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Scendono in campo le Camere Penali
Il 18 giugno un esposto-denuncia alle Procure contro il sovraffollamento carcerario
Meno reati, ma sempre più detenuti. E’ una delle tante contraddizioni del “sistema giustizia” nel nostro paese. “Da almeno due anni – dice infatti l’avvocato Roberto d’Errico, responsabile dell’Osservatorio Carceri dell’Unione delle Camere Penali – a fronte di un calo dei reati del 6 per cento, la popolazione carceraria cresce in media di 800 unità al mese”.
Anche per questo, il prossimo 18 giugno, proprio l’Unione Camere Penali scenderà in campo con una iniziativa destinata a fare rumore: verrà presentato un “esposto-denuncia” alle maggiori Procure d’Italia e ai relativi magistrati di sorveglianza al fine di controllare le condizioni di vita dei detenuti dal punto di vista igienico-sanitario, sugli spazi a disposizione e sulla vivibilità delle celle. “Stante il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale – spiega ancora D’Errico – le Asl saranno costrette a fare delle ulteriori verifiche su quanto chiediamo”.
Avv. D’Errico, ma le Asl non hanno già l’obbligo di controllare?
Certo, ma stranamente non si accorgono quasi mai quello che vediamo noi avvocati…
E cosa vedete?
Una situazione drammatica di sovraffollamento e di tutto ciò che comporta. Una situazione che senza alcun intervento può solo peggiorare. E’ necessario correre ai ripari, ormai il numero dei detenuti ha superato la soglia oltre la quale se va bene arrivano le proteste, se va male le sommosse. Del resto è anche inutile ripetere continuamente che bisogna costruire le nuove carceri se i soldi non ci sono. A un certo punto sembrava che dovesse passare la proposta del ministro della Giustizia Alfano di sostituire il carcere con i domiciliari per tutti quelli che avevano un solo anno residuo da scontare. Ma anche quella si è persa nel nulla. I magistrati hanno cominciato a dire che era un indulto mascherato, alcune forze politiche si sono opposte e il risultato è che si è bloccato tutto.
Ma come mai siamo di nuovo all’emergenza “sovraffollamento”?
E’ il frutto di scelte sbagliate, delle convenienze elettorali delle forze politiche sia di maggioranza che di opposizione, e anche della logica puramente inquisitoria dei magistrati. Purtroppo abbiamo a che fare con un “doppio giustizialismo”: da un parte la politica che ragiona sul consenso e fa della sicurezza il suo cavallo di battaglia, talvolta in modi demagogici, dall’altra i magistrati che sono giustizialisti per principio. Ai magistrati fa sempre comodo sbattere in cella la gente. Così sono crollate le misure alternative al carcere e gli arresti domiciliari sono divenuti residuali.
Come Unione delle Camere Penali che proposte lanciate?
Intanto c’è un discorso culturale. Per anni gli Stati Uniti hanno fatto scuola nel dire che sbattere la gente in carcere fosse la soluzione giusta di tutti i mali, oggi però anche loro stanno facendo marcia indietro. In Europa siamo andati al traino di quella che chiamo la “carcerizzazione obbligatoria”, a parte Svezia e Norvegia, e dovremo fare marcia indietro anche noi. Le proposte anti-emergenza sono note. Noi ribadiamo che bisogna fare una riforma che depenalizzi certi reati e li trasformi in sanzioni amministrative, occorre che vengano ripristinate le misure alternative e i lavori socialmente utili. Tra l’altro ormai c’è una letteratura abbondante che ci dice che chi non sconta tutta la pena in carcere è meno portato alla recidiva.
Italia, il mal di giustizia in cifre
Le classifiche internazionali, si sa, si prestano spesso a considerazioni sconcertanti. Nessuno, ad esempio, nemmeno tra gli addetti ai lavori si illude che le condizioni dell’amministrazione della giustizia in Italia siano da considerare soddisfacenti, almeno secondo gli standard dei Paesi che aderiscono all’Ocse. Ma stupisce che, secondo uno studio della Banca Mondiale, dedicato all’ “efficienza dei sistemi di giustizia” l’Italia figuri al 156 posto su 181 Paesi considerati, dietro a molti Stati africani, come Angola, Gabon, Guinea e Saò Tomé, poco più avanti della Liberia.
