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Fattore Umano | Mario Rossetti: «È stato un esercizio si sopravvivenza»
Ad un mese dalla scarcerazione, l’ex direttore finanziario di Fastweb racconta al blog la sua esperienza di detenuto: «Cerchi di pensare a quello che hai e nessuno ti può togliere, come la tua famiglia». E aggiunge: «Grazie di cuore a tutti coloro che mi sono stati vicini e solidali»
Dottor Rossetti, un mese dopo la “libertà ritrovata” il primo pensiero che viene in mente?
Il primo è un grazie di cuore a tutte le persone che sono state vicine a me e alla mia famiglia, che hanno manifestato ed espresso la loro solidarietà. In particolare mi ha sorpreso positivamente la vicinanza di chi fa un mestiere simile al mio e che ha compreso meglio di altri cosa sia successo e ha declinato sulla propria situazione personale quello che mi è successo. Poi, visto che me lo chiede oggi pomeriggio, ci sono poche cose belle come una passeggiata con i bambini al parco, in una giornata di sole.
Che segni lascia un’esperienza del genere?
Sono stato detenuto esattamente un anno e un giorno: un anno di isolamento e solitudine. A suo modo, è stato anche un viaggio interiore e di approfondimento. Di sicuro un esercizio di sopravvivenza: spesso era difficile non pensare alla violenza che veniva fatta a me e alla mia famiglia, ma più ci pensi più rischi di perdere la testa. Ecco perché devi riuscire a volgere la tua mente verso immagini positive, verso quello che hai e nessuno ti può togliere, come la tua famiglia. Il problema è che anche la famiglia finisce sotto stress. Ad esempio, si pensa comunemente che passare dal carcere ai domiciliari sia quasi la fine di ogni problema. Certo che il carcere è orrendo, ma la verità è che a finire ai domiciliari è tutta la tua famiglia, il tuo stato detentivo si trasmette a tutti loro. I miei figli, ad esempio, hanno dovuto aspettare 4 mesi perché un amichetto potesse venirli a trovare. E solo dopo una formale istanza al Tribunale è potuto accadere. Inoltre, l’aver ancora oggi sequestrati tutti i beni miei e di mia moglie ha creato una difficoltà ulteriore nell’affrontare i problemi della vita quotidiana. E oggi la libertà sicuramente mi permette di affrontare personalmente queste situazioni ma l’esercizio di sopravvivenza ancora… continua!
Insomma, si è ristretti in tutti i sensi…
Non voglio fare filosofia ma gli essere umani sono relazione: gli arresti sottraggono questa dimensione fondamentale.
Qualcosa di positivo, se non è azzardato chiederlo…
Beh, ho vissuto un anno senza usare Blackberry e telefono! Battute a parte, una cosa bella è successa: da uomo professionalmente molto impegnato non ho mai dedicato molte ore ai figli. In questo dramma, lo confesso, ho scoperto il piacere di trascorrere molte ore con loro. Ho tre figli di 11, 10 e 3 anni. Quello più piccolo si è così abituato a tornare a casa alle 4 di pomeriggio e avere il papà a sua disposizione che adesso un po’ comincia a lamentarsi…
Come si fa a spiegare a tre figli piccoli che sei innocente, che è tutto uno sbaglio giudiziario?
È questa la cosa terribile: se sono grandi capiscono da soli, ti puoi confrontare, spiegare, con tre figli piccoli è un doppio trauma. Con mia moglie si è deciso di non farli venire in carcere per non metterli in contatto con una realtà disastrosa. Sono riuscito a telefonare a casa solo dopo 2 mesi dal mio arresto.
Diceva delle carceri…
Sono un luogo perfino difficile a raccontarsi, dove le sigarette sono la moneta di scambio comune e avere pillole per dormire è come tenere un lingotto in tasca. Cose che sono perfino difficili da credere. Attualmente nelle carceri italiane ci sono circa 68mila detenuti in uno spazio che ne può contenere al massimo 43mila. C’è una situazione indescrivibile dove la dignità dell’essere umano non viene rispettata. La cosa peggiore del carcere è che il tempo diventa “circolare”, tutto si ripete uguale al giorno prima, non c’è nulla che cambi la routine di giornate vuote ed inutili. Ovviamente, non dipende da chi le carceri le gestisce, è il sistema che è insensato e che va ripensato: al di là di costruire nuove carceri e aumentare i posti “letto” bisogna ragionare su come il carcere possa effettivamente svolgere il suo ruolo rieducativo per il reinserimento nella società civile. Per questo in futuro vorrei impegnarmi su questi temi, cercando contatti con chi lo fa già. I penitenziari italiani sono zeppi di giovani detenuti “recuperabili”, gente che magari ha sbagliato ma vorrebbe ricominciare, imparare un mestiere che non ha, darsi un futuro. Magari iniziando da un nuovo lavoro proprio in carcere. E su questo che mi piacerebbe dare un mio contributo.
