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“Iva telefonica”: dal 14 entrano in scena le testimonianze dei manager Fastweb
Convocati i primi quattro manager della società. “Congelati” intanto i termini di scadenza nei confronti di coloro che si trovano ancora agli arresti domiciliari. Tutti gli imputati alla meno afflittiva misura degli arresti domiciliari. E la testimonianza di De Lellis proseguirà a settembre
Gli ultimi detenuti del processo “Iva telefonica” hanno lasciato il carcere. Ieri, pertanto, il Presidente della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma ha disposto il “congelamento” dei termini per gli imputati ancora sottoposti a misure restrittive. In assenza di questo provvedimento, alla fine di agosto sarebbero tornati in piena libertà gli imputati oggi agli arresti domiciliari.
Intanto, ieri l’udienza è stata caratterizzata dall’ascolto dell’intercettazione di una telefonata, alquanto agitata, intercorsa tra Gennaro Mokbel e Fabio Arigoni. L’udienza è stata interrotta poco dopo le 14 per gli impegni del capitano dei ROS Francesco De Lellis. La sua testimonianza riprenderà solo dopo la pausa estiva per permettere il deposito delle perizie di trascrizione delle intercettazioni telefoniche sul contenuto delle quali il capitano deporrà.
Intanto, di qui a fine luglio, entra nel vivo la partita Fastweb. Per il giorno 14, infatti, sono convocati i primi testi che facevano parte dei quadri della società milanese. In particolare, sfileranno davanti alla Corte: Stefano Faina, Beverly Farrow, Luca Merzi e Giuliana Testore.
Maurizio Tortorella: «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia»
Alzi la mano chi sa che in Italia, per legge, è proibito pubblicare foto di imputati in manette. Un ricco premio a chi sa indicare l’ultima condanna ad un mezzo di informazione per aver infranto questa norma. Anche così, con un riferimento ad una classica “grida manzoniana”, si può avvicinarsi alla lettura de La gogna di Maurizio Tortorella, vicedirettore di Panorama, che potremmo definire la prima storia della “moderna ingiustizia in Italia”, Paese che, nel corso degli ultimi vent’anni, ha progressivamente sostituito la giustizia dei tribunali, senz’altro imperfetta e lenta ma pur sempre giustizia, con quella sommamente ingiusta della ribalta mediatica, abilissima nello sbattere “mostri” in prima pagina
Maurizio Tortorella ha così scritto un’opera di cui si sentiva la mancanza: l’analisi del trattamento che i media riservano alla giustizia. Ovvero, per dirla con il sottotitolo del libro (Boroli editore, 160 pagine, 14 euro), in uscita il prossimo 14 luglio, «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia». Una lunga carrellata da Calogero Mannino, il ministro «mafioso», e il suo calvario durato 18 anni. Guido Bertolaso, condannato sui giornali ancora prima che il processo avesse inizio. Giuseppe Rotelli, il «Re delle cliniche private» accusato per quat tro anni di un’odiosa truffa sanitaria, ma poi assolto in totale silenzio. Ottaviano Del Turco, il governatore abruzzese azzoppato per una tangente di cui ancora non c’è traccia. Antonio Saladino e le follie dell’inchiesta “Why Not” dell’ex PM Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli. Alfredo Romeo, gli assessori e la mezza bolla di sapone del “caso Magnanapoli”. Un posto di rilievo, in questa carrellata, non poteva non toccare a Silvio Scaglia.
«È assolutamente così – commenta Tortorella – anzi, una delle ragioni dell’indignazione che mi ha spinto a scrivere questo libro è il trattamento osceno che i colleghi dell’informazione hanno dedicato Silvio Scaglia. Un cittadino che, come ha fatto l’ingegnere si presenta senza indugi al magistrato che indaga su di lui rientrando da un comodo rifugio all’estero merita attenzione e rispetto».
Invece…
Invece niente. Un disinteresse assoluto nei confronti di un cittadino che era, non dimentichiamolo, un presunto innocente. Cosa che i giornalisti non hanno nemmeno preso in considerazione.Se andiamo a rivedere i giornali di quei giorni ci imbattiamo in articoli fotocopia che attingono ad una fonte sola, quella dell’accusa. Naturalmente in pillole, perché ormai è prassi consolidata svolgere indagini infinite, accumulare faldoni e faldoni di materiale da cui estrarre un piccolo riassunto ad uso e consumo dei giornali.
Che non trovano nulla da eccepire. O no?
