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Fattore Umano | Stefano Mazzitelli: «Il carcere? Un impatto devastante»
L’ex Ad di TIS racconta al blog il trattamento subito da “presunto innocente”: «È mai possibile – dice – arrivare al colloquio di garanzia col Gip senza l’assistenza di un avvocato, con davanti un’ordinanza di 2000 pagine e un fascicolo di 200.000?». «Devo ringraziare – aggiunge – il sostegno dei compagni di cella e le guardie. E poi gli amici e i conoscenti che mai hanno dubitato di me»
Dottor Mazzitelli, dopo un anno agli arresti, com’è stato svegliarsi da persone libere?
È difficile descrivere le emozioni che si provano nel riacquistare la libertà dopo 12 mesi di improvvisa privazione fisica e mentale di tutto ciò che hai, o che fai, anche delle cose più banali. È un po’ come rinascere, soprattutto mentalmente. Si comincia per gradi, dagli affetti che incontri appena uscito e verso i quali hai un approccio fisico, tattile, poi le cose quotidiane. Ancora oggi, dopo un mese di vera libertà ho sensazioni nuove ogni giorno. Purtroppo, si resta in uno stato di ansia latente: sei sempre fra il presente ed il passato, fra il sogno e l’incubo. L’aspetto confortante è constatare che a poco a poco ci si “riabitua” alla libertà: sembra un concetto un po’ folle ma è così.
Che ricordi restano?
Per trovare risvolti positivi in una simile vicenda bisogna scavarsi dentro profondamente e non è facile. Io lo faccio tutti i giorni ma non ho ancora trovato risposte. Innanzitutto, ed è un dato incredibile, ricordo tutto con una memoria fotografica sorprendente, dico veramente tutto; potrei descrivere ogni istante di quei momenti con precisione assoluta. Voglio anche aggiungere che nel mio caso, come in quello di altri, si tratta di persone incensurate quindi c’è un problema personale ma anche diciamo così “intellettuale” per chi nel sistema ha vissuto in maniera specchiata per 50 anni. Ribadisco, non è solo un concetto etico che può sembrare personale e fine a se stesso, ma anche giuridico che si chiama “presunzione di innocenza” e “incensurati”. Con il tempo, la riflessione e gli affetti magari tutto si normalizzerà, ma certamente la storia non si cancella e credo sia anche giusto così.
La sua esperienza del carcere?
Il primo impatto è devastante, ti ritrovi in un ambiente chiuso e soffocante; l’isolamento è qualcosa di terrificante che genera reazioni, credo, anche chimiche; non puoi appellarti a nulla, non hai contatti, non sai cosa succede, nessuno ti informa di niente. Chiudono anche la porta esterna blindata e si è tagliati fuori dal mondo; dopo un paio di giorni gli altri detenuti, in specie i lavoranti, ti offrono un caffè la mattina e durante il rancio si preoccupano che mangi, insomma ho trovato grande solidarietà; devo aggiungere che per me ci sono voluti 9 giorni per andare in cella con gli altri; a quel punto, in qualche modo, si ricomincia a vivere, con persone che ti manifestano da subito, nella maggior parte dei casi, affetto e cortesia. Ti aiutano, consigliano e stimolano: ecco quello è stato un sollievo enorme. Anzi vorrei approfittare per mandare un grazie sincero ai miei compagni di cella. Mi ha impressionato la maturità di queste persone, anche giovani, cui ti puoi appoggiare perché si fanno carico dei tuoi problemi, non lo dimenticherò mai. Ho trovato solidarietà anche nelle guardie di custodia, in alcuni casi quasi un’amicizia; sono persone che fanno un lavoro duro, spesso non gratificante. Per questo vanno rispettati e, per quanto mi riguarda, ringraziati. Ci sono molti luoghi comuni sul fatto che gli agenti commettano delle vessazioni. Nei sei mesi di carcere non ne ho avuta diretta esperienza. Certo, ci sono anche esempi negativi, ma in generale no. Le domande, semmai, vanno poste sul “sistema della giustizia”: è giusto il carcere per ragazzi di 20/25 anni condannati per furtarelli, quasi sempre a scopo di droga? A che serve? Che senso ha? Quasi sempre, poi, questi ragazzi vengono rimessi in libertà senza adeguato sostegno. Poi ci sono troppe cose che non vanno: strutture mediche deficitarie e carenti, c’è l’aspetto dei colloqui, limitati e senza privacy, specialmente per coloro che hanno anni di permanenza nella struttura; infine i trasporti che sono davvero allucinanti: perché, mi chiedo? Che ci vuole? Non sarebbe difficile fare meglio. Per questo spero di poter fare qualcosa quando il mio incubo personale sarà finito.
E sui domiciliari?
