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Un caso di ordinaria ingiustizia
Rita Bernardini, già segretaria di Radicali italiani, ora deputata della delegazione Radicale nel PD, è stata la prima a visitare a Rebibbia, a fine febbraio, Silvio Scaglia. Molto attiva sul fronte del problema “giustizia” e delle condizioni delle carceri italiane, coglie l’occasione della scarcerazione del fondatore di Fastweb per ricordare che quello di Scaglia non è un caso anomalo ma espressione di “ordinaria ingiustizia”.
Intanto un commento alla vicenda di Silvio Scaglia, alla sua prolungata carcerazione preventiva. Che idea si è fatta?
Confermo l’idea che, come radicali, abbiamo sempre avuto sulla carcerazione preventiva, una misura che dovrebbe essere disposta solo in casi eccezionali e per brevissimi periodi. Invece, in Italia, se ne fa un uso abnorme, basti pensare che i detenuti in attesa di giudizio sono quasi il 50% e che circa il 30% di loro sarà riconosciuto innocente. Questo ci dicono le statistiche degli anni passati. In pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose e illegali, come quelle che ho potuto riscontrare nel reparto isolamento di Rebibbia dove è stato ristretto Silvio Scaglia. Ma qui occorrerebbe conoscere un po’ di storia recente del nostro Paese, ignota alla gran parte degli italiani. Mi riferisco alla vera e propria opera di “killeraggio” compiuta dalla Corte Costituzionale nei confronti dei nostri referendum: nel 1999, quando come radicali vendemmo buona parte del nostro patrimonio per convocare gli elettori italiani ad esprimersi su temi cruciali, fra i referendum “bocciati” dalla Consulta c’era proprio quello contro la carcerazione preventiva. Oggi, in parlamento, giace una proposta di legge depositata dalla delegazione radicale e a gennaio di quest’anno siamo riusciti a far approvare una mozione sulle carceri che ”impegna il Governo a ridurre i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell’applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell’articolo 280 del codice di procedura penale”.
Cosa pensa di chi dice che la carcerazione preventiva è diventato uno strumento di pressione per far confessare (anche se non hai nulla da confessare) o addirittura uno “strumento di tortura”?
E’ che, purtroppo, ci sono troppi magistrati che cercano la via facile e comoda, quella piena di scorciatoie rispetto ad un impegno scrupoloso e intelligente di indagine. In più, si innamorano dei loro teoremi e poi cercano le prove, senza farsi scrupolo di chi capita nel loro tritacarne… e forse nemmeno si rendono conto che quella che maciullano giorno dopo giorno è carne umana. Solo nelle dittature la carcerazione preventiva viene utilizzata come strumento per estorcere confessioni. Da noi il legislatore ha stabilito chiaramente il principio della eccezionalità degli arresti nella fase delle indagini, eppure questi sono diventati la regola. Solo per fare un esempio: il nostro codice di procedura penale rende quasi impossibile il carcere preventivo per le persone anziane e malate, eppure nelle carceri italiane si trovano rinchiuse in attesa del processo anche persone ultrasettantenni e più volte finite in sala operatoria. Insomma, quanto più la legge fa del suo meglio per garantire i diritti individuali, tanto più alcuni magistrati fanno del loro peggio per comprometterli. Il ricorso abnorme ed illegittimo alla custodia cautelare in carcere è la spia della mancanza dello Stato di Diritto o, meglio, di quello che come radicali abbiamo definito “Caso Italia”.
Quanti casi di “abuso” della carcerazione preventiva?
Le sembrano degni di un paese civile i dati che ho ricordato in esordio? Decine di migliaia di persone che scontano anni di galera prima di essere riconosciuti innocenti! Il problema è che un tempo la carcerazione preventiva veniva giustamente definita “la lebbra del processo penale”, mentre oggi viene presentata da certa magistratura, certa politica e certa carta stampata, come la soluzione di tutti i mali. Ed i risultati si vedono.
Cosa si può fare oltre alla denuncia?