Ma, a contribuire a questa classifica, specchio di una situazione che danneggia tutti i soggetti interessati ci sono tanti fattori:
1) I nove milioni di processi pendenti di cui oltre 5,7 milioni civili e 3,3 milioni penali. In media uno per ogni sette cittadini. Molto di più di, a proposito della giustizia civile, quanto non accade in Francia (1,16 milioni), Germania (544 mila) e Spagna (781 mila) messi assieme. Nel penale, la situazione è peggiore: nei tribunali italiani in primo grado nel 2006 pendevano 1,2 milioni di procedimenti, più del doppio di Germania (287 mila), Spagna (205 mila) e Inghilterra (70 mila).
2) L’affollamento incide, come è ovvio, sull’efficienza. Ogni anno decadono, per prescrizione, almeno 170 mila procedimenti all’anno, cifra che, secondo alcune fonti, sale fino a 200mila. Nel distretto di Napoli viene dichiarato estinto un procedimento ogni 13 minuti. Oppure, se un qualunque creditore in materia commerciale che rivendica, a pieno titolo, il diritto ad incassare i suoi soldi, deve aspettare in media oltre 1200 giorni (tre anni e mezzo) perché un giudice gli dia ragione e renda esecutivo il rimborso. Segue la Spagna con 551 giorni. Per quanto riguarda i reati penali più gravi (omicidio, rapimento, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti) risultavano in primo grado, sempre nel 2006, circa 1,2 milioni di procedimenti contro 70 mila nel Regno Unito.
3) Eppure i costi della giustizia che gravano nelle tasche dei contribuenti non sono pochi, soprattutto in rapporto ai risultati. La spesa complessiva negli ultimi anni è aumentata: dai 5 miliardi 187 milioni (calcolati in euro) del 1997 si è passati ai 7 miliardi 608 milioni di euro del 2008 (+46,8 per cento in 11 anni) secondo l’ultima relazione al Parlamento del gennaio scorso del ministro Angelino Alfano. Ma sono saliti anche i costi, per giunta in maniera esponenziale. Secondo il rapporto “Doing Business 2009” della Banca Mondiale in Italia il costo processuale è il più alto d’Europa: il 29,9% del valore della causa (di cui il 21,8% finisce in parcelle agli avvocati) contro il 14,4% della Germania, il 17,4% della Francia e il 10,4% della Finlandia.
4) Tra gli effetti dell’inefficienza è il frequente ricorso alla carcerazione preventiva che riguarda circa il 40% della popolazione carceraria che rischia di raggiungere il tetto delle 70mila unità entro la prossima estate che rischia di essere davvero calda.
Osservatorio Corte Europea dei Diritti Umani: Italia da tempo sotto la lente della Corte
“Cominciamo col dire che se migliaia di detenuti italiani facessero ricorso alla Corte di Strasburgo otterrebbero due cose: la condanna del governo italiano e un congruo risarcimento”. A dichiararlo, senza timore di smentita, è l’avvocato Anton Giulio Lana, presidente dell’Osservatorio CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’uomo). “L’Italia – aggiunge – è da tempo sotto la lente della Corte per violazione dell’articolo 3 della Convenzione”.
Avv. Lana, ci spieghi meglio?
L’articolo 3 fa riferimento, tra le altre cose, alle condizioni di detenzione. Ad esempio, all’eccessivo sovraffollamento di un carcere che, a certe condizioni, può determinare un “trattamento degradante”. In particolare nel 2009 c’è stata la pronuncia della Corte europea che ha condannato l’Italia a mille euro di risarcimento nei confronti di Izet Sulejmanovic, un cittadino bosniaco in prigione per furto, ricettazione e falso. E’ una condanna che stabilisce un precedente: non si possono tenere troppe persone in celle piccole, sovraffollate, con servizi indecenti.
Avv. Lana, quindi ci potrebbe essere un ricorso in massa…
Teoricamente sì, per tutti quelli che vivono condizioni di degrado simili a quelle di Sulejmanovic. E sappiamo che sono la maggioranza dei detenuti italiani. Purtroppo va aggiunto che la Corte è vittima del suo successo, ogni anno i ricorsi crescono vertiginosamente e per arrivare a sentenza ci vogliono tre o quattro anni. Inoltre registro molta disattenzione dei media su questo. Infine molti avvocati non hanno la mentalità per condurre simili battaglie.
Ma perché l’Italia è stata condannata?
Perché Sulejmanovic è stato detenuto in due celle dove disponeva rispettivamente di 2,7 e 3,5 metri quadrati. Una condizione giudicata “degradante” dalla Corte.