Qui c’è un discorso personale ed uno giuridico, di sistema. È evidente che i domiciliari rispetto al carcere sono qualcosa di profondamente diverso, il semplice contatto con la famiglia è un sollievo enorme, così come il ritrovarsi in un ambiente conosciuto come la tua casa. Dopo pochi giorni, però, il sollievo svanisce e si tramuta in insofferenza per la costrizione, i controlli notturni, le limitazioni e le paure a cui sottoponi anche chi ti sta vicino. E questo è il discorso personale. Poi c’è l’aspetto giuridico della custodia cautelare: è una brutalità indegna di un paese civile, che andrebbe applicata solo in casi gravissimi e adeguatamente motivati. Non certo il mio caso personale. Anche perché, ed è un aspetto a volte sottovalutato, si riflette sulla capacità di difendersi adeguatamente, per le limitazioni cui sei sottoposto. Ad esempio, in un procedimento della complessità di quello in cui sono coinvolto, è assolutamente necessario l’esame di ingenti mole di carte, di colloqui con gli avvocati, hai bisogno anche della lucidità per dimostrare la tua innocenza: sono tutte cose che il carcere e l’afflizione che comporta rischiano di pregiudicare. Una persona non può arrivare al processo in queste condizioni, si crea un’asimmetria insopportabile fra accusa e difesa. C’è poi un altro aspetto: nel nostro/mio caso ci è stato sequestrato tutto, nonostante l’evidenza che non abbiamo ricevuto nessun utile personale dall’operazione, sia diretto che indiretto; insomma, in questo momento non ho nessuna disponibilità economica e solo grazie all’aiuto di famigliari ed amici riesco a soddisfare le piccole esigenze quotidiane. Pensi solo agli avvocati? Ho la fortuna di avere amici che mi sostengono, ma è una casualità: il sistema non deve e non può consentire questo.
Cosa pensa del suo futuro?
Oggi c’è solo il quotidiano. Ha detto bene l’ingegner Comito sul vostro blog: la sanità mentale richiede di concentrarsi sull’oggi, sul processo, sul recupero del rapporto con la famiglia, sul rassicurare i figli. Si vive in una situazione di temporaneità ed instabilità, legate al processo; cerco di concentrarmi lo stesso: è troppo grande la voglia di dimostrare la mia totale innocenza ed estraneità ai fatti. La delusione è il dover constatare che c’è un sistema brutale, nel quale va pure messo in conto il perverso rapporto fra media e inchieste giudiziarie: un sistema che vive di slogan, che non fa domande, che banalizza i lati umani e tecnici delle vicende, a parte qualche rara eccezione. Poi, nel mio caso, è stato anche alimentato dall’azienda per cui lavoravo che ha fatto pubblico sfoggio di opportunismo. Non è un problema di immagine, ma di equilibrio di valori. La stampa non può rivendicare diritti costituzionali di libertà se poi li usa a scopi puramente commerciali. In questo contesto, il mio futuro ha solo tante domande, ma sono convinto che troveranno adeguata risposta. Ci vorrà tempo e pazienza.
Ha ancora fiducia nella giustizia?
È un tema complicato. La convinzione è che, alla fine, il dibattimento consentirà un corretto esame della situazione; questo mi dà un senso di sollievo, pur in un contesto complesso: il fatto di poter “dibattere”, di potersi esprimere, confutare ed essere ascoltati è importante. Sono stato un anno in silenzio: ho sentito di tutto, dai magistrati inquirenti, dagli organi di polizia giudiziaria, dalla stampa, dall’azienda per cui lavoravo, senza poter esprimere e contestualizzare: insomma, un muro. Il dibattimento, da questo punto di vita, è una liberazione. E non è solo un tema processuale: innanzitutto lo Stato, il legislatore e di conseguenza noi tutti, dobbiamo capire e decidere se vogliamo porre al centro del sistema il cittadino/persona o lo Stato. Sembra scontato, ma purtroppo nel tempo si è spostato il centro verso lo Stato burocratico ed i diritti individuali vengono calpestati. Purtroppo ci si rende conto di questo quando si rimane intrappolati: è mai possibile che si possa arrivare ad un colloquio di garanzia con il GIP senza l’assistenza dell’avvocato, con un’ordinanza di 2000 e più pagine e un fascicolo di 200.000 pagine? Che un’udienza del riesame duri 5 minuti? Che nei fatti venga sconvolto il principio cardine di presunzione di innocenza che dovrebbe essere sacro? Tutto previsto dalla legge, ma è proprio questo il punto: il sistema non offre più garanzie. E non è accettabile dire che il dibattimento alla fine sana tutto, perché ci si arriva in misura sproporzionata fra accusa e difesa con conseguenze anche sul processo e perché il danno fatto alle persone può essere irreparabile.
Qualcos’altro che vuole dire?