Sa cosa ho dovuto fare per far approvare quella mozione sulle carceri a gennaio? 14 giorni di sciopero della fame a dicembre solo per farla mettere in calendario; dopo l’approvazione avvenuta a gennaio, ho fatto, insieme ad altri radicali come me, ulteriori 19 giorni per chiederne l’attuazione almeno nelle parti riguardanti le misure alternative al carcere, visto che la sovrappopolazione ha raggiunto livelli umanamente insopportabili: 68.000 detenuti in 43.000 posti letto! E, solo dopo che il ministro Alfano ha depositato il DDL che consentiva la detenzione domiciliare a chi doveva scontare meno di 12 mesi, oltre all’introduzione dell’istituto della messa alla prova anche per gli adulti, ho sospeso la mia astensione dal cibo che però mi sono sentita in dovere riprendere per ben 28 giorni di fronte alla demagogia di tutti i gruppi parlamentari che hanno fatto a gara a chi era più bravo a svuotare il DDL dei suoi contenuti più innovativi. Viviamo così noi radicali con successi e battute d’arresto ma, con Marco Pannella, siamo convinti che, alla lunga, la nonviolenza paga come quando, dopo 10 anni, abbiamo vinto all’Onu sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Che succede nelle carceri italiane?
Accade che sono letteralmente anti-costituzionali e illegali. Uno Stato che si comporta così per decenni diviene inesorabilmente un delinquente “professionale”. Dall’inizio della legislatura abbiamo visitato oltre 70 istituti di reclusione e case circondariali. Con i nostri occhi abbiamo potuto vedere la sofferenza di tutta la comunità penitenziaria, non solo dei detenuti ma anche di tutto il personale che vi lavora. E’ un sistema impazzito che sta per esplodere. Se arriveremo all’estate con 70.000 detenuti, è prevedibile che ulteriori e ingovernabili tragedie si consumeranno non possiamo prevedere con quali esisti. Solo una classe politica irresponsabile può prendersi il lusso di non intervenire subito. Mi consenta di concludere con quello che considero un dato di fatto: in fondo il carcere è l’ultimo anello di una Giustizia che di giusto non ha niente se pensiamo che ci sono 10 milioni e mezzo di processi penali e civili pendenti e che in dieci anni, solo nel penale, abbiamo dovuto registrare due milioni di prescrizioni. Altro che “obbligatorietà dell’azione penale”! I magistrati si scelgono i processi da celebrare e lasciano cadere nel nulla quelli che non danno loro la ricercata pubblicità mediatica. Fanno questo essendo dei semplici impiegati dello Stato che hanno vinto un concorso e che automaticamente hanno i loro scatti di carriera sia che abbiano agito meritoriamente sia che siano stati delle emerite schiappe. Il tutto condito con una irresponsabilità pressoché totale.. infatti, se sbagliano, paga lo Stato, cioè pagano i cittadini.
Giuseppe Turani: “A Scaglia? Bisognerebbe dargli una laurea honoris causa”
Anche Giuseppe Turani, firma illustre del giornalismo economico in Italia e grande esperto e appassionato di nuove tecnologie, risponde volentieri alle domande del blog silvioscaglia.it sulla vicenda giudiziaria che ha colpito il fondatore di Fastweb: “Conosco Silvio Scaglia da moltissimi anni. Mi è sempre sembrato una persona per bene. E ne ho avuto larga conferma con il fatto che ha attraversato mezzo pianeta per presentarsi spontaneamente dai giudici, pur sapendo che sarebbe finito direttamente in carcere”.
“Non ho mai sentito – sottolinea ancora il direttore di Uomini & Business – (a differenza di quanto è accaduto con altri personaggi) storie sul suo conto. Silvio Scaglia è un tecnico e un manager di grande qualità, che in Italia ha avuto il merito, con Fastweb, di lanciare una tecnologia (la fibra ottica) che adesso, a distanza di anni, si sta rivelando vincente e che diventerà, di fatto, il “modello” per le future telecomunicazioni. In sostanza, a Silvio Scaglia avrebbero dovuto dare qualche premio, qualche laurea honoris causa. Invece, se ne sta da mesi chiuso in carcere senza motivo. Sta lì perché gli inquirenti sperano che si stufi e che si decida a dire quello che loro vogliono sentirsi dire”.
Insomma, conclude infine Giuseppe Turani “Non è una bella storia italiana, e non è una bella pagina della giustizia italiana”.
Stefania Craxi intervistata da silvioscaglia.it
“Ho trovato un uomo sereno, anche se provato da un’esperienza indegna di un Paese civile . Un uomo che non sa spiegarsi una prova che ha varcato i confini dell’assurdo”. Il sottosegretario Stefania Craxi è una dei parlamentari che, negli ultimi giorni, hanno fatto visita nel carcere di Rebibbia a Silvio Scaglia.