Eppure adesso i detenuti sono quasi 70.000, un record della storia della Repubblica…
Appunto, si potrebbero fare decine di migliaia di ricorsi. Vorrei precisare: non contro questo governo, ma contro tutti i governi che hanno lasciato marcire i problemi
Cioè?
La giustizia in Italia è lenta, questo è il punto. Per accelerarla bisognerebbe investire in cancellieri, segretari, computer, e pure in giudici. E invece si fanno leggi. Chiunque arriva fa qualche legge, come se non ne avessimo abbastanza. Io dico: meno leggi e più risorse. Altrimenti è una presa in giro.
Gli eccessi di custodia cautelare nascono anche da questo?
In qualche modo ne sono una conseguenza. Non dico che sia sempre così, ma troppo spesso abbiamo assistito a un uso abnorme della carcerazione preventiva, a una distorsione dei suoi meccanismi.
Che fare?
Lo ripeto, anche se sono consapevole che rischia di essere una provocazione poco ascoltata. Ma se qualcuno prendesse l’iniziativa di un ricorso di massa, di decine di migliaia di ricorsi, forse qualcosa si smuoverebbe.
Celli: Contento per i domiciliari a Rossetti, ma perchè lui e Scaglia non sono liberi?
“Sono molto soddisfatto che anche Mario Rossetti, come Silvio Scaglia, sia uscito da Rebibbia. Ma, detto con franchezza, mi sfugge il motivo per cui i due restino agli arresti domiciliari. Non vedo il rischio di fuga o di inquinamento delle prove”.
Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss, è stato tra i primi a schierarsi con decisione contro il trattamento riservato dagli inquirenti a Scaglia, da lui assunto ai tempi dell’avvio di Omnitel. “Al di là del merito dell’inchiesta, su cui ho una mia opinione, non capivo l’esigenza della detenzione. E continuo a non capirla, visto che, tra l’altro, Silvio non ha avuto ancora modo di comunicare con l’esterno”.
Di più, per il momento, non è il caso di dire: sia Scaglia che l’ex manager, a più di cento giorni dallo scoppio del caso, sono ancora sottoposti ad un regime di restrizione della libertà personale. Non è ancora, insomma, il momento di far festa.
Mario Rossetti agli arresti domiciliari
L’AVV.LUCIA: “ORA IN CASSAZIONE PER LA PIENA LIBERTA”
Mario Rossetti esce dal carcere di Rebibbia. Nella mattinata di lunedì 7 giugno, infatti, il giudice delle indagini preliminari Aldo Morgigni, sentito il parere della Procura, ha deciso di concedere gli arresti domiciliari presso la sua abitazione all’ex direttore finanziario di Fastweb.
“Siamo soddisfatti perché sono state accolte, almeno in parte, le nostre richieste. Contiamo che presto possano rientrare anche le restanti misure di custodia cautelare e che Rossetti , quindi, possa tornare pienamente libero” è stato il primo commento del difensore Lucio Lucia , dopo l’incontro con gli inquirenti. “Ora comunque siamo pronti- ha continuato il legale – a difenderci al meglio”.
Il prossimo appuntamento, per Rossetti come per Silvio Scaglia (agli arresti domiciliari presso la sua residenza in Val d’Aosta) è l’udienza del 25 giugno prossimo in Cassazione per il ricorso contro le misure cautelari. “Confido – è la conclusione di Lucia - che la Cassazione accolga il nostro ricorso”.
Mario Rossetti in oltre tre mesi di custodia cautelare presso il carcere romano è stato interrogato in una sola occasione il 13 aprile scorso.
Il caso Rossetti Lunedì al tribunale del riesame
MA I GIUDICI SONO GLI STESSI DEL PRIMO GRADO
Il caso di Mario Rossetti, ex direttore finanziario di Fastweb, da oltre cento giorni in custodia cautelare, si legge in un editoriale del “Foglio”, è per molti versi identico a quello dell’ex ad della società, l’ingegner Silvio Scaglia. In entrambe le situazioni , “non sussiste alcuno dei requisiti che giustificano il carcere preventivo: non può reiterare, non può inquinare prove vecchie di anni, non intende fuggire”.
Certo, c’è un’importante differenza tra i due casi: Scaglia ha ottenuto gli arresti domiciliari, seppur in un regime estremamente rigoroso, Rossetti è ancora in carcere. Ma peraltro esiste un’altra inquietante analogia da rilevare alla vigilia dell’udienza del Tribunale del Riesame che lunedì esaminerà il ricorso dei legali di Rossetti contro la custodia cautelare: il collegio, come già avvenuto per Silvio Scaglia sarà composto dagli stessi giudici del primo grado.