Sì, soprattutto un grazie al vostro Blog, così aperto ed attento, grazie agli amici e ai conoscenti che mai hanno dubitato, grazie ai parlamentari e giornalisti che si sono interessati alla mia/nostra vicenda con discrezione senza interferire ma cercando almeno di capire e di porre la persona al centro del problema e una dedica affettuosa ai miei figli ed ai miei cari. La mia unica risposta può essere solo di dimostrare la mia totale estraneità a questa vicenda.
Il disegno al servizio della verità
A colloquio con Vincino, la matita più puntuta della cronaca
«Il disegno è uno strumento di verità. Per questo è così efficace per aprire qualche squarcio sulla realtà di questo Paese, dove abbondano i lati oscuri». Parla così una delle “matite” più famose (e scomode) del Bel Paese: Vincenzo Gallo, in arte Vincino, la punta più graffiante del blog Silvioscaglia.it che più di tutti ha contributo a squarciare la cortina del silenzio che, dopo il clamore mediatico iniziale, rischiava di inghiottire la vicenda umana e giudiziaria del fondatore di Fastweb. Come ben sanno i lettori del Blog che hanno avuto modo di vedere una parte dello sterminato lavoro di questo vulcano creativo, pronto a sparare “cartoon” a getto continuo, alimentati da una grande indignazione civile.
Da oggi, il Blog mette a disposizione dei lettori, nella sezione L’angolo di Vincino, un’altra parte di questa produzione artistica e civile, che viene da lontano
Perché quella di Vincino è una vita passata a graffiare, dalle colonne del Male fino alle vignette sul Corriere della Sera e Il Foglio i potenti che, reinterpretati da quel tratto di penna essenziale più che elementare, emergono con le loro debolezze e le loro miserie. Che si tratti di politici, banchieri, divi tv o, perché no, pure i casi di mala giustizia. «Anzi – replica lui – io, palermitano, nasco come disegnatore con la cronaca giudiziaria. I primi disegni, da ragazzo, li ho fatti ad un processo di mafia che all’epoca fece scalpore: la strage di viale Lazio».
Dalle stragi di sangue ai processi contro i colletti bianchi il passo non è breve. Che cosa ti ha spinto ad affrontare la vicenda di Scaglia che, almeno a prima vista, non si presta ad essere descritta per immagini?
Sono stato felice di poter lavorare, con continuità, attorno a questo caso. Fin dal primo momento ho avuto la sensazione che la storia, così come era stata presentata dai giornali su notizie in arrivo dalla Procura, facesse acqua un po’ da tutte le parti. A mano a mano che mi informavo, mi convincevo che ci trovavamo di fronte all’ennesimo caso di macelleria giudiziaria, secondo una tecnica sperimentata negli anni Settanta ed Ottanta con il terrorismo e poi affinata nel corso degli anni: tu metti dentro uno, senza troppi complimenti, nella speranza di raccogliere qualcosa in corso d’opera. Nel frattempo, hai dato in pasto alla macchina mediatica ciò che serve per raggiungere obiettivi che non c’entrano con la giustizia.
Cosa ti ha colpito, in particolare, del processo sull’Iva telefonica?
È clamoroso che un’azienda d’avanguardia, una delle poche fatte interamente da italiani, possa essere decapitata con estrema superficialità da pm che non hanno alcuna competenza specifica. Ancor di più, fa impressione prender atto, passo dopo passo, del degrado di un sistema che, all’apparenza, abbonda di garanzie, ma nei fatti è autoreferenziale. Prendiamo la figura del Gip. Dovrebbe essere terzo, rispetto ad accusa e difesa, ma i pm se lo bevono. E il Tribunale della libertà, poi, te lo raccomando: sembra un ufficio ratifiche. Ecco, io credo che se la riforma della giustizia, qualunque essa sia, non smonterà questi ingranaggi costosi, farraginosi ed inutili, non farà grande strada”.
Ma come si fa a rendere tutto questo con un disegno? Non invadi il campo del giornalista classico, carta e penna o computer?
Ma il disegno è la leva di Archimede dell’informazione! Le potenzialità dell’immagine sono quasi infinite, a differenza della parola scritta. E lo dimostra l’invidia di tanti colleghi consapevoli che l’occhio del lettore, davanti alla pagina, cade prima sulla vignetta che sugli articoli. Il fenomeno è tanto più rilevante nell’era di Internet. Il disegno corre sull’onda del web, è la gazzella dell’informazione.
Già, mentre il giornalista è l’ippopotamo. Non esageri?
La verità è che io sono innamorato del mio mestiere: raccontare la verità attraverso un’immagine è la cosa più bella che ci sia.
La cosa che colpisce di più è che tu, che in realtà te la cavi con pochi tratti di penna, passi ore ed ore nelle aule di giustizia. Posso testimoniare che tu stai seguendo il processo “Iva telefonica” passo dopo passo, senza perderti una battuta. Anzi, sfruttando le pause del dibattimento per studiare i volti, gli atteggiamenti di avvocati ed imputati. Al contrario, di giornalisti in aula se ne vedono pochi.