Lei, onorevole, parla di assurdo. Ma davvero non c’è un metodo dietro quest’apparente assurdità?
“C’è senz’altro un uso indiscriminato della carcerazione preventiva. E’ evidente che non esiste una ragione giuridica per il protrarsi della detenzione di Scaglia. L’eventuale volontà di fuga è smentita alla radice dal fatto che lui è tornato dall’estero per consegnarsi alla giustizia. Lo stesso vale per l’inquinamento delle prove, visto che si sta parlando di presunti reati consumati almeno tre anni fa. Così come non esiste il rischio di reiterazione del reato, visto che Scaglia non ricopre più cariche nelle società interessate…”
Perciò…
“Perciò è evidente che si stanno rispolverando i metodi dell’Inquisizione del ‘600, quando ogni mezzo era buono per far confessare ad un inquisito di aver visto il diavolo. Ecco, non si è ancora capito che cosa debba confessare Scaglia per essere lasciato libero”.
Una situazione anomala…
“Mica tanto vista la condizione della giustizia italiana, Non dimentichiamo che l’Italia è largamente in testa nella classifica per la violazione dei diritti dell’uomo secondo i verdetti della corte di Strasburgo: 2000 condanne contro l e 200 della Francia che figura al secondo posto”.
Una patologia di sistema, dunque.
“Senz’altro. Ma che non è eguale per tutti: si continuano ad usare due pesi e due misure. Anche oggi, come ai tempi di Mani Pulite, c’è una parte della classe dirigente che gode dei favori della magistratura. E ci sono, al contrario, cittadini che vengono punti con la galera perché giudicati non sufficientemente collaborativi. Contro questa situazione ben venga la denuncia delle persone libere: guai se, per paura, viene meno il sostegno a chi si trova a subire il trattamento riservato a Silvio Scaglia”.
‘Tremendo e incomprensibile’: Debenedetti intervistato da silvioscaglia.it
Senatore Debenedetti, sono passati 73 giorni dalla carcerazione di Silvio Scaglia. Che sentimenti prova di fronte a quest’uso della carcerazione preventiva?
“Di essere di fronte a qualcosa che è tremendo e incomprensibile. Tremendo per il senso comune e incomprensibile anche per il giudizio appena un po’ informato. E questo produce un sentimento di paura”.
Franco Debenedetti, manager di lungo corso che alle spalle ha tre legislature in Senato (prima con il pds poi nelle fila del pd) è stato tra i primi, fin dal 28 Marzo sul Sole 24 Ore, a sollevare il problema del trattamento giudiziario che sta subendo Scaglia. Ma le domande da lui sollevate sono rimaste senza risposta.
“Non si capisce perché lo tengano dentro. Non c’è pericolo di fuga: era in Brasile ed è rientrato volontariamente. Non può reiterare il reato: da anni non ha alcun incarico aziendale in Fastweb. Non può inquinare le prove, dato che dopo tanti mesi le prove documentali dovrebbero averle raccolte tutte. Non può subornare i testi, le cui deposizioni sono già state raccolte.”
Senatore, buona parte di queste domande erano presenti nel suo intervento di marzo. Ha avuto qualche risposta?
“Nessuna. Capisco che a me non sia dovuta: ma è un bene lasciare l’opinione pubblica in tale sconcerto? La sola spiegazione aggiuntiva di cui ho letto è che Scaglia deve restare in galera perché “non mostrerebbe segni di pentimento”. Si stenta a crederci: viviamo in uno Stato laico, in cui vale il diritto, o siamo ritornati all’Inquisizione, in cui si chiede l’abiura, e per averla si ricorre alla tortura?”.
E’ un tema, insomma, che va al di là della solidarietà umana per un presunto reo.
“Certo: se il diritto di Scaglia appare leso, leso lo è con certezza il nostro, quello di ciascuno di noi. Perché noi abbiamo il diritto di poter credere che la giustizia ci protegge. Quando non capiamo, quando abbiamo ragioni così forti di dubitarne, nasce la diffidenza, la paura di cui dicevo all’inizio. Mi domando se ci si renda conto di quanto questo sia grave”.
Silvio Scaglia? Negli Usa sarebbe stato libero
“Silvio Scaglia? Negli Usa sarebbe stato doppiamente libero: niente carcere e nemmeno grane giudiziarie”.
