorio di Francesco e Carlo Micheli
Processo Fastweb: «Scaglia poteva non sapere». Con questo titolo Il Fatto Quotidiano sintetizza le testimonianze di Carlo e Francesco Micheli al processo per l’“Iva telefonica”. In particolare, si legge nell’articolo, Francesco Micheli ha asserito che anche Scaglia, al pari di lui, «“poteva non sapere”, visto che a gestire l’operazione era il settore commerciale». Anche Carlo Micheli – si legge nell’articolo – «si è limitato a dire: “Ho sentito parlare di carte prepagate nella primavera-estate del 2003, quando ho visto i report aziendali e di crescita del fatturato. Era Scaglia a definire la strategia ma sotto di lui c’erano i manager operativi”».
Francesco Micheli – che con il figlio Carlo, è stato chiamato al processo dall’accusa –, ha confermato di aver suggerito «in via informale di sentire il parere di Guido Rossi» sull’attività delle carte prepagate. Cosa che puntualmente avvenne. Il Fatto riporta che il professor Rossi, come dichiarato da Carlo Micheli, «si limitò a sollecitare una modifica dell’oggetto sociale di Fastweb». Cosa che fu puntualmente fatta.
Insomma, dall’interrogatorio di Francesco Micheli è emersa la conferma che «Scaglia era il detentore del know how e delle tecnologie» non il gestore delle operazioni commerciali per cui esistevano strutture specifiche.
Foto by Marco Menu.
Carlo Micheli: Scaglia non seguiva le singole operazioni
E Francesco Micheli aggiunge: mai avuto sentore di illiceità in Fastweb
Silvio Scaglia «definiva la strategia di Fastweb ma non seguiva i dettagli delle singole operazioni. All’inizio i nostri rapporti erano ottimi, alla fine sono diventati più difficili, avevamo differenze di opinioni nella strategia aziendale». Parla così uno dei testi più attesi del processo sull’Iva telefonica: Carlo Micheli, figlio di Francesco, uno dei fondatori di Fastweb (Francesco) e fino al 2005 vicepresidente dell’azienda telefonica.
Citato come testimone dai PM con riferimento alla vicenda delle carte prepagate per evadere l’Iva, Micheli ha esordito dicendo che «erano i manager della struttura commerciale di Fastweb a proporre i vari business. Come responsabile della pianificazione, io mi ero accorto che le attività “non-core business”, come quello delle carte prepagate, erano in crescita e ciò mi creava problemi perché il fatturato basato su queste attività era più difficile da prevedere per il futuro e da spiegare agli analisti».
Per questo motivo, ha continuato Carlo Micheli, «io rompevo le scatole a tutti io ritenevo che il fatturato “non-core” fosse troppo elevato. E così vennero fatti degli approfondimenti nel 2003 a cominciare da un audit aziendale che alla fine confermò sia la liceità delle attività “Phuncard” dal punto di vista fiscale e contabile sia la secondarietà del business in Fastweb». Inoltre, conferma l’ex presidente del Comitato di controllo interno, fu chiesto anche un parere a Guido Rossi «che concluse l’analisi limitandosi a sollecitare una modifica dell’oggetto sociale di Fastweb. Poi, come avevo chiesto, il CdA decise di limitare l’attività delle “Phuncard”».
Rispondendo a una domanda dei difensori di Scaglia, però Carlo Micheli ha precisato: «Confermo che il 29 agosto 2003, il comitato di controllo interno, da me presieduto, diede il nullaosta al CdA ad ampliare l’oggetto sociale, come indicato da Rossi un mese prima».
Prima di Carlo, ha preso la parola il padre, socio di Scaglia e fondatore di Fastweb, lasciata nel 2003: «Non ho mai sentito parlare delle “Phuncard” – ha detto il finanziere –, non conoscevo le singole operazioni commerciali. Come presidente di Fastweb svolgevo il ruolo di senior, mi occupavo di relazioni esterne e dell’immagine del gruppo, non seguivo le questioni tecniche». Per quanto riguarda i rapporti con Scaglia, anima industriale e tecnologica del gruppo «con lui c’era una forte e sana dialettica. Potevano esserci divergenze sulla politica industriale, ma insieme si remava verso la stessa direzione. Di sicuro le scelte tecnologiche erano sue. Io sul raggiungimento di certi obiettivi ero più cauto, come per esempio sull’espansione in Germania del modello Fastweb, perché il mercato era entrato in una fase di stallo. Lui era più ottimista nel comunicare all’esterno gli ambiziosi obiettivi aziendali. Comunque fino a quando sono rimasto in azienda non ho mai avuto contezza di illiceità».