E fanno male. Perché in quell’aula sfila un pezzo della storia d’Italia.
Addirittura?
Non esagero. Primo, perché è impressionante verificare, giorno dopo giorno, che sulla base di un presupposto fondato sul niente, cioè che qualcuno “non poteva non sapere”, si è tenuta la gente in galera per un anno senza raccogliere nulla di nulla. Il tutto per arrivare ad un maxiprocesso che mobilita una marea di gente, in cui la presenza di Scaglia serve a far da richiamo. Anche questa è l’Italia di oggi, un Paese che è pieno di cose da raccontare.
Con una matita ed un computer.
Bastano per sognare e far sognare. Cose di cui abbiamo grande bisogno di questi tempi.
L’avvocato Merluzzi: “Dai PM palesi contraddizioni”
Secondo il legale degli ex dirigenti TIS, Mazzitelli e Comito: “La Procura ha dimostrato un atteggiamento del tutto autoreferenziale. E adesso si sono accorti dell’errore…”
“Autoreferenziali e in palese contraddizione fra loro”. È perentorio il giudizio che l’avvocato Fabrizio Merluzzi, difensore degli ex dirigenti di TIS, Stefano Mazzitelli e Massimo Comito, esprime rispetto alle requisitorie con cui i PM Passaniti e Bombardieri, nella quinta udienza, hanno replicato alle “eccezioni” prodotte dai collegi di difesa, chiedendo al Tribunale di respingerle. “Prendo atto – aggiunge Merluzzi – che una risposta tecnica alle eccezioni non l’abbiamo sentita. Il che la dice lunga”.
La dice lunga su cosa, avv. Merluzzi?
Sul fatto che la Procura ha un atteggiamento autoreferenziale. Nelle requisitorie abbiamo sentito passaggi inaccettabili…
Ad esempio?
I PM hanno detto che siccome la Procura ha lavorato quattro anni, siccome il Tribunale del Riesame gli ha dato ragione, allora in pratica l’udienza preliminare poteva diventare inutile. È come se dicessero: poiché sappiamo di avere ragione, si fa come diciamo noi. Ma allora mi domando: se una Procura pensa di avere ragione e questo fa premio su tutto, che si fanno a fare i processi? A che serve il dibattimento?
Accennava a “palesi contraddizioni”…
Certamente. È stata la dottoressa Passaniti a dire che il giudizio immediato non necessita di una valutazione di merito del GIP il quale, pur non conoscendo il fascicolo prende atto della situazione di custodia cautelare degli accusati e dispone il rito su richiesta delle Procura.
Dunque?
Poi, però, pochi minuti dopo, abbiamo sentito il sostituto Bombardieri sostenere che adesso è il Tribunale che non può valutare la decisione del GIP di concedere l’immediato poiché, mentre il GIP valuta gli atti, il Tribunale non può farlo perché non li conosce. Quindi, in un caso si sostiene che il GIP non entra nel merito, nel secondo che è il Tribunale a non poter entrare nel merito, perché tanto lo ha già fatto il GIP. Se non è una contraddizione… vorrei che qualcuno mi spiegasse se per la Procura il GIP Paolicelli poteva entrare nel merito degli atti o non poteva, perché le abbiamo sentite entrambe.
Quindi?
La verità è che, a seconda delle eccezioni delle difese cui intendevano replicare, i PM hanno detto una cosa e il suo contrario. In palese contraddizione. I PM hanno anche chiesto, in subordine, al Tribunale di separare eventualmente il “delitto fiscale” da quello “associativo”. Che ne pensa? Faccio io una domanda: perché non lo hanno detto prima? Perché, al contrario, hanno agito fin dall’inizio come se i reati non potessero essere scissi e, anzi, proprio su questo, hanno costruito la richiesta di rito immediato, tra l’altro senza disporre dell’“evidenza della prova”?
Ha un’ipotesi?
È evidente. Perché per il reato fiscale erano scaduti i termini, quindi le persone andavano liberate e processate per rito ordinario. Invece, la Procura ha fatto di tutto perché i due reati non venissero separati e gli accusati restassero agli arresti, in quanto erano già agli arresti. Ora si sono resi conto dell’errore…
Ma se adesso il Tribunale decidesse per la separazione?
Si creerebbe una situazione assurda, per la quale si può discutere del mezzo, cioè del reato associativo, ma non del fine, cioè il reato fiscale. Mi spiego meglio: se il fine delle persone era il reato fiscale, il fatto di associarsi diventava il mezzo per raggiungere quel fine. Ma se dovessero essere separati i procedimenti, ci troveremmo nella situazione di non poter discutere del reato fiscale, quindi fare domande, accettare documenti o testimoni relativi al reato fiscale, poiché non costituisce l’oggetto del processo. Ma a quel punto come si potrà discutere del mezzo, cioè del delitto associativo?
