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Sei mesi
Non è un evento da festeggiare: oggi, 26 agosto, sono giusto sei mesi da quando Silvio Scaglia, rientrato in Italia dall’estero a tempo di record per mettersi a disposizione dell’autorità giudiziaria, ha varcato la soglia del carcere romano di Rebibbia. Da allora, fino al 17 maggio, il fondatore di Fastweb è stato rinchiuso nel carcere di Rebibbia per essere poi trasferito, in regime (estremamente severo) di arresti domiciliari ad Ayas in val d’Aosta, dove non può comunicare con nessuno, con l’eccezione dei familiari e del collegio di difesa. Che lezione trarre da questi 6 incredibili mesi?
1) Cinque giorni dopo essersi consegnato alla giustizia italiana. Scaglia è stato interrogato dal giudice per le indagini preliminari che ha convalidato la sua detenzione motivandola con “gravi indizi di colpevolezza”, rafforzati, si legge nell’ordinanza del magistrato da : a) il fatto di essere residente a Londra “dove avevano sede alcune delle società utilizzate per la triangolazione finanziaria”; b) essere proprietario di una società “impegnata nell’acquisto di diritti d’autore di opere musicali cinesi con un conto ad Hong Kong, città nella quale lo Scaglia si sarebbe recato in transito per periodi brevissimi”. Quei “gravi indizi”, confermati dal tribunale del Riesame senza un esame di merito, sono alla base delle motivazioni di tutti i provvedimenti che hanno giustificato il protrarsi dello stato di detenzione del fondatore di Fastweb e sono richiamati nella decisione del 2 agosto del gip di concedere il rito immediato nei confronti di Scaglia e di altri imputati dell’indagine “Fastweb/Telecom Italia Sparkle” pur in assenza dell’”evidenza della prova”
2) In questi sei mesi Scaglia è stato interrogato dagli inquirenti in una sola occasione, il 12 aprile scorso. E’ stata l’unica occasione concessagli per dimostrare, con rifermimenti precisi ed espliciti alla governance di Fastweb, la sua innocenza. Più di un mese dopo quel lungo interrogatorio, il gip ha motivato la concessioni degli arresti domiciliari anche con la “collaborazione prestata con l’indicazione di precisi elementi riguardanti l’organizzazione della società Fastweb” . Nel frattempo l’ex presidente di Fastweb ha dimostrato, fino all’ultimo euro, l’origine legittima del suo patrimonio. Non è dato sapere l’esito delle indagini che si sono svolte in questi mesi: il materiale non è ancora a disposizione dei difensori.
3) Intanto, da sei mesi, Silvio Scaglia è privato del bene della libertà personale. Una situazione che, di giorno in giorno, si fa sempre più assurda. Fin dal primo istante, infatti, non è sussistito il pericolo di fuga, visto che Scaglia è rientrato dall’estero senza alcun indugio. E lo stesso vale per il rischio di reiterazione del reato, considerato che Scaglia non ricopre più alcun incarico in Fastweb. Dopo la chiusura delle indagini, precondizione necessaria per la richiesta del rito immediato, si volatizza anche il rischio di “inquinamento delle prove” (ventilato dalle motivazioni del gip).
Eppure Scaglia rischia di arrivare alla prima udienza del suo processo, fissato per il prossimo 2 novembre, ancor privo della libertà: nemmeno Kafka avrebbe immaginato un percorso più tortuoso.
Giudizio immediato ma non per prove evidenti
Non ci sono “prove evidenti” a sostegno della decisione del gip di Roma Maria Luisa Paolicelli di sottoporre al rito del “giudizio immediato” Silvio Scaglia e altri inquisiti nell’ambito dell’indagine Fastweb-Telecom Sparkle. La conferma della notizia, fin dal primo momento sostenuta dal blog contro interpretazioni diverse e fuorvianti, arriva dal decreto di giudizio immediato del gip che, per aderire alle richieste avanzate dalla procura, cita una sentenza della corte di Cassazione che interpreta la nuova ipotesi di giudizio immediato “una nuova ipotesi di giudizio immediato con caratteristiche proprie ed autonome rispetto a quella originaria”.
