Archivi per la categoria ‘Fattore Umano’
Fattore Umano | Amnistia, Pannella chiede incontro con Napolitano
Dopo la visita di Benedetto XVI a Rebibbia e il “pacchetto giustizia”, resta intatta l’emergenza carceri
Dopo la visita di Benedetto XVI a Rebibbia e il “pacchetto giustizia” presentato dal Guardasigilli Paola Severino, che ha aperto all’ipotesi amnistia («purché lo chieda il Parlamento»), il tema degli «istituti di clemenza» (indulto ed amnistia, per l’appunto) restano al centro del dibattito sulla giustizia. A ricordarlo sono stati gli stessi detenuti di Rebibbia che hanno rilanciato la richiesta di «amnistia» al passaggio del Pontefice, in presenza del ministro di Giustizia, in visita pastorale nel carcere romano.
Lo ha sottolineato Marco Pannella, rivolto al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nel corso della consueta conversazione con Radio Radicale. «Caro Presidente, io la devo vedere. Dovremo pure inventare, nel senso buono di “trovare”, qualcosa. I carcerati a Rebibbia – ha proseguito – hanno gridato dalle celle quello che nessuno ha potuto nemmeno mormorare per un secondo, nemmeno con un sinonimo di amnistia, nella cerimonia ufficiale: la nostra proposta “amnistia per la Repubblica” non è una metafora. Se è una Repubblica dal comportamento criminale, noi vogliamo che attraverso lo strumento dell’amnistia si avvii un processo strutturale delle ragioni per le quali siamo condannati per la durata inaccettabile dei processi, per il sovraffollamento di cause e processi, oltre che per la condizione delle carceri». «Una situazione che non può certo dirsi sanata con il decreto legge approvato venerdì scorso». «In questo senso – ha aggiunto – i provvedimenti che il ministro Severino ha annunciato interessano forse qualche migliaio di detenuti. Siamo qui per dire: siamo coerenti».
Pannella, chiede di essere ascoltato dal Capo dello Stato, sostiene Emma Bonino, «non perché Napolitano non conosca il problema, ma perchè forse gli sfugge la manipolazione che di questo problema viene fatta, e verrà fatta. Mi sembra che siamo già avviati sul solito dibattito con presupposti falsi». «Già mi immagino che, come accadde per l’indulto, saranno chiamati in tv solo coloro che sono contro il decreto varato dal Governo». «L’intero dibattito sulle carceri e la giustizia nasce falsato – conclude la parlamentare radicale – basta vedere i titoli dei giornali (“A noi le tasse, i ladri fuori”), in un misto di voglia di manette, populismo, disinformazione creata, che caratterizza da lungo tempo il nostro Paese».
Fattore Umano | «Standard europei comuni per la dignità dei detenuti»
Il Parlamento europeo chiede alla Commissione una legge sui diritti delle «persone private della libertà»
Standard mimini comuni per le condizioni di detenzione e per il risarcimento delle persone ingiustamente detenute e condannate. È la richiesta approvata il 15 dicembre dal Parlamento europeo che ha chiesto alla Commissione di presentare «un’iniziativa legislativa sui diritti delle persone private della libertà». All’origine della richiesta c’è la consapevolezza che «le carceri europee versano in una situazione allarmante fatta di prigioni sovraffollate con una popolazione carceraria in continua crescita e un numeto crescente di cittadini stranieri detenuti, di detenuti in attesa di giudizio, di quelli con disturbi mentali e di numerosi casi di suicidio».
Il Libro Verde della Commissione europea menziona l’Italia, con Bulgaria, Cipro, Spagna e Grecia fra i paesi con maggior affollamento e, con Lussemburgo e Cipro, fra quelli con il maggior numero di detenzioni in attesa di giudizio.
In particolare, il Parlamento chiede:
- Che il bilancio comunitario si doti di una linea ad hoc per incoraggiare le autorità nazionali a migliorare le condizioni di detenzione,
- L’adozione di regole europee per garantire ai deputati nazionali e a quelli europei il diritto di visita nelle carceri di tutta l’Unione Europea.