Conclusioni?
Questo processo andava fatto con rito ordinario.
“Scaglia: un caso emblematico di giustizia distorta”
Per Raffaello Vignali, già alla guida della Compagnia delle Opere, oggi deputato Pdl: “In Italia c’è un uso eccessivo della limitazione della libertà individuale”. Per questo “la riforma della giustizia è più urgente che mai. Ma prima non dimentichiamo la condizione di chi patisce l’ingiustizia”
“Quello di Silvio Scaglia è un caso emblematico dello stato della giustizia in Italia: non ha senso tenere sotto custodia da oltre dieci mesi una persona senza che sia necessario per lo svolgimento delle indagini. È la prova evidente di quanto sia necessaria ed urgente una riforma che possa ridare più certezza al diritto”. Raffaello Vignali, per anni alla guida della Compagnia delle Opere, oggi vicepresidente della X Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera, interviene così sulla vicenda del fondatore di Fastweb.
“Una vicenda – aggiunge – che rischia di finire nel dimenticatoio anche per l’atteggiamento dei media: grandi titoloni all’avvio delle indagini, poi il silenzio. E nella testa dell’opinione pubblica resta un’immagine semplificata, distorta. A danno della reputazione di un galantuomo. O di un’azienda”.
Ma perché il caso di Scaglia è emblematico?
Innanzitutto per l’uso eccessivo della limitazione della libertà individuale. Non esiste, con tutta evidenza, pericolo di fuga. Non mi sembra, poi, che tenere Scaglia segregato in montagna possa servire alle indagini che, tra l’altro, sono già chiuse. E non credo che si possa sostenere l’ipotesi di una possibile reiterazione del reato. A meno che…
A meno che?
Non si faccia ricorso, come purtroppo avviene troppo spesso nelle aule di giustizia, ad un uso disinvolto della fantasia creativa. Certe volte mi sembra che faccia più leggi la Cassazione che il Parlamento. Il caso Scaglia, insomma, conferma, casomai ve ne fosse ancora bisogno, che occorre fare al più presto una riforma. Nell’interesse generale, mica solo di Berlusconi o di un altro politico. L’essenziale è che, al più presto, sia nell’applicazione della giustizia che dell’attività politica torni ad affermarsi il criterio del bene comune che non può prescindere dal rispetto dei diritti dell’individuo. Silvio Scaglia ha ampiamente motivato l’origine lecita del suo patrimonio fino all’ultimo euro. Ma la cosa, per ora, non ha prodotto alcun effetto. Si ha la sensazione che il successo imprenditoriale sia giudicato comunque un indizio di colpevolezza. È un pregiudizio diffuso, che viene da lontano contro lo stesso concetto di creazione di valore. Il risultato è che l’Italia, il Paese con la maggior imprenditorialità diffusa, è anche quello dove è più difficile fare l’imprenditore. Anche per questo il caso di Scaglia è emblematico: uno come lui, che è diventato ricco ma, di riflesso, ha distribuito ricchezza nella società, si trasforma comunque in un potenziale pericolo pubblico. Non a caso, con questa mentalità, siamo scivolati all’ottantesimo posto nella classifica mondiale della libertà economica, con grave danno per gli investimenti e il lavoro. Anche per questo la riforma della giustizia è più urgente che mai. Ma prima non dimentichiamo la condizione di chi patisce l’ingiustizia.
“Silvio Scaglia? Geniale e stakanovista”
“Lavorare per Silvio Scaglia è stata un’esperienza eccezionale”, dice Emanuela Mandarini, attuale Responsabile Sales Consumer Outbound per l’Area Sud in Fastweb. “Sono in azienda dal 2000 – prosegue –, ma l’ho conosciuto nel 1995 in Vodafone, all’epoca Omnitel. Con lui ritmi di lavoro inimmaginabili, ma quanto orgoglio aziendale!”
Dottoressa Mandarini, il primo incontro professionale con Silvio Scaglia?
È stato a Napoli in occasione di una Sales Convention, una delle sue prime occasioni pubbliche dopo l’ingresso in Omnitel. Abbiamo pranzato allo stesso tavolo ed ebbi modo di ascoltarlo mentre ci raccontava del suo background, in particolare del periodo di consulenza aziendale e la Piaggio. Già da allora ebbi la netta sensazione di essere di fronte ad un personaggio di grande spessore.
Diceva di Omnitel…
La mia esperienza in Omnitel è strettamente dipendente da lui: è pur vero che ci muovevamo in un contesto sociale ed economico di grande favore per un nuovo business TLC, ma senza la sua genialità e senza il suo stakanovismo questo progetto non sarebbe mai riuscito a raggiungere mete così lontane. Scaglia riuscì a dar vita a un ambiente di lavoro giovane, fresco, brillante, dinamico e ricco di opportunità. Ciò che ricordo è quel senso di fierezza e di orgoglio che caratterizzava ognuno nel sentirsi parte di un progetto unico. Dove il contributo di ognuno era determinante.