Carlo e Francesco Micheli figurano tra i testi d’accusa. Nel pomeriggio l’udienza è proseguita con la testimonianza di Paolo Fundarò. L’interrogatorio di Fabrizio Casati, interrotto a fine udienza, continuerà mercoledì 20. Nella stessa giornata sono anche Mario Cacciatore, Giovanni Moglia, Lorenzo Macciò e Angela Catoni.
L’ex senatore Di Girolamo e Arigoni patteggiano
Cinque anni di reclusione da scontare ai domiciliari e quasi 5 milioni di risarcimento per entrambi
L’ex senatore del PdL Nicola Di Girolamo ha patteggiato la pena. Il GUP del Tribunale di Roma, Massimo Battistini, ha condannato l’ex esponente politico del PdL, che si trova agli arresti domiciliari, a cinque anni di pena e al risarcimento nei confronti dell’Erario di 4,2 milioni di euro che Di Girolamo pagherà con la cessione di beni immobiliari, auto di lusso e quote societarie.
Il GUP ha consentito di patteggiare anche a Fabio Arigoni, il consulente aziendale già latitante a Panama che, tramite la Telefox e la Telefox International, ha consentito all’organizzazione coinvolta nel “traffico telefonico” di riciclare il denaro frutto della presunta evasione Iva in vari paradisi fiscali. Arigoni, anche lui ai domiciliari, è stato condannato a cinque anni e dovrà restituire quasi 5 milioni di euro.
L’ex senatore Di Girolamo era imputato per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale, oltre che per scambio elettorale aggravato. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici.
Infine, il GUP ha condannato Franco Pugliese, presunto affiliato alla cosca della famiglia Arena di Capo Rizzuto, a 4 anni e 8 mesi in quanto responsabile di intestazione fittizia di beni e per la minaccia volta ad impedire il libero esercizio del diritto di voto, sempre con l’aggravante del metodo mafioso.
Udienza 38
Il traffico telefonico era reale e le numerazioni 00688 su Tuvalu erano attive sul mercato inglese, come verificato dai controlli interni e personalmente da Merzi su un sito indipendente britannico. Per l’allora responsabile dell’Ufficio legale, Giuliana Testore, l’iter dei contratti era corretto e non presentava anomalie. Beverly Farrow, su audit Phuncard: Fastweb commercializzava le carte per conto di CMC guadagnandoci un margine ed aveva la cassa necessaria per farlo. E aggiunge: CMC era piccola, non avrebbe potuto permetterselo. Sono queste alcune delle novità emerse in aula dalle testimonianze di manager ed ex manager di Fastweb
Ad inaugurare la sfilata dei testi, che si protrarrà per diverse udienze, sono stati: Luca Merzi, responsabile dell’audit dal 2004 e, in questa veste, protagonista dell’audit sul “Traffico telefonico” del 30 novembre 2006 chiesto dal Comitato Direttivo per analizzare a tutto tondo i rapporti legali, fiscali, amministrativi e tecnologici tra gli uffici di Fastweb e le società I-Globe e Diadem Ltd.; Giuliana Testore, all’epoca responsabile dell’Ufficio legale, chiamata ad illustrare le caratteristiche dei contratti con CMC e le modifiche apportate nel tempo; Beverly Farrow, che effettuò l’audit sull’operazione Phuncard.
Da queste tre testimonianze si sono ricavati elementi utili per ricostruire il reale funzionamento delle operazioni. Luca Merzi, in particolare, ha fatto rilevare che il “traffico telefonico” era sì un business “non-core” per Fastweb ma comunque in linea, per volumi e ricavi, con le caratteristiche del mercato dell’epoca (24,7 miliardi di Euro nel 2005). Di fatto, nell’arco di tempo dell’intera operazione (dal 2004 al 2006), il traffico telefonico ha garantito a Fastweb una marginalità nell’ordine del 5-6%, nella media del settore. Certo, esisteva un rischio di credito legato alle controparti ma si trattava di un rischio relativo viste le modalità a cascata adottate: Fastweb, in sostanza, pagava solo dopo aver incassato. In sintesi, il “traffico telefonico” produceva un margine discreto, pari allo 0,8% del margine totale della società.