“Un paradosso ed un’anomalia- scrive Il Foglio - quella di un sistema che consente agli stessi giudici che si sono già pronunciati in un’altra veste (quella del Tribunale del Riesame) di pronunciarsi sulla stessa materia in Appello. Lecito dubitare che intendano smentire se stessi”. L’istituto del Tribunale del Riesame dovrebbe servire ad offrire, per giunta con un doppio grado di giudizio, al detenuto la garanzia di una valutazione di merito “autonoma” rispetto a quella di chi conduce le indagini. “Ma in questo caso – conclude Il Foglio – i margini di tale autonomia sembrano assai ridotti. Una stortura legislativa che fa riflettere”.
Gianni Riotta a silvioscaglia.it: la lunga attesa del processo e’ una pena ingiusta
Anche Umberto Eco, ricorda “Il Sole 24 Ore”, si è chiesto a suo tempo che senso avesse tenere in prigione Silvio Scaglia. “Ora viene da dire – continua il quotidiano della Confindustria – perché lasciare in prigione da cento giorni il suo ex sottoposto Mario Rossetti”?. Domanda più che legittima, alla vigilia dell’attesa udienza del tribunale del Riesame, fissata per lunedì 7 giugno, e senza dimenticare che Scaglia, dopo la scarcerazione, resta agli arresti domiciliari.
Ne parliamo con il direttore del “Sole 24 Ore” Gianni Riotta che, tra l’altro, può vantare una lunga esperienza professionale negli Stati Uniti, “sistema tutt’altro che perfetto ma che in materia di rapidità e di certezza ha molto da insegnarci perché, in casi come questi, la lunga attesa del processo è una pena, ingiusta, in più”.
Direttore Riotta, che idea si è fatta di questa lunga carcerazione preventiva? Non sembra che sia stato tempo dedicato alla raccolta di eventuali prove. O no?
“Mi permetto di citare un altro caso emblematico, quello che riguarda l’amico Ottaviano Del Turco che venne imprigionato nella primavera del 2009. Quell’inchiesta ha determinato le dimissioni della giunta, il cambio della segreteria regionale del partito, infine il ribaltone elettorale. Ebbene, ad un anno da quegli avvenimenti Ottaviano Del Turco non è stato nemmeno rinviato a giudizio. E che succede se viene prosciolto? Che cosa raccontiamo agli elettori abruzzesi, vittime di queste decisioni?”
Insomma, si rischia di finire in un vicolo cieco.
“E’ il motivo per cui i cittadini, sia di destra che di sinistra, di pelle non si fidano della giustizia italiana. Al di là delle polemiche politiche nessuno vuole avere a che fare con un sistema che, come sta avvenendo a Mario Rossetti, ti mette dentro e ti lascia in galera per un tempo indefinito. Lo stesso vale per la giustizia civile: nessuno pensa di poter risolvere una lite, per esempio, di condominio in tempi ragionevoli”.
Direttore Riotta, lei vanta una lunga esperienza negli Usa. Sarebbe concepibile la vicenda di Scaglia o di Rossetti oltre oceano?
“ No. Premesso che quella americana non è certo una giustizia esente da pecche, ci sono almeno due elementi su cui val la pena meditare. Primo, la rapidità della fase istruttoria. IL caso Madoff è esemplare: accertamento del reato, incriminazione, processo ed immediata condanna. Secondo, non è concepibile che si aprano, si chiudano e si riaprano i procedimenti salvo casi eccezionali. Non è possibile, tanto per intenderci, che dopo un’archiviazione ci sia una fase due, tre o anche quattro. La giustizia americana, ripeto, ha tanti difetti, a partire dal costo della difesa che gioca a favore degli imputati più abbienti rispetto agli altri. Ma ha molto da insegnarci in materia di certezza e di rapidità. Il caso di un cittadino parcheggiato in carcere in attesa di non si sa quale atto d’indagine non è ammissibile. L’incertezza del diritto, come ci insegnano tutte le ricerche in merito, è ormai la prima causa che tiene lontani gli investitori internazionali dal nostro Paese”.
Direttore, si ha la sensazione che l’imputato, soprattutto se non emerge una prova vera della sua colpevolezza, rischi di finire in una sorte di diritto dormiente. O meglio, addormentato. E’ così?