In sostanza, secondo la Cassazione (ma esiste una pronuncia di segno opposto della Suprema Corte) per concedere il rito immediato è sufficiente che la persona indagata sia in stato di custodia cautelare, che sia stato effettuato il controllo del giudice “sulla gravità indiziaria nel procedimento ex 309” ovvero che la custodia cautelare non venga revocata od annullata per sopravvenuta insussistenza dei “gravi indizi” di colpevolezza. Insomma, per prolungare la custodia cautelare di Silvio Scaglia (e degli altri indagati “telefonici”) oltre il termine massimo di sei mesi previsto dalla legge non è stato necessario il requisito “dell’evidenza della prova” ma il semplice fatto che l’indagato è già sottoposto a custodia cautelare. Un’interpretazione della legge che, probabilmente, verrà sottoposta ad un ricorso in Cassazione da parte dei difensori di qualche imputato.
Nel documento, in cui viene indicata nel prossimo 2 novembre la data della prima udienza del processo, figura l’avviso per cui “l’imputato può chiedere entro 15 giorni dalla notificazione del presente decreto il giudizio abbreviato o la applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale” (vedi patteggiamento). Una facoltà di cui Silvio Scaglia non intende avvalersi.
Inoltre, con la chiusura delle indagini avvenuta al momento della richiesta del giudizio immediato, il presunto inquinamento delle prove appare ancor più remoto. C’è quindi da chiedersi la ragione del protrarsi dei suoi, rigidissimi, arresti domiciliari.
Telecom Sparkle – Fastweb: la Procura di Roma chiede il giudizio immediato
Possibile svolta per l’inchiesta giudiziaria Telecom Sparkle – Fastweb. Secondo fonti del Tribunale di Roma, il pm Giancarlo Capaldo ha inoltrato all’ufficio dei Gip di Roma la richiesta di rito immediato per 37 indagati, fra i quali Silvio Scaglia.
Nell’elenco, oltre a Gennaro Mokbel e ai vari personaggi a lui legati, figurano tutti gli ex manager di Fastweb e Telecom Italia Sparkle coinvolti dalle indagini. Per TI Sparkle la richiesta riguarda, oltre all’ex ad Stefano Mazzitelli, l’allora responsabile dell’Area regioni europee, Massimo Comito. Per Fastweb, oltre a Scaglia, accusati di presunta frode fiscale, ci sono l’allora dipendente della divisione residenziale, Giuseppe Crudele, il responsabile grandi aziende, Bruno Zito, il membro del comitato direttivo, Roberto Contin, e l’ex direttore finanziario Mario Rossetti.
Dal fascicolo sono anche state stralciate diverse posizioni, tra cui quella dell’ex senatore Nicola Di Girolamo e del manager Marco Toseroni. L’iniziativa è del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dei sostituti Francesca Passaniti, Giovanni Bombardieri e Giovanni Di Leo. I reati contestati, a seconda delle singole posizioni, vanno dall’associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio all’intestazione fittizia di beni, dall’evasione fiscale al reinvestimento di proventi illeciti fino alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione.
Ora toccherà al gip Maria Luisa Paolicelli, rientrata in servizio in queste ultime ore, valutare entro i prossimi 5 giorni, se accettare o rigettare la richiesta avanzata dalla Procura.
Lettera di Sophie Nicolas Rossetti
Il Riformista pubblica la lettera di Sophie Nicolas Rossetti, moglie di Mario Rossetti, ex direttore finanziario di Fastweb.
Cara Monica, dopo aver letto la tua lettera sul Corriere della Sera, sento anch’io il bisogno di buttar giù i miei pensieri, anche nella speranza che questo incubo possa finire al più presto. Ho capito insieme a Mario che la cosa peggiore per chi è privato della libertà personale è che il tempo diventa circolare, ripetitivo, le giornate scorrono identiche e non hai più la capacità di disegnare un futuro. E’ questa la vera pena, molto dura, che tocca scontare. Ti rendi conto della discrepanza abissale che c’è tra tempi della giustizia (6 mesi = niente) e il tempo di un uomo privo della libertà. E comprendi cosa questo significhi, soprattutto se hai dei figli piccoli da accudire e far crescere. Ma allora mi domando: perché in Italia tocca scontare una pena PRIMA di essere giudicati? Perché il sistema giudiziario italiano funziona così male?