Una volta spiegata la convenienza economica di Fastweb ad occuparsi di quest’area di business, Merzi ha affrontato il tema più “caldo”: era lecito avanzare sospetti sull’eventuale natura fittizia delle controparti? Al proposito, il responsabile dell’audit ha risposto che le verifiche tecniche effettuate sull’andamento giornaliero del traffico, così come risultava dai tabulati del traffico “billati” dall’azienda, testimoniavano l’esistenza di un traffico effettivo e non fittizio. Non solo. A rafforzare i controlli interni, un’ulteriore verifica svolta da Luca Merzi stesso, sul sito britannico www.icstis.org.uk dell’Independent Committee for the Supervision of Standards of Telephone Information Services (ora PhonepayPlus, Agenzia inglese che regolamenta i servizi telefonici a pagamento) che confermava l’attività e il regolare funzionamento delle linee 00688. Le uniche anomalie riscontrate dall’audit interna riguardavano le caratteristiche formali del contratto (ma usuali nelle aziende) e legate al fatto che Diadem era un’azienda giovane e, come tale, non ancora in grado di produrre i suoi bilanci. Anche l’audit svolto successivamente da KPMG su incarico di Swisscom, confermò le stesse posizioni.
A domanda del Collegio dei giudici se si fosse potuto stabilire la natura del traffico, la risposta di Luca Merzi è stata che solo un’intercettazione l’avrebbe potuto accertare. Fastweb non avrebbe mai potuto capire con i mezzi che un’azienda aveva a disposizione che c’era una frode visto che non aveva evidenza della circolarità. La stessa Guardia di Finanza, del resto, ha avuto bisogno di anni di indagine per venire a capo dell’operazione.
Comunque, dopo l’audit e le rivelazioni dei giornali dell’epoca sulla frode fiscale, il CdA di Fastweb diede tempestivo ordine di chiudere il business per motivi precauzionali. Fu una decisione presa coralmente su spinta di Parisi con l’appoggio di Scaglia.
Giuliana Testore e Beverly Farrow hanno invece parlato del tema “Phuncard”. La modifica del contratto con CMC, da compravendita a mandato senza rappresentanza, spiega la ex responsabile dell’Ufficio legale, è stata voluta da Fastweb per motivi di correttezza contabile: Fastweb, ha detto la Testore, doveva contabilizzare solo i margini sulle “Phuncard” senza tener conto di costi/ricavi. L’iter del contratto con CMC, pervenuto all’ufficio competente attraverso Bruno Zito, cioè dal settore commerciale, era perfettamente normale.
Infine, Beverly Farrow ha spiegato perché, nell’operazione Phuncard, Fastweb sia stata l’interfaccia tra CMC e le società inglesi. Primo, perché questo meccanismo consentiva di ricavare un margine. Secondo, la stessa Fastweb aveva una cassa abbastanza capiente per far funzionare l’operazione: per CMC, invece, questo andava al di là delle sue potenzialità economiche.
Il capitolo Fastweb sarà oggetto anche delle prossime udienze. Il calendario prevede che lunedì 18, tra gli altri, siano sentiti Carlo e Francesco Micheli oltre a Paolo Fundarò e Fabrizio Casati. Il giorno 20 dovrebbe essere la volta di Emanuele Angelidis, Mario Cacciatore e Lorenzo Macciò. Il 25, se verrà rispettata la tabella di marcia, si terrà il controinterrogatorio di Beverly Farrow, più la testimonianza di Alberto Trondoli, Stefano Faina e di Stefano Parisi.
Fattore Umano | Basta leggi che creano delinquenti
La denuncia di avvocati, magistrati e associazioni volontarie impegnate sul fronte carcere. In un documento comune, le proposte per uscire dall’emergenza degli istituti penitenziari, a partire dall’uso abnorme della “custodia cautelare”
In Italia non ci sono più delinquenti che altrove (o reati), eppure le carceri sono zeppe di gente. Succede che a produrre così tanti detenuti siano le leggi stesse o le loro modalità di applicazione, più «carcerogene» che altrove.