Panorama Economy: “Non poteva sapere”
Sul supplemento di Panorama, diretto da Giorgio Mulè, un’ampia intervista a Sophie Nicolas Rossetti, moglie dell’ex direttore finanziario di Fastweb arrestato dieci mesi fa, che racconta l’odissea giudiziaria della sua famiglia: “La nostra vita è stata stravolta ed è venuta meno ogni certezza”. Ma ora confida che in aula si possa fare “chiarezza” sull’innocenza del marito
«È cambiato tutto, è un’esperienza che ci ha stravolto la vita. Di colpo, da una mattina all’altra, abbiamo perso tutti i nostri punti di riferimento». Parla così Sophie Nicolas Rossetti, moglie di Mario Rossetti, l’ex direttore finanziario di Fastweb finito nella “retata” dei manager della compagnia di tlc che secondo l’accusa dei PM “non potevano non sapere” delle truffe sotterranee organizzate anche con la complicità di alcuni dipendenti infedeli interni all’azienda. «Certo» – prosegue Sophie Nicolas – «adesso a distanza di mesi, posso anche dire che gli arresti domiciliari sono sicuramente meglio della carcerazione, ma restano sempre arresti, dove la privazione della libertà incide sulla vita di tutta la famiglia: nessuno può venirci a trovare e solo da pochi giorni abbiamo l’autorizzazione a ricevere i bambini amici dei miei figli di 10, 9 e 3 anni. Poi mio marito da oltre sei mesi non può neanche uscire per una passeggiata, non ha nemmeno l’ora d’aria, e può comunicare solamente via lettera; personalmente, oltre alla quotidianità della famiglia, sto gestendo anche tutti gli aspetti legati all’inchiesta e, non ultimo, quello del sequestro dei beni che abbiamo subito. Questo perché, come misura preventiva, tutti i nostri averi famigliari sono stati sottoposti a custodia giudiziaria. Lo ripeto: la nostra vita è stata stravolta da un giorno all’altro, venendo meno ogni tipo di certezza».
I suoi figli le hanno fatto domande difficili sulla situazione del loro papà?
Ai due più grandi, pochi giorni dopo l’arresto di mio marito, quando ho capito che i tempi sarebbero stati lunghi, ho raccontato che il loro papà stava collaborando con i poliziotti per risolvere un grosso furto avvenuto qualche anno prima in Fastweb dove lavorava. Lui doveva quindi stare in caserma per aiutare il buon esito dell’inchiesta, e poi sarebbe tornato a casa. Così quando tornato ai “domiciliari”, dopo oltre tre mesi, i miei bambini erano pronti. Anche adesso continuano ad avere fiducia in quello che diciamo loro; sono quindi sereni e hanno sempre mantenuto, con grandi sacrifici da parte mia, la loro vita di scuola, sport e amici. Devo ringraziare la scuola Europa perché spontaneamente ha creato una rete di supporto sia nei confronti dei bambini che mia personale. Certo che vedere il loro papà sempre a casa ha fatto sorgere domande anche difficili su cosa stia succedendo. E quindi abbiamo dovuto parlare di giustizia, del rapporto fra lo stato, la comunità’ e il cittadino: i bambini oggi sono molto svegli e vogliono capire quello che succede intorno a loro; la famiglia e la scuola sono i luoghi dove possono trovare gli strumenti per capire.
Come vive il fatto che il 23 novembre scorso è iniziato il processo?
Intanto va detto che siamo solo all’inizio del dibattimento: c’è stata soltanto una udienza che si è aggiornata sulla costituzione delle parti civili. Comunque ha segnato la fine di un periodo di incertezza assoluta, dopo che per mesi ci siamo sentiti in balia di qualunque evento. Quando ci si trova in una condizione simile alla nostra non si vede l’ora che succeda qualcosa. Sono passati più di nove mesi dall’arresto di mio marito, e per tutto questo lunghissimo periodo non è stato possibile difendersi dalle accuse. Adesso almeno si è aperto uno spiraglio. La sfortuna di Mario non è stata soltanto quella di essere coinvolto in una vicenda assurda, perché come direttore finanziario di Fastweb “non poteva non sapere”, ma anche quella di ritrovarsi coinvolto in un procedimento di dimensioni eccezionali, sia per il numero di persone tirate in ballo che per la mole di documentazione.
Con quali effetti?
Almeno due: il primo è che non è stato possibile un approfondimento delle singole posizioni perché sino ad oggi si è valutata l’impostazione dell’inchiesta nel suo complesso; il secondo effetto è stato la dilatazione di tutti i tempi del procedimento. E ancora oggi non sappiamo quando finirà la sua privazione di libertà, nonostante i casi previsti dal codice penale per la carcerazione preventiva siano molto specifici e limitati.