Nonostante ciò, Mario ed io crediamo, ancora oggi, di vivere in un paese civile, e crediamo ancora nella Giustizia: a darci forza è sapere che il processo farà emergere la verità. Purtroppo però, quel che va ribadito e spiegato mille volte, è che il concetto di “presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva” funziona solo in teoria. Da qui il fatto di doverlo ricordare continuamente: gli indagati (perche Mario è solo un indagato, nonostante quasi 6 mesi di custodia cautelare), devono essere considerati innocenti e non colpevoli, fino a prova contraria. Di sicuro, il modo in cui è stato gestita questa indagine non ha in nessun modo tutelato questo concetto.
Mio marito in questi mesi ha imparato a coltivare la pazienza. E’ l’unico rimedio alla sua condizione. Se riesci a essere un po’ “zen”, ti aiuta a superare tutto meglio. Può sembrare una magra consolazione, ma quando sei privato della libertà, aiuta. Il suo più grande dolore è stato quello di essere stato allontanato bruscamente dai nostri bambini, così piccoli. Non è stato facile spiegarsi con loro, con parole semplici, quando gli hanno chiesto: “Papà perché quegli uomini ti hanno portato via….”. Naturalmente prevaleva anche la gioia di poterli riabbracciare. Mario passa tutto il suo tempo a leggere e a pensare, facendo un po’ di ginnastica, mantenendo un certo ordine mentale. Poi si occupa dei bambini, tutti e tre, anche se dedica qualche minuto in più al piccolo di 2 anni. Inoltre ha iniziato a preparare, a grandi linee, un progetto sociale per aiutare in futuro i detenuti e le loro famiglie. Una volta vissuto il carcere non si dimentica più. E chi può ha il dovere di fare qualcosa per aiutare altri in quella realtà. Anche perché, nonostante tutto, rispetto ad altre storie di “ordinaria ingiustizia”, sappiamo di essere più fortunati. Abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce, di trovare spazio sui giornali, cosa che migliaia di detenuti in attesa di giudizio, dunque ancora innocenti fino a prova contraria, non hanno. Persone che spesso non hanno nemmeno le risorse economiche per beneficiare di un’adeguata difesa. Anche a loro Mario dedica il suo tempo di innocente “murato vivo”.
Sophie Nicolas Rossetti
Scaglia ha fatto bene a rientrare? Vincino dice la sua
Settimana scorsa abbiamo lanciato un mini sondaggio tra i nostri lettori: Scaglia ha fatto bene a rientrare? Per la maggioranza sì. Tuttavia in parecchi esprimono dubbi “sì, ha fatto bene, però…”, e si può leggere anche qualche convinto “no!” (qui potete leggere tutti i commenti dei lettori del blog).
Di sicuro a uscirne compromessa non è la decisione di Silvio Scaglia, ma la fiducia nella giustizia italiana: bassa, bassissima, talvolta rasoterra.
Abbiamo chiesto anche a Vincino di dire la sua sul nostro quesito, questa è la risposta.
Lettera di Monica Aschei al Corriere: “Mio marito Scaglia e il divieto di affacciarsi alla finestra di casa”
Il Corriere della Sera di domenica 1° Agosto torna ad occuparsi della vicenda di Silvio Scaglia pubblicando una lettera della moglie, la signora Monica, e due vignette di Vincenzo Vincino, già pubblicate sul nostro blog che, nei prossimi giorni, arricchiremo di nuovi interventi dello stesso Vincino e di altre personalità che reclamano il diritto di Scaglia a presentarsi alla piena libertà, in attesa i poter dimostrare la sua piena innocenza davanti al giudice. Ecco il testo della lettera della signora Scaglia.
Caro direttore,
forse lo studio del cinese, che ormai pratica con assiduità, esercita alla pazienza. Oppure, com’è più probabile, Silvio Scaglia, cioè mio marito, di fronte a questa assurdità si è salvato grazie al suo profondo senso del dovere. Ovvero, la sua mentalità da ingegnere lo porta ad obbedire ai comandi dell’autorità perché ci sarà pure un motivo dietro certe imposizioni. Fatto sta che mio marito, agli arresti domiciliari dal 17 maggio scorso nella nostra casa in quel di Antagnod, val d’Ayas, interpreta alla lettera le disposizioni impartite dal gip: divieto assoluto di comunicare con il mondo esterno, con l’eccezione della sottoscritta.