Due esempi fra i tanti: 1) i detenuti in custodia cautelare sono attualmente 28.257 (il 41,9% del totale, a fronte di una media europea del 24,8%). Se ci allineassimo a tale media i detenuti diminuirebbero a 55.861 (-16mila); 2) cinque anni fa, prima della cosiddetta legge ex-Cirielli, nel Belpaese le persone in “misura alternativa” erano 23.394. Oggi sono 17.487, in drastico calo.
Cosa è cambiato? Ai recidivi non è consentito l’accesso diretto alle misure alternative. E ciò, sebbene le statistiche mettano in luce come tali “misure”, innanzitutto il lavoro, siano la ricetta migliore per ridurre i comportamenti recidivi. Dunque, che fare?
Dal tavolo promosso dall’Unione delle Camere Penali in Italia, presenti le maggiori associazioni impegnate sul fronte carcere (Acli, Arci, Antigone, Ristretti Orizzonti), oltre a sigle del volontariato, al sindacato CGIL – FP, fino a Magistratura Democratica e al Coordinamento nazionale Garanti dei detenuti, arriva un documento di proposte «articolate e concrete» per fronteggiare l’emergenza carcere e le «disumane condizioni in cui versano gli istituti penitenziari italiani destinate a peggiorare durante il periodo estivo».
«Si tratta di ritornare – è stato detto nel corso della conferenza stampa indetta presso l’Unione delle Camere Penali a Roma – allo spirito del legislatore del 1988, con un più significativo utilizzo della misura degli arresti domiciliari». Ma non solo. Si tratta di abolire la ex-Cirielli, laddove aggrava le pene e restringe i criteri per accedere ai benefici.
Anche la legge Fini-Giovanardi viene presa di mira: nei fatti non ha ridotto il consumo di droghe (e il numero di drogati), ma ha prodotto decine di migliaia di detenuti-tossici (spesso in galera per le cosiddette droghe leggere), o ributtati in galera per le stringenti condizioni di accesso a programmi terapeutici e ai servizi dei Sert.
L’elenco delle proposte prosegue con misure specifiche dedicate al tema immigrazione, alla “messa in prova” anche per gli adulti (e non solo i minori), all’introduzione di entrate scaglionate in carcere in relazione alla capienza e, infine, alla richiesta della chiusura (una volta per tutte) di quello scandalo che sono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
«Il tema carcere è un’emergenza nazionale, patologica», ha spiegato il presidente delle UCPI, Valerio Spigarelli, confermando che le Camere Penali per tutta l’estate continueranno la staffetta dello sciopero della fame a sostegno dell’iniziativa di Marco Pannella. «Il fatto è che – ha aggiunto Spigarelli – il sistema carcerario si riempie di imputati che tante volte non hanno una condanna definitiva».
Fattore Umano | Carceri: Appello a deputati e senatori
Da Antigone, Ristretti Orizzonti, Garanti dei detenuti e MD una lettera-denuncia sul sovraffollamento degli istituti penitenziari e la richiesta di interventi urgenti
Certo, non è facile chiedere alla “politica” di mettere in primo piano la drammatica situazione delle carceri italiane. Non lo è in tempi “normali”, figuriamoci quando i mercati finanziari voltano le spalle al Paese perché lo ritengono poco affidabile. In ogni caso Antigone, Ristretti Orizzonti, il Coordinamento Nazionale Garanti dei detenuti e gli associati di Magistratura Democratica non demordono e lanciano un Appello a tutti i parlamentari di Camera e Senato.
Si tratta di una lettera-denuncia per porre un argine al malessere (sovraffollamento, suicidi, carenze di personale e di trattamenti rieducativi), e che comprende anche proposte e interventi possibili contro il degrado, a partire dalle logiche di accesso alle misure alternative, all’utilizzo della custodia cautelare in assenza di reati gravi e/o di comprovato allarme sociale, piuttosto che sull’urgenza di adeguare gli organici della Magistratura di sorveglianza. Il tutto a partire da un corollario, noto quanto spesso disatteso: «Il rispetto della dignità delle persone detenute misura la civiltà di un Paese».