La voce della difesa non compare quasi. Salvo le due o tre righe in fondo, tanto per compiacere l’avvocato che un giorno potrà tornare utile come fonte. Ma ormai è scomparso il gusto dell’inchiesta o, quantomeno, il confronto con tutte le fonti.
Il risultato?
Una volta esaurita l’ondata di fango alimentata dal materiale raccolto dall’accusa, scende il velo del silenzio. Senza che l’informazione si faccia domande a tutela del cittadino e della libertà. C’è voluto un articolo di Paul Betts sul Financial Times per ricordare, senza voler entrare nel merito delle indagini, l’esistenza di diritti fondamentali. Soprattutto a vantaggio di un cittadino che aveva dimostrato di credere nella giustizia. Invece, i grandi quotidiani italiani hanno steso un velo di silenzio, più o meno imbarazzato. Il Corriere della Sera si è mosso con grande circospezione. Altri non si sono mossi affatto. E si sono rifugiati dietro un silenzio stizzito. Ma la cortina del silenzio, dopo tanto fango, è una nuova ingiustizia. Penso a Scaglia, ma anche ad Ottaviano Del Turco, arrestato davanti alle telecamere, protagonista di un filmato che per mesi ha fatto il giro delle tv private. Ma di quella tangente non c’è alcuna traccia.
Così come non trova alcun riscontro, a seguire il processo per “l’Iva telefonica”, la leggenza della truffa da due miliardi. Eppure quella cifra ha legittimato titoli a caratteri cubitali, l’attenzione dei fotografi e così via.
Già, senza alcun rispetto per un imprenditore che ne meritava assai. Nel libro mi soffermo sulla storia dei due miliardi che alla fine, nel caso di un ipotetico coinvolgimento di Fastweb ancor tutto da dimostrare, si riducono ad un cinquantesimo di quella cifra.
Ma da dove nasce questa decadenza del giornalismo investigativo?
Io penso che all’origine ci sia la riforma del codice. Per paradosso, tutto funzionava molto meglio prima. Oggi, negli uffici delle procure, si dispone di una macchina potentissima, che ha alle sue dipendenze la polizia, la guardia di finanza e detta la sua legge ai cosiddetti magistrati di garanzia, a partire dai tribunali della libertà fino ai GIP. Una macchina che esercita la sua influenza incontrastata sui cronisti giudiziari che ormai non conoscono altra forma di informazione.
La correzione di rotta, insomma, deve passare da una riforma che riequilibri il peso delle parti, restituendo dignità alla difesa. Ma questo non bastya a superare il nodo della giustizia spettacolo.
Vero. Il problema, del resto, non è solo italiano. Prendiamo il caso Strauss Khan, che ha dimostrato in maneira efficace la superiorità di un sistema giudiziario che garantisce pari dignità alla difesa. Anche qui, però, c’è stato un eccessivo sfoggio di manette davanti alle telecamere. Un passo indietro per un sistema che dal 1935, dopo il clamore mediatico sollevato dal rapimento di Baby Lindbergh, ha vietato l’ingresso dei mezzi di ripresa dalle aule dei tribunali per evitare che il clamore mediatico condizionasse la giustizia.
Certe volte, il progresso consiste nel guardare alle proprie spalle.
Fattore Umano | Carceri: stato di emergenza continua (2)
La seconda puntata dell’intervista ad Alessio Scandurra: il Piano Carceri e l’estate che incombe. Da Antigone un decalogo minimale contro l’indecenza
Il 29 giugno 2010 è stato approvato il piano carceri. «Il tutto da realizzarsi entro la fine del 2012. Pare che i soldi ci siano». Ma resta un’incognita la questione dei costi di gestione delle nuove strutture.
L’estate è appena iniziata. Siamo ancora in tempo per cambiare qualcosa prima che la situazione diventi di nuovo torrida?
Dalla politica prima dell’estate c’è da aspettarsi molto poco. Il Governo in questo momento è in difficoltà e le carceri non sono certo una sua priorità. Inoltre qualunque soluzione che preveda un passaggio parlamentare ha tempi incompatibili con la inaccettabilità della situazione attuale. Un cambiamento radicale delle nostre politiche penali e penitenziarie va certamente messo in cantiere partendo dai temi che citavamo sopra (custodia cautelare, dorghe, immigrazione, recidiva) e procedendo a quella riforma del Codice penale su cui si sono già espresse diverse commissioni di riforma, da ultima quella presieduta da Giuliano Pisapia. Intanto però sono possibili dei piccoli accorgimenti, a normativa invariata, che potrebbero rendere le nostre carceri subito più vivibili.