- Per far fronte all’aumento di cittadini di Stati membri detenuti in un altro Stato membro, norme atte ad intensificare la cooperazione giudiziaria in materia penale per «migliorare la fiducia reciproca» tra gli Stati Membri.
Fattore Umano | Per un Natale meno recluso
Le mostre e i mercatini dei prodotti del carcere. Un lungo elenco di iniziative per collegare nei prossimi giorni il “mondo recluso” e il “mondo libero”
A Natale si sta in famiglia, tra cenoni, scambi di auguri e regali. Ma non è così per tutti. Per chi sconta un periodo di pena o aspetta da recluso di essere giudicato, il tempo si concentra in 60 minuti.
Un’ora dunque, cioè quanto “concesso” per il colloquio con i propri cari (massimo 3 persone alla volta) in un parlatorio gremito di gente, con magari dei bambini che cercano di scavalcare quel che li divide dal genitore, senza capire ancora il perché.
Per dilatare quei 60 minuti il Blog mette a disposizione una piccola guida di iniziative natalizie per riavvicinare il mondo “recluso” e quello “libero”. Mostre e mercatini di prodotti realizzati in carcere e iniziative volte ad aiutare le famiglie dei detenuti. Specie i bambini.
Clicca qui per scaricare la guida Per un Natale meno recluso.
Fattore Umano | Pagano: Almeno 50 detenuti al lavoro per l’Expo
«Il rischio è la disperazione, non la rivolta» dice il Provveditore delle carceri della Lombardia
«Almeno 50 detenuti dovranno lavorare per l’Expo». È quanto suggerisce il Provveditore agli istituti di pena lombardi, Luigi Pagano, già direttore del carcere di san Vittore, intervenuto ieri alla Commissione politiche sociali di Palazzo Marino. Pagano ha spiegato che un’iniziativa del genere «creerebbe un effetto a catena essenziale in un momento tragico come quello che stiamo vivendo, dove si corre il rischio della disperazione, più che la rivolta».
Nel corso dell’audizione Pagano si è soffermato sul tema del lavoro dei detenuti, Interpellato sulle attività lavorative per i “reclusi”, Pagano ha sottolineato la necessità di conciliare costo del lavoro e diritti dei detenuti «altrimenti le imprese coinvolte finiscono per fallire nel giro di 15 giorni». Ricordando il modello di Bollate, Pagano ha inoltre spiegato di avere già «protocolli firmati con Provincia, Comune e Regione», di essere pronti anche per il lavoro all’esterno e di stare aspettando dei «tavoli tra le istituzioni».
In particolare, Pagano ha chiesto al Comune tavoli di lavoro «più ampi, più frequentati e con la continuità che finora è mancata: basta con i Garanti e con le mediazioni, facciamo dei tavoli diretti, noi abbiamo voglia di fare». Quanto al coinvolgimento del terzo settore e alla mancata partecipazione al primo Forum delle politiche sociali, Pagano ha spiegato che «prima è necessario un contatto diretto e istituzionale, poi benvenga anche per il terzo settore». «Il carcere – ha poi concluso – dovrebbe tornare sotto l’egida della sicurezza e non essere sotto le politiche sociali: questa situazione crea una schizofrenia istituzionale che poi noi come carcere paghiamo».
A proposito del sovraffollamento di San Vittore, il Provveditore ha fatto presente che sistemando i reparti chiusi dal 2006 «alla Cittadella della Giustizia, si potrebbero allocare 600 persone». «Dal punto di vista materiale – ha aggiunto – il Comune non può fare nulla, ma le imprese potrebbero invece mettersi insieme per intervenire e rendere questi reparti funzionali» magari con il contributo dI sponsor. Sempre rivolgendosi ai privati, Pagano ha proposto iniziative continue per le prime necessità, carta igienica in primis «che sembra una banalità che fa sorridere, ma già dal 1992 era un problema: per 2200 detenuti calcolammo miliardi e miliardi di spesa». Interpellato sulla proposta di un «kit di uscita» per detenuti, Pagano ha spiegato che sarebbe da preferire un «kit di entrata per l’Aids ma soprattutto l’epatite virale, dovuta al fatto che in celle di 6-7 se non 10 persone tutti usano la stessa lametta e lo stesso spazzolino. Qualche impresa privata che li produce ad esempio potrebe farsi avanti e offrircele».