“Mi auguro vivamente che non sia il caso di Mario Rossetti o di Silvio Scaglia. Spero che, anche grazie all’azione di controllo del mondo dell’informazione, la giustizia nei loro confronti sia rapida. L’attesa del processo è comunque una pena che viene inflitta all’imputato. Ed è una pena odiosa ed ingiusta soprattutto per chi, poi, verrà assolto. L’inefficienza è comuqnque la pima ingiustizia ”.
In attesa del Tribunale del Riesame. Mario Rossetti vuole solo abbracciare i suoi figli.
Altre ore di attesa difficile per Mario Rossetti, in carcere da più di cento giorni. Lunedì 7 giugno infatti i giudici del Tribunale del Riesame di Roma dovranno decidere in sede d’Appello sul provvedimento del gip Aldo Morgigni che il 15 aprile scorso ha respinto l’istanza di scarcerazione presentata dai legali, dopo l’interrogatorio allo stesso Rossetti da parte dei pm.
La decisione dei giudici potrebbe (condizionale d’obbligo) restituire la libertà all’ex direttore finanziario di Fastweb. Senonchè ad esprimersi sarà lo stesso collegio del primo grado, presieduto da Giuseppe D’Arma, cioè gli stessi magistrati che, sempre in Appello, hanno negato il diritto alla scarcerazione a Silvio Scaglia, mantenendo il regime dei “domiciliari”. Domanda obbligatoria: riuscirà il collegio a decidere senza allinearsi ai desiderata dei pm. Con Scaglia non è accaduto, suscitando le forti proteste degli avvocati Corso e Fiorella, che hanno parlato di decisione “agli antipodi della legittimità”, a proposito di un sistema che consente “agli stessi giudici che già si sono pronunciati in altra veste (Tribunale del Riesame) di pronunciarsi sulla stessa materia sotto un’etichetta diversa (giudici d’Appello)”.
Rossetti, si sa, vuole solamente riabbracciare i suoi figli. Tra l’altro in cella soffre di claustrofobia, accertata dai medici, eppure ha diritto solo a un’ora d’aria al mattino, mentre al pomeriggio gli viene aperta un paio d’ore la porta della cella.
Intanto, sempre in merito alla detenzione abnorme che sta subendo, prende posizione il Sole 24 ore: “si nota che personalità certamente schierate per la cultura della legalità, come Umberto Eco, abbiano espresso posizioni garantiste sulla vicenda”. Aggiungendo: “se sono stati decisi i domiciliari per l’ex numero uno Scaglia perché lasciare in prigione da 100 giorni il suo ex sottoposto, Mario Rossetti?”. Mentre il settimanale Panorama parla dello “strano riesame del caso Scaglia”, ricordando come toccherà ancora “alla Cassazione il 25 giugno pronunciarsi sulla sua richiesta di tornare in libertà”.
Rita Bernardini a silvioscaglia.it: Mario Rossetti è stato adottato dai suoi “concellanei”
E su Rebibbia: “situazione insostenibile”.
“Carmelo Cantone, il direttore del carcere di Rebibbia nuovo complesso, ha avuto una buona idea: è una sorta di tesserino localizzatore con il quale i detenuti possono spostarsi all’interno del penitenziario, senza essere per forza accompagnati. Tanto si sa dove si trovano”. A raccontarla è l’on. Rita Bernardini, dopo l’ultima visita nel penitenziario: “E’ una risposta utile – sottolinea il deputato – alla cronica carenza di organico e al sovraffollamento di Rebibbia, come di tutte le altre carceri italiane, ma purtroppo non è con le alzate d’ingegno che si possono superare i problemi”.
On. Bernardini, il sovraffollamento è di nuovo oltre la soglia di allarme?
Assolutamente sì, gli ultimi dati parlano chiaro a tutti quelli che vogliono capire: in Italia sono attualmente rinchiusi 68.700 detenuti, di cui oltre il 40% in attesa di giudizio. La capienza totale non dovrebbe superare i 45.000. E’ una situazione insostenibile, soprattutto perché non si capisce come si pensa di uscirne: ogni mese entrano in galera mille persone e ne escono 400. Non vorrei che nei prossimi mesi e con il caldo in arrivo succedesse qualche guaio”.
Teme il peggio?
Non lo so, spero di no, anzi sono abbastanza stupita dell’apparente tranquillità. D’altra parte, una delle reazioni a cui assistiamo è l’impennata dei suicidi: da inizio anno se ne contano 28 tra i detenuti e ben 5 tra gli agenti.
Che fare?