Per l’estate non abbiamo proposto una riforma, ma un decalogo minimale contro l’indecenza:
1. almeno dodici ore quotidiane da trascorrere fuori dalla cella;
2. colloqui con i parenti da potersi effettuare anche il sabato e la domenica;
3. aumento delle ore da trascorrere all’aria aperta;
4. incremento della presenza di volontariato, associazioni e cooperative;
5. ingresso senza ritardi dei medici di fiducia dei detenuti;
6. libertà nel potersi fare la doccia anche più di una volta al giorno;
7. apertura dei blindati;
8. convocazione dei consigli di disciplina con proposte premiali finalizzate alla concessione di misure alternative per chi è in condizione di poterne fruire;
9. disponibilità di ghiaccio in sezione per conservare il cibo e raffreddare le bevande;
10. tende per proteggere dal sole e sistemi di ventilazione.
Tutto questo in attesa che venga completato il Piano Carceri. A che punto sono i cantieri?
Pare che i soldi per realizzare il Piano Carceri ci siano, dato che nella legge finanziaria 2010 sono stati previsti stanziamenti per la realizzazione del piano carceri per 500.000.000 di euro, mentre la parte restante verrà “scippata” alla Cassa delle Ammende, un fondo del ministero della giustizia tradizionalmente destinato al reinserimento dei detenuti. Resta però la questione dei costi relativi alla gestione di queste strutture. Come si farà a tenerle aperte se già oggi in carcere manca tutto, e ci sono istituti in tutto o in parte chiusi per mancanza di personale? La tempistica prospettata pare poi del tutto inverosimile. È del 28 febbraio 2011 la notizia della inaugurazione, a Piacenza, del primo cantiere del piano carceri. Altrove i lavori devono ancora partire e in molti casi devono essere ancora individuate le zone interessate. Il Piano Carceri è appena partito, ci vorranno molti anni perché produca i primi frutti.
“Iva Telefonica”: ancora tre i detenuti in attesa di case idonee per i domiciliari
La liberazione degli ultimi tre imputati del processo per l’“Iva telefonica” ancora in carcere tarda ad arrivare. Il motivo, probabilmente, va cercato nella mancanza di un luogo adeguato ove trasferire gli indagati nel regime degli arresti domiciliari. Sembrerebbe, infatti, che le richieste non siano state accompagnate da indicazioni idonee e necessarie per i controlli cui devono essere sottoposti i soggetti agli arresti domiciliari.
E così, almeno per ora, restano in carcere Luca Breccolotti, Silvio Fanella e Luigi Marotta. E resta in parallelo ancora attuale la richiesta del difensore di Luca Breccolotti di non interrompere la celebrazione del processo durante il periodo feriale nel caso che ci siano ancora imputati dietro le sbarre.
Non resta che attendere che la situazione si sblocchi. Cogliamo l’occasione per ringraziare la persona che, leggendo il Blog, ci ha segnalato la reale situazione dei tre imputati.
Fattore Umano | Garanti dei detenuti: Appello sulla “svuota carceri”
Il coordinatore nazionale, Franco Corleone: «Ci rivolgiamo al volontariato affinché apra le sedi a chi può scontare gli ultimi 12 mesi ai “domiciliari”, come prevede la legge 199/2010». Tra le iniziative anche una lettera al DAP per annunciare la campagna: «In carcere non è mai Ferragosto»
La legge c’è, ma in parecchi casi è difficile applicarla. In vigore dal dicembre scorso la 199/2010 consente infatti ai detenuti, con pena residua inferiore ai 12 mesi, di essere sottoposti ai «domiciliari o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza». Ma spesso mancano proprio una casa o un posto dove andare. E così rimangono ristretti fra le mura del penitenziario. «La legge è stata impropriamente ribattezzata “svuota carceri” – spiega Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti per il comune di Firenze e coordinatore dei Garanti a livello nazionale – mentre la realtà è sotto gli occhi di tutti: non abbiamo mai avuto istituti così sovraffollati. Nei fatti solo in pochi hanno potuto utilizzarla».
Le cifre fornite dal DAP sono eloquenti: su 67.394 detenuti presenti nelle carceri italiane al 30 giugno, hanno beneficiato della 199/2010 in 2666. A conferma che senza quelle norme si sarebbe già superata la soglia dei 70mila ristretti a fronte di una capienza ufficiale di poco superiore ai 45mila posti. «Tuttavia – insiste Corleone – la legge resterà in vigore fino al 2013 e sarebbe opportuno utilizzarla maggiormente».