E in Fastweb?
Quando decisi di lasciare la solidità di Omnitel per Fastweb, confesso che la consapevolezza di entrare a far parte di una nuova avventura guidata da lui fu uno dei pochi motivi che riuscì a convincermi.
Col senno del poi?
L’esperienza di Fastweb è stata incredibile sotto tutti i punti di vista: dalle competenze tecniche acquisite, al modello organizzativo, agli obiettivi. Avevamo ritmi di lavoro inimmaginabili, ricercavamo la perfezione sempre e comunque, sapendo che al vertice c’era una strategia e che a guidarla era Scaglia.
E la vicenda giudiziaria?
Quando è iniziato il calvario la nostra vita è improvvisamente cambiata, abbiamo smesso di dormire serenamente, di lavorare normalmente, di guardare al futuro con lo stesso sentimento di prospettiva. Sono tra quei colleghi che hanno deciso di mettere il proprio volto sulla campagna pubblicitaria che fu lanciata per difendere l’immagine dell’azienda e ciò testimonia quanto potesse essere alto il mio senso di appartenenza all’azienda e di rabbia e di volontà di riscatto. Da febbraio penso spesso al suo incredibile arresto, alla sua posizione di prigioniero senza possibilità di difesa. Ora mi auguro solo che abbia imparato il suo cinese, e che magari quando uscirà da questo incubo vorrà dedicarsi ad una nuova avventura imprenditoriale. E chissà, potervi prendere parte anche io. Posso dire un’ultima cosa?
Prego…
Vorrei che anche la moglie Monica e i suoi figli sentissero tutta la mia solidarietà.
Caro ingegner Scaglia, tanti auguri! E che l’incubo finisca presto
“Vorrei fare gli auguri a Silvio Scaglia, è possibile tramite il blog?”. Certamente, dica… “Allora, tanti auguri di buon Natale e felice anno nuovo all’ingegner Silvio Scaglia e alla sua famiglia, sperando che il suo incubo finisca al più presto”. Chi parla è Alida Greco, attuale HR manager IDC Southern region, ma anche ex assistente del Direttore-rete specialista in organizzazione in Omnitel nel 1995, all’epoca in cui Scaglia ne era l’amministratore delegato
Dottoressa Greco, sono passati 15 anni, il suo ricordo professionale?
Lo confesso, ero molto giovane, non avevo contatti professionali diretti, ma ricordo bene il rispetto che lo circondava. Era il capo ed era molto benvoluto. Di lui si diceva che fosse una persona molto seria, competente e professionale. Però un episodio mi viene in mente…
Cioè?
Ricordo benissimo, come fosse oggi, che il mio ultimo giorno di lavoro in Omnitel, mi chiese dove sarei andata e mi fece gli auguri, mi salutò con il calore proprio di un amico e non, diciamo così, di un amministratore delegato. Era felice per me, davvero una cosa insolita per due livelli professionali così distanti… quelle parole sincere me le ricorderò per tutta la vita.
Quindi…
Quindi, seppure a distanza di così tanto tempo, vorrei ricambiare quel gesto di umanità che ebbe nei miei confronti facendogli oggi tantissimi auguri. Sono convinta che veramente lui non sapesse nulla… della truffa. E che i dieci mesi di custodia cautelare siano davvero un’ingiustizia.
Mario Sechi (Il Tempo): “Liberate Scaglia. Contro di lui metodi barbari”
“Per essere considerato un paese civile, come l’Italia vuole e deve essere, non basta aver giustamente cancellato la pena di morte: occorre anche ripudiare un ricorso alla custodia cautelare che confina con la barbarie”. Mario Sechi, direttore de Il Tempo interviene così sul caso di Silvio Scaglia a pochi giorni dalla ripresa del suo processo nel tribunale della capitale. Un processo che Scaglia, rientrato in Italia il 23 febbraio scorso dopo aver avuto notizia delle indagini che lo riguardavano, affronta in regime di custodia cautelare, agli arresti domiciliari.
“È una situazione abnorme – commenta il direttore del quotidiano romano – Non si è mai visto che un indagato, perseguito con accuse di questa gravità, si sia consegnato spontaneamente e con altrettanta prontezza alla giustizia rientrando dall’estero”. In questo modo, continua Sechi, Scaglia ha ampiamente dimostrato di aver fiducia nel giudizio degli inquirenti. “Eppure quella stessa giustizia ha deciso di non concedergli la possibilità di difendersi in libertà, nonostante che il quadro investigativo ormai appaia chiarissimo”.