Guai ad affacciarsi al balcone o respirare all’aria aperta: la sagoma delle montagne, bellissime, resta al di là del vetro. Poco più di un miraggio. Anzi, un simbolo di quella libertà che gli è stata sottratta, ingiustamente. Non mi è facile spiegare se e come sia cambiato Silvio dopo questi 160, terribili giorni. L’ostinazione ed il senso del dovere sono quelli di un tempo. Compreso il rispetto della giustizia, sia quella con la G maiuscola che quella, ben più misera, che la nostra famiglia ha sperimentato dallo scorso febbraio. E che mi ha profondamente delusa, anche dal punto di vista umano. E’ grottesco che si parli, a proposito del nostro codice, di presunzione di innocenza.
Mio marito è innocente e lo dimostrerà nelle sedi opportune. Nel caso nostro, al di là delle contestazioni di diritto, quel che mi ha ferito è stata la totale assenza di qualsiasi forma di rispetto nei suoi confronti. Anzi, il susseguirsi di piccole o grosse prevaricazioni e di promesse mai mantenute, quasi che si voglia far pagare a Silvio la decisione di mettersi a disposizione della giustizia senza alcuna condizione, facendo ritorno in Italia per fare il proprio dovere di cittadino. E’ stata una decisione naturale, presa di comune accordo senza esitazioni. E lui nelle stesse condizioni si comporterebbe di nuovo allo stesso modo, nonostante quel che ha passato. Ma non posso dimenticare che ieri, quando si è sposato mio fratello, Silvio non c’era.
In un certo senso, dunque, è il Silvio di una volta. Ed è la sua prima grande vittoria. Ad aiutarlo, poi, c’è un’indefessa curiosità intellettuale. Il tempo libero forzato gli ha offerto la possibilità di leggere molto, documentarsi e riflettere. Non ha perduto la voglia di esplorare terreni nuovi, alla ricerca di innovazione. Sotto la scorza della disciplina dell’ingegnere, chi lo conosce capisce che qualcosa è cambiato: è più indulgente verso il prossimo, a partire dai suoi manager che in passato hanno provato sulla loro pelle quanto Silvio possa essere esigente verso di sé e gli altri. Ora vedo che lui ha capito l’importanza di aver creato una vera squadra. Chissà, forse questa esperienza, lungi dal fiaccare la sua resistenza ed il suo spirito, lo ha completato come uomo e come imprenditore.
Non vorrei che queste parole servissero a far passare in secondo piano la gravità di quel che stiamo passando. Silvio è privato della sua libertà da cinque, lunghi mesi. Negli ultimi ottanta giorni, passati a fare il giro della propria stanza, gli è stato negato anche il diritto all’ora d’aria. Ed è tutt’altro che certo che possa presentarsi al processo a piede libero per difendersi da accuse che non sono suffragate da prove.
La sua, insomma, è una storia di straordinaria ingiustizia. Al solo pensarci io, che non ho la pazienza di Silvio, fremo dalla rabbia. Poi mi capita di ripensare ad un episodio della settimana scorsa: si era fulminata una lampada alogena, Silvio l’ha cambiata e mi ha dato la vecchia per buttarla in pattumiera. «Che devo fare – ho chiesto – la metto tra gli oggetti da riciclare?». «Io – mi ha detto – quella parola non la voglio sentire più: in casa mia il verbo riciclare è proibito». E ci siamo fatti una bella risata liberatoria. In attesa che torni il tempo della giustizia.
Monica Aschei Scaglia
Continua il racconto di Vincino sul “caso Scaglia”
Questa volta la sua matita graffiante tocca il tema della “reiterazione del reato”.
Questo perché nelle motivazioni del gip per giustificare il provvedimento di custodia cautelare, si fa riferimento anche alla possibilità di “reiterazione”. Quel che non si riesce però a capire è come Scaglia potrebbe agire in un modo del genere, non ricoprendo più alcun ruolo operativo in Fastweb. La verità è che Scaglia non ha mai avuto a che fare con i denari della “frode”, al contrario ne è stato vittima, insieme alla stessa Fastweb.
Dì la tua: Scaglia ha fatto bene a rientrare?
Silvio Scaglia, 153 giorni fa, è rientrato immediatamente in Italia convinto di poter chiarire subito la sua posizione.
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