Nasce da qui l’appello dei Garanti, riuniti lo scorso 28 giugno a Firenze, rivolto alle associazioni del volontariato (in primo luogo Caritas, Misericordia, Arci ed altri) affinché mettano a disposizione spazi dove accogliere i detenuti. «Sappiamo bene – aggiunge Corleone – che non è questa la soluzione al problema alle carceri che scoppiano, per la quale servirebbero provvedimenti ben più incisivi, ma qualcosa va fatto, anche perché in estate i problemi del sovraffollamento si aggravano. A tal proposito abbiamo chiesto anche un incontro urgente con i presidenti di Camera e Senato e con l’ANCI».
Sempre sul fronte “emergenza carceri” il Coordinamento dei Garanti ha reso noto di aver inviato lo scorso 30 giugno una lettera al dottor Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, preannunciando l’iniziativa In carcere non è mai Ferragosto e per proporre la costituzione di una «unità di crisi» allo scopo di sollecitare – si legge ancora nella lettera – «un terreno di coinvolgimento dei soggetti che hanno responsabilità diverse ma impegno comune per la riforma del carcere e il rispetto dei principi costituzionali e della legge sull’Ordinamento Penitenziario e del Regolamento del 2000».
Fattore Umano | Manna: «Più detenuti ma il governo taglia»
Ogni mese entrano in carcere altre mille persone, ad oggi quasi 68mila, ma le risorse per gli Istituti penitenziari si riducono in modo drastico. È la denuncia del segretario generale del LiSiAPP: «Con la manovra si rischia il collasso»
Più cresce il numero dei detenuti (ad oggi, mediamente i nuovi ingressi negli istituti penitenziari sfiorano i mille al mese) meno risorse si hanno a disposizione. Ma il paradosso continua, come denuncia Mirko Manna, segretario generale del LiSiAPP (Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria): «Il numero dei detenuti cresce a dismisura e il Governo taglia le risorse per il funzionamento (-22% delle spese per il pagamento del lavoro ai detenuti, -28% di budget per l’acquisto di nuovi arredi e -18% sugli investimenti per il funzionamento del lavoro agricolo)».
«La manovra – spiega Manna – prevede infatti un taglio per il ministero della Giustizia, che inciderà per quasi 44 milioni di euro, con una riduzione di ben 18,5 milioni al programma sull’amministrazione penitenziaria, di cui 7.402.666 euro sulle spese per la gestione delle strutture penitenziarie italiane». Una riduzione di risorse che fa immaginare uno scenario preoccupante in tempi molto brevi: disfunzioni alla vita “normale” del carcere a causa della diminuzione delle risorse per il personale di polizia penitenziaria, attività culturali e di recupero dei detenuti, pulizia degli istituti e utenze.
Le conseguenze saranno inevitabili e produrranno ulteriori difficoltà. Sarà quasi impossibile – insiste Manna – «garantire il funzionamento di strutture che sono quasi al collasso e non mancheranno problemi legati alla sanità penitenziaria». Infatti, il passaggio di competenze dal ministero della Giustizia a quello della Sanità non è ancora terminato e il Governo non trasferisce soldi a sufficienza alle regioni: una fase di transizione che peggiora una «situazione di perenne incertezza in cui si è costretti ad operare negli istituti penitenziari».
Fattore Umano | Carceri: stato di emergenza continua (1)
Alessio Scandurra: «Da due anni è stato dichiarato lo stato di emergenza per il sovraffollamento, ma fino ad oggi non si è visto nessun risultato tangibile»
Il 16 maggio scorso il DAP ha autorizzato Antigone a proseguire anche per quest’anno la sua attività di monitoraggio delle carceri italiane. Nel report Carceri nella illegalità gli esiti delle prime visite: il sovraffollamento, le condizioni di vita dei detenuti e quelle di lavoro degli operatori, la mancanza di risorse e la politica che non sa dare risposte. Uno stato di emergenza dichiarato da due anni «ma fino ad oggi non si è visto nessun risultato tangibile». Ne parliamo con Alessio Scandurra, presidente di Antigone Toscana e membro del comitato direttivo della Associazione Antigone
Cosa si può fare per riportare alla “legalità” le carceri italiane?
Le cause del sovraffollamento del nostro sistema penitenziario sono ormai chiare da tempo. Oggi, ad esempio, i dati presentati nel Green Paper della Commissione europea sulla applicazione della giustizia penale nel campo della detenzione evidenziano infatti come l’Italia abbia il sistema penitenziario più sovraffollato d’Europa, secondo solo alla Bulgaria, ma mostrano anche come abbiamo la più alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio, la più alta percentuale di detenuti per reati previsti dalla legge sulle droghe, ed una delle più alte percentuali di detenuti stranieri. Le cause del sovraffollamento sono evidenti. Un ricorso abnorme alla custodia cautelare, diventata una anticipazione di pena da applicare a furor di popolo, una normativa sulle droghe che produce una carcerazione di massa di piccolo spacciatori e di tossicodipendenti, ed una normativa sugli stranieri che produce marginalità ed illegalità. Sono questi i temi su cui è urgente intervenire.