È un caso, quello di Silvio Scaglia, da cui emerge un uso delle misure preventive di restrizione della libertà improprio, più strumento di punizione preventiva che mezzo da subordinare alle esigenze di indagine. “Il carcere non aiuta gli uomini a migliorare – attacca il direttore – Scaglia regolerà i suoi conti con la legge secondo quanto previsto dalla legge. Al pari, ha il diritto di difendersi con gli strumenti leciti senza subire, nel frattempo, pene preventive o limitazioni alla libertà che non trovano fondamento in quanto previsto dai codici”.
C’è da sperare, perciò, che il collegio giudicante rimuova al più presto questa macchia che danneggia la reputazione dell’Italia, più che favorire il corso della giustizia: un sistema che permette questi abusi non merita di essere definito civile.
“Al primo posto? C’è sempre il cliente”
Paolo Fontò, attuale Head of Customer Experience in Fastweb, racconta la sua vicenda professionale con Silvio Scaglia, fin dai tempi di Omnitel: “È un manager attento alle persone e attentissimo al merito. E in cima a tutto mette la Customer Care”
“Ho conosciuto Silvio Scaglia ai tempi del suo ingresso in Omnitel nel 1995, dove io stavo già dal novembre del 1994. Poi, avendolo seguito in Fastweb, ho lavorato in aziende dirette o amministrate da lui fino al 2006”. Chi parla è Paolo Fontò, attuale Head of Customer Experience in Fastweb. Un mestiere non facile, come sa bene ogni uomo d’azienda, per il quale prodotti e servizi non sono mai sufficienti se ad accompagnarli non c’è anche la “soddisfazione del cliente”.
Le hai trascorso quasi 12 anni di vicinanza professionale con l’ing. Scaglia, non sono pochi…
Quel che posso testimoniare di tutti quegli anni è che Silvio Scaglia, dal punto di vista professionale, è sempre stato molto attento alle persone e attentissimo al merito. Anche umanamente si può dire solo del bene. Ad esempio, in Omnitel, pur essendoci molta distanza tra me e lui in organigramma, era sempre molto cortese: una volta che passavo dal piano della direzione generale e stavo parlando con la sua assistente, è uscito dal suo ufficio per salutarmi. Non è da tutti.
Un bel ricordo professionale…
Il ricordo più bello risale ai primi tempi di Fastweb: il mio responsabile di allora mi riferì che Scaglia, in una cena di personaggi importanti, si sentì dire da un commensale: “Ho chiamato il servizio clienti verso le 2 di notte chiedendo se avevano la sveglia telefonica. L’operatore mi ha risposto di no, ma che se volevo mi avrebbe chiamato lui all’orario desiderato. Perplesso, gli ho comunicato l’orario e, con mia somma sorpresa, alle 7 del mattino mi ha svegliato”. Devo precisare che l’operatore di Customer Care lo fece di sua iniziativa, non era obbligato, ma Scaglia ne fu felice. Del resto è sempre stato così…
Cioè?
Quando sono entrato in Fastweb per occuparmi del Servizio Clienti, ricordo bene che fu proprio Scaglia a darci le linee guida, spiegandoci quanto ritenesse importante avere un’eccellente assistenza al cliente e quanto considerasse importante il lavoro dell’operatore di Customer Care, compreso il fatto che questa professionalità dovesse essere premiata e valorizzata. Cosa che gli ho sempre visto fare.
Dunque?
Era nel suo stile comunicarci grande soddisfazione quando riceveva dei complimenti sull’assistenza, ma anche rendere noto il suo disappunto quando arrivavano dei reclami.
Cosa pensa della vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto?
Rispetto le accuse che gli vengono mosse, penso che siano quanto di più lontano possibile dalla persona che ho conosciuto, quanto di più inconciliabile con la sua storia e il suo percorso. Ho sempre pensato che tutto verrà chiarito, ma sono sorpreso e dispiaciuto dai tempi necessari affinché ciò accada.
“Ci vediamo domani? Ma no Silvio… è Natale!”
Il ricordo professionale in Piaggio di Ugo Lanfranchi, attuale ad di Ilpea Messico: “Eravamo così entusiasti che ci demmo appuntamento per il 25 dicembre. Solo dopo ci rendemmo conto che era vacanza”
Ugo Lanfranchi è attualmente amministratore delegato di Ilpea Messico, società leader nella lavorazione di materie plastiche, con sede principale a Malgesso, in provincia di Varese. Ai tempi in cui ha lavorato con Silvio era il residente Piaggio in India, con base a New Delhi.
Dottor Lanfranchi, quando ha conosciuto Silvio Scaglia?
Ho conosciuto per la prima volta Silvio in India, a New Delhi, quando la Piaggio intendeva sviluppare quel mercato, ed in particolare la joint venture che aveva con un fabbricante locale. In quel periodo, stiamo parlando del 1993-1994, ero ancora il “Residente Fiat” in India, ma di lì a poco passai da Fiat a Piaggio.
A cosa lavoravate?