La posizione dei radicali è nota. Quando le cose stanno così, meglio un indulto e un’amnistia, ma siamo rimasti i soli a dirlo. C’è chi preferisce veder prescritti 200mila processi all’anno piuttosto che affrontare la questione. In dieci anni sono andati al macero già 2 milioni di processi. Poi è chiaro che, in una situazione del genere, ai magistrati viene la tentazione di finire solo quelli che vogliono, che offrono maggiore visibilità e magari l’occasione di fare carriera, come accadde con il povero Enzo Tortora.
A Rebibbia lei ha avuto modo di incontrare Mario Rossetti, cosa può dirci?
Dice che è sereno perché sa di essere innocente, ma ciò non toglie che sia stanco e preoccupato. Soprattutto soffre molto la mancanza dei figli, ne ha tre, il più grande ha nove anni. Mi ha raccontato che si era dato la regola di vita di rientrare a casa non oltre le 8 di sera, per stare con loro. Può sembrare poco, ma per un manager molto impegnato…
Ma non li può vedere?
E’ qui il punto: li sente solo al telefono e continuano a chiedergli papà quando torni. Li potrebbe incontrare in carcere, ma non vuole che lo vedano dietro le sbarre. Ci sarebbe una soluzione: a Rebibbia c’è la zona verde, un piccolo parco dove i detenuti incontrano i famigliari, soprattutto i figli. Ma a lui non è concesso, il suo regime molto restrittivo non lo consente. Rossetti è anche credente, cattolico, ma non può neanche andare a messa. Che altro dire.
E come passa il tempo?
Chiede continuamente che gli venga consentito di fare qualcosa, ma c’è poco da fare. Il regime deciso dai magistrati è molto restrittivo. Tra l’altro, soffrendo di una claustrofobia clinicamente accertata dai medici, stare sempre chiuso in cella peggiora la situazione. Ha diritto ad una sola ora di aria al giorno. Gli altri detenuti, che lì si chiamano “concellanei”, lo hanno adottato per farsi scrivere delle lettere o delle piccole richieste. Poi si rivolgono a lui per una altro grande problema: quasi tutti sanno che una volta usciti dal carcere non troveranno niente da fare, così gli chiedono aiuto, per imparare qualcosa o come cercare un lavoro. E si affidano ai suoi consigli, di uomo d’impresa, per avere una speranza. Mi ha ribadito che una volta libero intende prendersi a cuore altri detenuti che si trovano nei guai.
Mario Rossetti: cento giorni
Cento giorni in una cella di venti metri quadri, da dividere in cinque. Un gulag di sovietica memoria? Una prigione afghana o pakistana? Nulla di tutto ciò. Succede invece a Roma, precisamente a Rebibbia, nel carcere della “caput mundi” che ospita (si fa per dire) 1700 persone secondo i dati forniti, nell’Italia dei 68.700 detenuti: un record nella storia della Repubblica.
“Una situazione allo sfascio”, per una struttura che dovrebbe ospitarne 1.200. Ma è questa l’Italia penitenziaria. E fra le storie (tra le tante) quella di Mario Rossetti, raccontata in un articolo dal quotidiano il Riformista.
A Rossetti, scrive Jacopo Matano: “Il combinato disposto con il sovraffollamento ha dato origine a un paradosso: se non avesse scelto di condividere la cella con altri cinque detenuti sarebbe, praticamente, in isolamento”. Come racconta al giornale il deputato radicale Rita Bernardini, in visita il 2 giugno al carcere: “Non può andare a messa, non può frequentare molti dei corsi. E poi non ha diritto di ricevere le visite dei familiari nell’area verde”. Per questo, per non farsi vedere dai figli dietro le sbarre (Giorgio di 9 anni, Luise di 8 e Leone di 2), Mario Rossetti ha detto che preferisce non incontrarli.
A nulla vale per i giudici il fatto, come ricorda il Riformista, che Rossetti sia indagato per “operazioni” che riguardano il 2002-2003”, e che dal 2005 non ricopre più l’incarico di direttore amministrativo e finanziario di Fastweb.
“In Italia – prosegue il racconto di Rita Bernardini – circa la metà dei detenuti sono in attesa di processo. La carcerazione preventiva andrebbe applicata solo in casi eccezionali”. Ma non è così, l’eccezione è diventata la regola.
Sappiamo però che Rossetti, benché provato, non si perde d’animo. E che tra le altre cose, per riempire il tempo, sta aiutando altri detenuti, a scrivere delle lettere e dando conforto. E ha già deciso che anche da libero non dimenticherà tutto quel che ha visto.