Negli ultimi giorni c’è stata una forte risposta allo “sciopero nonviolento” di Pannella. Siamo a un punto di svolta?
Si tratta certamente di un fatto importante. Indulti ed amnistie sono stati il motivo principale per cui la popolazione detenuta, fino agli anni ‘90, non ha mai superato le 45.000 presenze. Dal 1992 è cambiata la maggioranza parlamentare necessaria per la loro concessione, elevata ai due terzi, rendendo questi provvedimenti molto difficili da approvare. Ed è cambiata anche la sensibilità dell’opinione pubblica, rendendoli più difficili da promuovere. Eppure, in assenza di una politica penitenziaria degna di questo nome, un provvedimento generalizzato di clemenza è oggi l’unica misura in grado di riportare il sistema penitenziario nella legalità costituzionale ed internazionale. Come dice Pannella, un provvedimento di giustizia sostanziale reso necessario dal fallimento della giustizia formale. Come dicono i fatti, anche se può non essere la migliore delle misure per uscire da questa crisi, c’è da dubitare che questo governo possa fare di meglio.
Antigone tramite il Difensore civico ha avviato una campagna per sostenere i detenuti che vogliono denunciare le condizioni delle carceri in cui sono reclusi. Un percorso difficile?
Sì, si tratta di un percorso difficile. L’idea di ricondurre il sistema penitenziario alle regole ed alle norme che lo disciplinano sembra ovvia, ma non lo è affatto. Nonostante le molte regole del carcere, i detenuti spesso non hanno “veri” diritti, la cui violazione possa essere denunciata davanti ad un giudice. Per quanto sembri incredibile le inumane condizioni di detenzione che vengono quotidianamente riferite al nostro difensore civico non possono essere portate davanti ad una corte nazionale. I detenuti non hanno il diritto a non essere stipati come sardine, a non soffocare per il caldo o a non restare chiusi in cella tutto il giorno. Non lo hanno mai avuto, e far passare l’idea che questo diritto possa invece essergli riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nessuno sa cosa sia o dove si trovi, non è ovviamente cosa semplice. Eppure i ricorsi alla corte arrivano a centinaia, da tutta Italia. È difficile dire se siano pochi o molti. È lecito sperare che siano abbastanza perché all’Italia si intimi di porre fine a questa situazione.
L’Angolo di Vincino | Nobel per la pace a Marco Pannella
Una vita in difesa dei «diritti», un costante impegno politico «nonviolento». L’instancabile Marco Pannella, a 81 anni passati, continua le sue battaglie. In ultimo uno sciopero della fame (e anche della sete) contro le carceri sovraffollate. Anche la Rete si è attivata creando il Comitato Marco Pannella, Nobel per la pace. «La risposta della comunity è stata esaltante – racconta il giornalista Mario Campanella, promotore dell’appello – abbiamo registrato migliaia di adesioni al gruppo su Facebook, e migliaia di mail arrivate all’indirizzo di posta elettronica dedicato all’iniziativa». Ma la campagna non finisce qui: «A breve – aggiunge – partirà la raccolta di firme da indirizzare a Berlusconi affinché il Governo lanci la candidatura di Pannella, ufficialmente, come atto simbolico, all’Accademia Reale svedese».
Anche Vincino aderisce all’appello, come sempre armato di penna.
Nasce Il Mese di Quaderni Radicali
Il numero zero dedicato al “carcere fuorilegge”
Il network di comunicazione dei Radicali – Radical Approach Nonviolence in Media – si allarga: nasce Il Mese di Quaderni Radicali, periodico concepito esclusivamente per il web.
Per il suo debutto, il nuovo mensile omaggia Pannella dedicando la copertina e la rubrica di approfondimento “Zum” al dramma delle carceri italiane. Il Mese – si legge nell’editoriale del direttore, Giuseppe Rippa –, «pone al centro l’individuo, i diritti umani, i diritti della persona».
Come tutte le altre testate legate a Quaderni Radicali, anche l’ultima nata non vivrà di finanziamenti pubblici. Disponibile per adesso nella versione sperimentale online, dai prossimi numeri la sua fruizione sarà a pagamento (25 euro per 11 numeri).