Fattore Umano | Al via lo “svuotacarceri” e il pacchetto giustizia
Il ministro Severino: «Amnistia? Se il Parlamento la vota, non mi opporrò»
Via libera del Consiglio dei ministri al pacchetto di provvedimenti messi a punto dal ministro della Giustizia Paola Severino. Innanzitutto, è passato all’unanimità il decreto legge “svuotacarcerì” che consentirà di scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi della pena ed evitare la reclusione breve di chi deve essere processato per direttissima, facendo ricorso all’uso delle camere di sicurezza dei commissariati idonei. Grazie a questo provvedimento, si calcola che la popolazione carceraria si ridurrà di 3.000-3.500 unità: troppo poco per dare una risposta al sovraffollamento degli istituti di pena (67mila detenuti contro una capienza di 45mila). A questo proposito diversi esperti, tra cui il professor Carlo Federico Grosso, avevano sollecitato il ministro ad affrontare il tema dell’amnistia e dell’indulto.
«Io non ho mai escluso che l’amnistia e l’indulto siano dei mezzi che contribuiscono ad alleviare l’emergenza carceri – ha risposto a distanza il Guardasigilli – ma ho sempre detto che non sono dei provvedimenti di matrice governativa: se questa indicazione verrà dal Parlamento io non la contrasterò».
Intanto il CdM ha anche approvato un’altra proposta, stavolta sotto forma di disegno di legge, presentata dal ministro a proposito della depenalizzazione e le misure alternative alla detenzione. Via libera anche a un Dpr per la «Carta dei diritti del detenuto». Completano il corposo pacchetto giustizia alcune misure per accelerare il processo civile e accorpare alcuni uffici del giudice di pace.
«Il sovraffollamento delle carceri è il primo dei miei pensieri ed è per questo che ho scelto lo strumento del decreto legge», ha spiegato il ministro. «È tempo di mettere mano ad una seria riforma del sistema penitenziario – ha aggiunto –, ma sarei una sognatrice se pensassi di poterlo fare con le forze che mi accompagnano e con i tempi brevi di questo Governo».
Tra le novità figura la possibilità di trattenere per non oltre 48 ore gli arrestati nelle camere di sicurezza della polizia giudiziaria che li ha fermati. Per ora, in realtà, le celle di sicurezza disponibili presso i posti di polizia sono solo 706, e non tutte saranno utilizzabili tramite il Dl “svuotacarceri” perché necessitano di ristrutturazione. Ma queste celle, ha aggiunto Paola Severino, vanno considerate una «soluzione interlocutoria fino a che non si costruiscono carceri nuove». A questo fine il suo Ministero destinerà i 56 milioni di euro che gli sono stati assegnati. Nel frattempo si potrà evitare il fenomeno delle “porte girevolì”, cioè l’ingresso in carcere dei detenuti per pochi giorni prima dell’udienza di convalida del fermo. Così si potranno evitare inutili spostamenti con risparmio di tempi e costi. Poi dopo il termine di 48 ore, il giudice deciderà se confermare l’arresto.
Sarebbero utili interventi di depenalizzazione, ha ammesso il ministro. Ma, sebbene sarebbe necessario modificare le norme sull’immigrazione e gli stupefacenti per ridurre il ricorso alla detenzione per determinati reati connessi all’immigrazione clandestina e al commercio di droga si tratta di «provvedimenti che non si possono assumere in un periodo di tempo così limitato» come quello del Governo Monti.