Alessandro Bernasconi, docente di diritto penale processuale all’Università degli Studi di Brescia non ama le generalizzazioni, soprattutto in materia di diritto. Ma sta di fatto che negli Stati Uniti difficilmente un pubblico ministero si sarebbe preso la briga di riaprire un’inchiesta infruttuosa, già archiviata una volta. E se anche lo avesse fatto, tempo una settimana e Silvio Scaglia sarebbe tornato a casa.
Professore, la giustizia americana come si sarebbe comportata con Silvio Scaglia?
“La discrezionalità dell’azione penale nel sistema di common law è molto forte e la cosiddetta double jeopardy impedisce a un magistrato di perseguire una persona più volte per lo stesso reato con garanzie più forti rispetto al principio del “no bis in idem” del sistema italiano. Difficilmente dopo una prima archiviazione, l’inchiesta sarebbe stata riaperta”.
E se qualcuno avesse voluto insistere?
L’attività inquirente negli Usa è spesso il primo gradino della carriera politica e ben pochi avrebbero perso tempo su un fascicolo già istruito e chiuso. Se poi fosse successo, magari sarebbe anche scattato l’arresto ma la detenzione non sarebbe stata certamente così lunga.
Ovvero?
Se l’arrestato si mette a disposizione dei giudici e offre ampie giustificazioni, viene subito scarcerato. Se non le offre, scatta la libertà su cauzione. Un istituto non riservato ai ricchi ma accessibile a tutti grazie all’esistenza di adeguati sistemi assicurativi. Difficilmente poi si sarebbe arrivati a un processo: negli Usa il patteggiamento e l’abitudine a cercare un accordo tra le parti è molto forte.
Torniamo in Europa: il caso Scaglia in Gran Bretagna…
Il sistema britannico è simile a quello americano, intriso di discrezionalità, e la prima archiviazione avrebbe seriamente ipotecato la possibilità di una nuova inchiesta. Detto questo, se il magistrato ritiene un fatto grave può anche chiedere la custodia cautelare, ma producendo prove inequivocabili di reato.
Quanto dura?
Le prove vengono esaminate da un giudice entro due o tre giorni e un gran peso nella decisione assume la pericolosità sociale del soggetto. Certamente il sistema giurisprudenziale non consente abusi: la giurisprudenza consolidata bloccherebbe qualsiasi detenzione prolungata finalizzata ad ottenere una confessione, ma … C’è anche un ma..
Quale?
Questi distinguo vanno fatti cum grano salis. Ogni caso è diverso, ha le sue sfumature. Non si possono fare paralleli semplicistici tra i vari sistemi giuridici. Pensiamo ad esempio agli abusi di carcerazione in Inghilterra negli anni ’70, per contrastare il terrorismo nordirlandese. Molto peggio dell’Italia negli anni del terrore.
Facciamo un salto nel continente. In Francia e Germania Scaglia sarebbe ancora in carcere?
I sistemi giudiziari “continentali” sono simili e tedeschi e francesi si avvicinano molto a noi nell’accesso e nell’uso della custodia cautelare. Il punto è capire se i “cugini” sarebbero davvero arrivati all’arresto.
Quali sono le sfumature?
In Francia esiste infatti l’ “opportunità di perseguire” e la magistratura dipende dal ministero della giustizia, quindi da un responsabile politico. In Germania esiste la discrezionalità soltanto per i cosiddetti reati “bagatellari” e manca la figura del pubblico ministero professionale perché a esercitare l’azione penale sono i funzionari di polizia. Che dire, dipende. Certamente, le possibilità di bloccare una seconda indagine dopo l’archiviazione della prima sono molto più forti che in Italia.
Intervista di silvioscaglia.it a Pier Luigi Celli
“Silvio è sempre stato rigoroso in una maniera quasi calvinista. Non si è mai permesso nulla che non fosse ampiamente entro le regole. Faccio fatica anche solo ad immaginare un comportamento men che corretto da parte di Scaglia. Figuriamoci una condotta delittuosa”. Parla così Pierluigi Celli, oggi direttore generale della Luiss, una lunga carriera di top manager nell’industria e nella finanza. L’uomo che, ai tempi dell’inizio dell’avventura di Omnitel, assunse Silvio Scaglia.