Ho lavorato con Silvio allo sviluppo del mercato indiano, al miglioramento della joint venture indiana e al trasferimento di tecnologia per nuovi modelli di scooter adatti a quel mercato. Dal punto di vista professionale mi è sembrato estremamente preparato, decisamente innovativo e molto serio.
Quale ricordo, non solo professionale?
Silvio era molto carismatico, piena di energia, con una ottima capacità di sintesi, sempre disponibile e acuto nelle sue osservazioni. Riusciva a trascinarti: si figuri che una volta mi ha chiamato al telefono il 24 dicembre. Eravamo così presi dal lavoro e dall’entusiasmo che non solo ci dimenticammo di farci gli auguri di Natale, ma alla conclusione della telefonata ci siamo detti: “a domani!”, scordandoci che l’indomani era il giorno di Natale!
Come valuta quanto gli è accaduto in relazione alla vicenda giudiziaria e alle accuse che gli vengono mosse?
Sono all’estero da tanto tempo e non ho potuto seguire da vicino tutta la faccenda. Secondo me ha avuto troppo successo e ha dato fastidio a qualcuno… C’é una considerazione molto semplice da fare: Silvio è tornato in aereo in Italia per farsi arrestare: se non avesse avuto la coscienza a posto oppure non avesse avuto fiducia nel sistema giudiziario italiano sarebbe ancora all’estero, a piede libero e la faccenda la seguirebbero i suoi avvocati. Invece…
Invece?
La sua serietà ed evidentemente la sua coscienza limpida gli hanno imposto di rientrare, al più presto. Mi faccia dire al blog che la mia famiglia ed io lo aspettiamo in Toscana per una chianina, non appena si risolve tutto.
“Quella volta che Scaglia convinse i cinesi”
Daniela Ferretti, in Piaggio sotto la guida di Giovannino Agnelli, racconta al blog del suo incontro professionale con Silvio Scaglia. E di come col “suo rigore morale” riusciva ad ottenere risultati manageriali, perfino a costo di apparire “sconfitto”
È lo stesso Silvio Scaglia, in un libro scritto da Giancarlo Mazzuca – I signori di Internet: la via italiana alla new economy –, a descrivere i suoi anni in Piaggio, quando dal 1993 al 1995 Giovannino Agnelli gli offrì la direzione internazionale del gruppo: “Diventai una specie di pendolare di lusso, girai il mondo e soprattutto feci tappa in Cina, India, Indonesia e Sudamerica. In seguito misi su casa a Singapore, che diventò la base di tutte le operazioni estere della Piaggio”. A distanza di anni è Daniela Ferretti, a quell’epoca in Piaggio, sotto la guida di Giovannino Agnelli, a raccontare un episodio della vita professionale del fondatore di Fastweb. “Ho incontrato Silvio Scaglia per la prima volta in Piaggio – dice – quando affiancava il dott. Giovanni Agnelli nelle trattative con la Bajaj indiana per una possibile ripresa dei rapporti fra le due società, rapporti che si erano interrotti anni prima per ragioni governative indiane”.
Il suo incontro professionale?
Scaglia, dopo la sua avventura con Giovannino Agnelli in Spagna, al suo rientro in Italia fu nominato direttore della divisione presso la quale lavoravo. Purtroppo non ho potuto collaborare direttamente con Scaglia a lungo, ma ricordo molto bene, e desidero portare questa testimonianza, del suo rigore morale e della correttezza del suo comportamento in affari.
Ad esempio?
In quel periodo erano in corso trattative con la Cina per un progetto di industrializzazione. L’ingegner Scaglia, a capo della delegazione in visita nella People Republic of China, dopo una serie di trattative estenuanti, dichiarò alla controparte che preferiva chiudere le trattative in quanto i costi di produzione Piaggio non consentivano di accettare il prezzo richiesto dalla controparte. Ci raccontava che la sera in hotel con i suoi collaboratori si sentiva sconfitto, ma sentiva anche che onestamente aveva concesso tutto quello che poteva essere concesso.
Ebbene?
L’indomani la delegazione Piaggio sarebbe rientrata in Italia. Ma a tarda sera Scaglia ricevette una telefonata dal capo delegazione cinese il quale lo informava che la controparte accettava le sue condizioni ed era pronta a firmare l’accordo. Gli disse che erano stati colpiti dalla fermezza e dalla trasparenza della sua condotta. Questo episodio mi é rimasto nella mente, perché non era certamente facile ammettere di aver fallito le trattative; chiunque avrebbe fatto carte false per ottenere il contratto.
Ma non fece carte false…
Al contrario, per quanto ho avuto modo di conoscere Scaglia non ritengo possibile che il suo rigore morale gli abbia permesso di macchiarsi delle colpe di cui é accusato e gli auguro con tutto il cuore che trovi il modo per dimostrare la sua innocenza.