Ma in questo periodo prenderà vita la «Carta dei diritti del detenuto» che indica «ciò che può fare e ciò che non può fare». La sua prossima applicazione è stata annunciata dal ministro della Giustizia, Paola Severino, al termine del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi. È uno strumento che «potrebbe aiutare molto a superare quel disorientamento che pervade chiunque entri per la prima volta in un carcere», sottolinea il Guardasigilli precisando che «verrebbe tradotta nelle lingue più diffuse nella popolazione carceraria più vasta e verrà estesa ai familiari che fin dall’inizio non sanno cosa possono fare, quali vestiti portare». «In questa Carta dei diritti, c’è anche la scelta di prestare il previo consenso all’uso eventuale di mezzi di controllo – conclude – sottolineo eventuale: se dovessero essere applicati mezzi alternativi di controllo è bene avere comunque il previo consenso».
Fattore Umano | Carceri l’inevitabile clemenza
Cara Severino, la ricetta è quella giusta. Ma la logica dei numeri dimostra che non basta: occorre svuotare le carceri di almeno 15.000 detenuti per evitare che la situazione di emergenza (67mila reclusi contro una capienza massima di 45mila) esploda. Perciò non va escluso il ricorso agli «istituti di clemenza», ovvero indulto ed amnistia, anche se attorno a questa scelta si potrebbe scatenare «una inevitabile bagarre» tra i partiti che sostengono il Governo
Il professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale all’università di Torino e uno dei maggiori penalisti italiani, in sostanza invita, con un editoriale su La Stampa, il neoministro della Giustizia Paola Severino a prendere un’iniziativa più «coraggiosa» rispetto alle misure già annunciate, che verranno inserite nel Decreto legge che già domani potrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri. Grosso applaude il provvedimento che servirà a rimettere in libertà detenuti che hanno una pena residua da scontare di 18 mesi meno piuttosto che il «sacrosanto principio» delle pene alternativa. Ma le misure annunciate riguardano, al massimo 3000-3500 detenuti. Troppo poco «per ristabilire un minimo di umanità e di decenza nelle prigioni», sentenzia il professor Grosso.
Occorre, insomma, un provvedimento «forte», che solo un esecutivo con la coscienza di servire il Paese senza la ricerca del consenso di piazza, all’insegna del populismo, può consentirsi. La «furbizia» politica, si sa, è portata a sfruttare i sentimenti più bassi per sviare l’attenzione dai problemi o dai sacrifici. Ma l’«intelligenza» della politica impone di saper prendere decisioni giuste anche se al momento possono (ma non è detto) essere le più popolari. Certo, si può avere la sensazione di subire per l’ennesima volta il ricatto dell’urgenza. Per questo è giusto proseguire nella strada delle pene alternative (e la costruzione di nuove carceri). Ma il ricorso agli istituti di clemenza, ammonisce Grosso, è l’unica strategia per scongiurare il ricatto di urgenze più drammatiche, causate dall’«insostenibile affollamento» delle carceri.
Speriamo che questo invito al “buon governo” venga ascoltato ed accolto al più presto.
Fattore Umano | Il primo mercatino natalizio dei detenuti
Fino al 18 dicembre, a Roma, in via Giuseppe Barellai 135, si terrà Celle, stelle e bancarelle, un’ampia esposizione dei prodotti realizzati negli istituti penitenziari e nei servizi minorili
Le bancarelle sono ospitate all’interno di un ampio spazio collocato di fronte all’Istituto superiore di studi penitenziari (ISSPE). Dal lunedì al giovedì dalle ore 11 alle 21, mentre dal venerdì alla domenica dalle ore 10 alle 23, si possono acquistare addobbi natalizi artigianali, articoli di cartotecnica, borse alla bigiotteria ma anche tanti prodotti enogastronomici.
Un’occasione per conoscere direttamente le attività svolte negli istituti penitenziari da imprese, cooperative sociali e associazioni che fanno lavorare e formano i detenuti. Alla realizzazione del primo mercatino di natale con i prodotti realizzati dai detenuti hanno collaborato i 15 provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria e molti istituti per adulti e per minori.