Dottor Celli, oggi Silvio Scaglia festeggia, per modo di dire, i 67 giorni di carcerazione preventiva. Al di là del merito dell’inchiesta, che sentimenti si possono provare di fronte a questi metodi di indagine?
“E’ una situazione inaccettabile. Al di là del merito dell’inchiesta, su cui ho la mia opinione personale, credo che una carcerazione così lunga sia del tutto incomprensibile. Silvio Scaglia non è un criminale, ma un cittadino che era all’estero e poteva restarci ma ha voluto rientrare al più presto in Italia per collaborare con i magistrati, come un cittadino perbene. Invece gli è stato inflitto un tormento senza senso”.
Un tormento che viola i diritti costituzionali. Anzi gli stessi diritti umani, non crede?
“E’ un sistema che non capisco. Se hai elementi per provare la colpevolezza di un imputato lo processi e lo condanni. Ma non si può tenere un essere umano in galera, qualunque cosa abbia fatto, nella speranza che prima o poi confessi. Questo sul piano dei principi perché, per quel che vale, io su Silvio un’idea ce l’ho: ripeto, non riesco a concepire un suo gesto men che rispettoso delle regole”.
Nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sottolineato che ci vuole” equilibrio e misura” quando si esercita la funzione di magistrato. Forse nel caso Scaglia le cose non sono andate così.
“E’ senz’altro difficile dare un giudizio sulla magistratura. E’ un compito delicato e difficile quello di dar giustizia. Ma io credo che si debba tener conto dell’equità quando si cerca di amministrare la giustizia. Perché ciò che non è equo non può esser giusto. Ecco, mi è difficile capire, pur con tutto il rispetto, l’atteggiamento tenuto nei confronti di Scaglia. Anzi, temo che questi comportamenti non giovino a valorizzare il ruolo essenziale della magistratura. Io non faccio parte della schiera di chi, per partito preso, ce l’ha con i giudici. Anzi, ho sempre pensato che occorre agevolare, in ogni modo, l’operato dei magistrati. Ma questa vicenda, lo confesso, mi mette in difficoltà”.
Perché, secondo Lei, in Italia non si riesce a trovare un equilibrio tra le esigenze degli inquirenti e le legittime garanzie degli inquisiti. Perché non si trova quell’equilibrio auspicato da Napolitano?
“Perché la magistratura, in mezzo allo sfacelo in cui viviamo, ha dovuto effettuare un lavoro di supplenza. Ma a forza di fare i supplenti si corre il rischio di sentirsi i salvatori della patria. Ma il Paese non ha bisogo di salvatori, bensì di gente che si limiti a far e bene il proprio mestiere”
Che impatto, secondo lei, ha avuto all’estero il caso Scaglia?
“La gente che conosce Silvio è rimasta stupita, attonita, incredula. Molti mi hanno telefonato. E tutti sono indignati, al di là del merito delle accuse, per il modo in cui è stato trattato: Silvio è un imprenditore che ha creato, non distrutto, tanta ricchezza. E che anche in questo caso ha agito con correttezza mettendosi a disposizione dei magistrati. Anche solo per questo dovrebbe meritare rispetto”.
A giudicare dal tono di certi interventi, soprattutto nei primi giorni, sembra al contrario che si volesse punire la sua fortuna imprenditoriale.
“Ognuno di noi si confronta con i vizi capitali. Io dico sempre che è meglio frequentare quelli che ti fanno star meglio, sul piano del piacere. Invece, in Italia sono più diffusi la gelosia e l’invidia, cioè quelli che ti fanno star peggio”.
E’ un Paese in cui la voce dei garantisti è debole e di corta durata. Dopo il clamore dei primi giorni è scesa una sorta di cortina del silenzio. Eppure la durata della carcerazione di Scaglia grida vendetta ogni giorno che passa. O no?
“L’Italia è un Paese dalla memoria cortissima, dove ci si acquieta facilmente in quello che più conviene. Non esistono indignati permanenti. Ma c’è anche un’altra spiegazione”.
Quale?
“Si può pensare che più si lascia sotto traccia la propria indignazione, meno si indispettisce chi deve decidere”.
Ma non ha funzionato.
“No, purtroppo non ha funzionato. Il caso Scaglia è uno scandalo e va sottolineato perché non si ripetano più queste cose. Ci sono limiti che vanno salvaguardati per il bene di tutti”
E allora
“Allora questo accanimento terapeutico contro Silvio deve cessare”.