Ad affiancare l’esposizione, un fitto programma di incontri, spettacoli di intrattenimento e laboratori anche per i visitatori più piccoli e l’intervento di personaggi dello show business italiano come Pino Insegno, testimonial dell’evento, che giovedì 15 dicembre alle 11 si esibirà in “Celle, stelle e bancarelle”.
Fattore Umano | Bernardini: «San Vittore sempre peggio»
Sovraffollamento, sporcizia e ozio forzato. Solo 100 detenuti su 1.600 con condanna definitiva. La deputata radicale descrive in prima persona la sua visita ispettiva nel carcere milanese. Ad accompagnarla anche Luigi Amicone, direttore della rivista Tempi, che ieri ha pubblicato questo articolo
Il 4 dicembre scorso è stata una giornata speciale a San Vittore: per la prima volta la rituale messa domenicale ha visto i detenuti presenziare alla funzione all’interno della “rotonda” centrale – dove si trova l’altare – e prendere l’ostia della comunione non da dietro le sbarre dei cancelli dei “raggi”, come fino a sette giorni prima, ma direttamente dalle mani del cappellano.
Immaginando la scena che si è ripetuta settimana dopo settimana fino a questa innovazione, mi è venuto in mente ciò che mi hanno raccontato i detenuti del carcere di Gazzi a Messina, reparto “la sosta”: gli infermieri – che spesso facevano le iniezioni per le fitte di un dolore lancinante – introducevano l’ago nel gluteo del detenuto proprio attraverso le sbarre. Nessuna pietà o decenza, nessuna umanità, né nel momento di profonda religiosità del sacramento (per chi crede), né in quello della sofferenza fisica provata da una persona ristretta in condizioni disumane.
Della novità della messa non più dietro le sbarre per i detenuti sono venuta a conoscenza in occasione della visita ispettiva che ho fatto a San Vittore assieme a Luigi Amicone, direttore di Tempi, e Leonardo Monaco, giovanissimo tesoriere dell’Associazione Enzo Tortora di Milano. «Ci dispiace – ha detto la comandante Dott.ssa Di Gioia che ci ha ricevuti insieme al Magistrato di sorveglianza Dott.ssa Fadda – che non abbiate potuto assistere a questo nuovo modo di dire messa qui a San Vittore». Durante il colloquio iniziale abbiamo rivolto domande e ricevuto risposte sulla situazione attuale dell’istituto che avevo già visitato altre volte, due da deputata; a seguito di quelle visite (2008 e 2011), avevo anche depositato due dettagliate interrogazioni e inoltrato due esposti/denuncia alla Procura della Repubblica: né il Ministro della Giustizia, né la Procura di Milano hanno mai risposto, nemmeno per dire “quanto rappresentato, non corrisponde a verità” o “non si ravvisano elementi per aprire indagini”. Silenzio.
Ebbene, la situazione a San Vittore è addirittura peggiorata. 1.600 persone sono ristrette nei 600 posti regolamentari. I detenuti stanno chiusi in cella per 20 ore senza poter svolgere alcun tipo di attività, non vengono forniti loro i detergenti né per lavarsi né per pulire la cella; le celle sono luoghi immondi dove circolano scarafaggi; le finestre non si possono aprire perché ostruite dai letti a castello… manca l’aria e di luce ne entra ben poca, tanto che devono tenere la lampadina accesa tutto il giorno. Quando entriamo nella prima cella situata al 1° piano del sesto raggio, rimaniamo sgomenti perché quattro persone, un uruguayano, un equadoregno, un filippino e un italiano, sistemati su due letti a castello, sono costretti a vivere in 7,6 metri quadrati, cioè meno di 2 mq a testa! Ma la cella successiva, come tutte le altre, sono di eguali dimensioni con la differenza che di esseri umani ne stipano 6!
È appena il caso di ricordare che la Corte Europea dei diritti umani ha già condannato più volte l’Italia per «trattamenti disumani e degradanti». Famoso è il caso del cittadino bosniaco Sulejmanovic, risarcito dallo Stato perché costretto a stare per 16 ore al giorno in una cella di tre metri quadrati. Se i carcerati di San Vittore facessero ricorso alla Corte di Strasburgo, sarebbero tutti risarciti!
Ma il dramma per loro non è solo quello del sovraffollamento. Molti vivono lontani dalla famiglia, non possono vedere mogli e figli; l’avvocato, quasi sempre d’ufficio, l’hanno visto una sola volta e nulla conoscono del processo che li riguarda; il 30% è tossicodipendente, il 64 % è straniero senza appoggi di parentela o amicizia in Italia, i casi psichiatrici sono tantissimi, l’assistenza sanitaria in quei gironi infernali è quasi impossibile. Poco più del 10% svolge un lavoro saltuario, pochissimi hanno la possibilità di frequentare le scuole. L’ozio forzato è la regola. Inoltre, solo 100 detenuti su 1.600 hanno una sentenza definitiva, gli altri sono in attesa di giudizio e, secondo le statistiche, la metà sarà riconosciuta innocente.
L’illegalità delle condizioni di detenzione si riscontra anche per quelle di lavoro di agenti, psicologi, educatori, infermieri, personale amministrativo e sanitario. Tutta quella che Marco Pannella definisce la “comunità penitenziaria” è dolente, stremata, umiliata. Di agenti ne mancano 300 e i 700 in pianta organica, che si riducono ulteriormente per permessi speciali e malattia, devono anche assicurare i piantonamenti in ospedale dei detenuti e le traduzioni per le udienze. Al VI raggio, accade anche che alcuni piani non siano presidiati dagli agenti.
In conclusione, anche questa visita – come le altre che da radicali facciamo a centinaia nelle carceri italiane – mi ha rafforzato nella convinzione che solo l’amnistia (accompagnata da un indulto) può tornare a far vivere legge, Costituzione, diritti umani universalmente acquisiti. Che autorevolezza può avere uno Stato che per primo viola le sue leggi fondamentali? Che rieducazione può assicurare uno Stato che si comporta da decenni come un delinquente professionale? Che giustizia è quella dei procedimenti penali che muoiono a milioni – due, negli ultimi dieci anni – perché le scrivanie dei magistrati sono soffocate da milioni e milioni di faldoni impolverati? E che cittadini siamo noi tutti se tolleriamo che esseri umani siano trattati peggio degli animali? La direttiva europea 2008/120/CE del Consiglio (18 dicembre 2008) stabilisce che il suino adulto deve disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 mq, altrimenti l’allevatore viene multato e lo stabilimento chiuso. Riflettiamo tutti su questa giusta disposizione europea e chiediamoci, soprattutto se siamo parlamentari o presidenti della Repubblica o ministri, se qualcosa di irreparabile come i nazismi o i fascismi non sia già accaduto dentro di noi.
Fattore Umano | Compra la toga dal detenuto
Abiti d’ordinanza per magistrati e avvocati, in fresco di lana con pettorina e nome ricamato. A tagliare e cucire le detenute di San Vittore e Bollate, assunte dalla Cooperativa Alice. Alta qualità e prezzi competitivi
Toghe per magistrati e avvocati, in fresco di lana e pettorina bianca. Quest’ultima, a scelta, con o senza il pizzo. Poi – sempre come optional – il “cordoniere” in tessuto oro-argento ed eventuali personalizzazioni, a partire dal nome. Il tutto realizzato con tessuti e finiture di qualità, ma a costi competitivi.
Benvenuti nella Sartoria San Vittore. Già, proprio all’interno della prigione più nota della città di Milano, dove sette detenute tagliano e cuciono l’abito d’ordinanza che indossano PM, giudici e legali difensori nelle aule dei Tribunali. Ma non sono le sole. Infatti, i laboratori sono tre e fanno capo alla Cooperativa Alice, attiva da circa venti anni dentro l’istituto penitenziario e non solo lì: oltre a San Vittore, altre detenute lavorano nel laboratorio della casa circondariale di Bollate, oppure – per coloro che possono accedere alle misure alternative – direttamente nel laboratorio di via Senofonte 9.
In totale 25 persone, tra responsabili della cooperativa, detenute “ristrette”, detenute semilibere ed ex detenute, tutte regolarmente assunte con busta paga e trattenute. «In realtà – spiega Luisa Della Morte, della Cooperativa Alice – la sartoria delle toghe, che abbiamo iniziato soltanto dal 2009, pesa per il 10% della nostra attività, ma si va estendendo grazie al passaparola. Anzi, ne approfitto per segnalare che più toghe facciamo, più detenute possiamo assumere».
Del resto, la Cooperativa Alice è nata con l’intento di creare «percorsi di inserimento lavorativo per persone ristrette nella libertà», centrati sulla partecipazione ad attività formative e lavorative. Il resto della produzione riguarda abiti per aziende in conto terzisti, costumi teatrali, arredamento tessile, gadget e magliette dal nome inequivocabile come Gatti galeotti. Il tutto esposto nella vetrina del negozio di via Terraggio 28.
Ora, per la Sartoria San Vittore, si prospetta un ulteriore salto di qualità. Un’idea, fra le altre, è quella di coinvolgere avvocati (e avvocatesse) noti al grande pubblico, nel ruolo di “testimonial”. Certamente l’utenza non manca: in Italia abbiamo 11 magistrati ogni 100mila abitanti e ben 220mila avvocati. C’è addirittura chi sostiene che se ci sono milioni di cause inevase nel Belpaese è perché ci sono troppi avvocati. Difficile dire se sia vero o meno, ma facciano almeno il favore di comprarsi una toga della Sartoria San Vittore. Magari per Natale.
Fattore Umano | Pannella: «Torno allo sciopero della fame»
Il leader radicale respinge le proposte del neoministro Severino contro il sovraffollamento delle carceri, fra cui l’ampliamento della detenzione domiciliare e l’uso del braccialetto elettronico. E torna a chiedere l’amnistia
«Dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia occorre riprendere l’agitazione. Armi della nonviolenza, dunque. Entro due giorni tornerò ad uno sciopero della fame». Per Marco Pannella il dramma del sovraffollamento carcerario non può essere affrontato con misure parziali che non comprendano in primo luogo l’amnistia. Per questo, ospite a Radio Carcere, in onda su Radio Radicale, ha annunciato la decisione di riprendere il digiuno fin dalle prossime ore.
«Sono passati oltre 4 mesi – ha detto Pannella – da quando è stata proclamata dal massimo livello della nostra Costituzione repubblicana la “prepotente urgenza” di alcuni problemi e della necessità di una risposta di fronte alla denuncia di una flagrante condizione strutturale del nostro Stato, in condizioni, tecnicamente e senza alcun dubbio, di illegalità».
«La prepotente urgenza – ha insistito il leader radicale – è diventata invece un affare da trattare come ordinaria amministrazione. Noi riteniamo che abbiano avuto ragione tutti coloro che il 28 luglio, proprio a partire dal Capo dello Stato, hanno denunciato senza nessun dubbio questa condizione criminale di questa nostra Repubblica. del nostro regime repellente nei confronti dei diritti umani».
Proprio il giorno prima, il nuovo Guardasigilli Paola Severino aveva invece escluso l’ipotesi di una amnistia che svuoterebbe solo «momentaneamente» le celle destinate poi a riempirsi di nuovo, piuttosto che la costruzione di nuove prigioni – obiettivo da perseguire – ma che «richiede tempi lunghi».
Il neoministro ha invece sostenuto l’urgenza di misure alternative al carcere quali l’ampliamento della detenzione domiciliare e il ricorso al “braccialetto elettronico”, misura finora fallita in Italia ma che – secondo il ministro – avrebbe dato buoni risultati all’estero.