A questo punto, nel pieno di questa esperienza, crede ancora nella giustizia?
Sì certo, credo ancora nella Giustizia con la maiuscola perché finito il clamore mediatico, le ragioni sostanziali, i fatti diventano prevalenti. Tutto questo mi ha portato a riflettere su come sia cambiata da febbraio ad oggi la mia percezione dello Stato, delle istituzioni che ho sempre pensato difendessero una famiglia come la mia e che invece hanno preso il controllo della nostra vita. Oltretutto io sono francese e il rapporto dei cittadini con la giustizia nel mio paese è sicuramente più sereno.
In Italia, invece?
Mi chiedo chi mai restituirà tutti questi mesi di vita alla mia famiglia e a mio marito in particolare, dove la vera violenza è stata isolarlo da tutto il mondo di relazioni, con l’eccezione del nucleo familiare stretto. Si figuri che anche per parlare o vedere i propri genitori è stata necessaria un’autorizzazione specifica. Spesso abbiamo parlato con Mario di come i tempi della giustizia siano diversi da quelli di una giornata della gente comune; tutto si dilata, diventa un tempo circolare, sembra che nessuno pensi a cosa significhi anche un giorno di più vissuto in uno stato di privazione della libertà.
Ora però si va in aula…
Il fatto che dai magistrati inquirenti sia stato chiesto e ottenuto il giudizio immediato, che dovrebbe essere un procedimento che garantisce agli imputati tempi brevi del procedimento in casi di responsabilità evidente, in realtà non ha comportato un’accelerazione dei tempi perché sono passati oltre 3 mesi dal 10 agosto senza che il processo sia ancora iniziato. Nei fatti, il venir meno dell’udienza preliminare ha determinato solo venir meno un grado di garanzia per gli imputati. Ecco perché adesso guardo con un po’ più di speranza al fatto che il momento della chiarezza si stia avvicinando e finalmente verranno accertate, dove ci sono, le responsabilità dei singoli. Ma è solo la mia speranza. A volte temo che prima che si possa definitivamente scrivere la parola fine tutto a questo passerà ancora molto tempo, forse anni.
A colloquio con Sophie Nicolas Rossetti
A colloquio con Sophie Nicolas Rossetti, moglie di Mario Rossetti, l’ex direttore finanziario Fastweb ai “domiciliari” dal 7 giugno: “Guardo al 23 novembre – dice – con la speranza che il momento della chiarezza si stia avvicinando e finalmente verranno accertate, dove ci sono, le responsabilità”
Signora Rossetti, come vive il fatto che il prossimo 23 novembre inizierà il processo?
L’inizio del dibattimento la prossima settimana segna finalmente la fine di un periodo di incertezza assoluta. Sono passati nove mesi dall’arresto di mio marito, e ancora non è stato possibile difendersi dalle accuse. La sfortuna di Mario non è stata soltanto quella di essere coinvolto in una vicenda assurda perché come direttore finanziario di Fastweb “non poteva non sapere”, ma anche quella di ritrovarsi coinvolto in un procedimento di dimensioni eccezionali, sia per il numero di persone tirate in ballo che per la mole di documentazione.
Con quali effetti?
Almeno due: il primo è che non è stato possibile un approfondimento delle singole posizioni perché sino ad oggi si è valutata l’impostazione dell’inchiesta nel suo complesso; il secondo effetto è la dilatazione di tutti i tempi del procedimento. E ancora oggi non sappiamo quando finirà la sua privazione di libertà, nonostante i casi previsti dal codice penale per la carcerazione preventiva siano molto specifici e limitati.
Nella sua vita quotidiana e in quella dei suoi figli cosa è cambiato?
Posso dire che se gli arresti domiciliari sono sicuramente meglio della carcerazione, restano sempre arresti dove la privazione della libertà incide sulla vita di tutta la famiglia: nessuno può venirci a trovare, persino i miei figli di 10, 9 e 3 anni non possono vedere i loro amici a casa, mio marito da sei mesi non può neanche uscire per una passeggiata e può comunicare solo via lettera; oltre alla quotidianità della famiglia, sto gestendo anche tutti gli aspetti legati all’inchiesta e, non ultimo, quello dei sequestri che abbiamo subito. Questo perché, come misura preventiva, tutti i nostri beni sono stati sequestrati e sottoposti a custodia giudiziaria. La nostra vita è stata stravolta da un giorno all’altro, venendo meno ogni tipo di certezza.
Crede ancora nella giustizia?
Certo che mi aspetto giustizia, ma tutto questo mi ha portato a riflettere su come sia cambiata da febbraio ad oggi la mia percezione dello Stato, delle istituzioni che ho sempre pensato difendessero una famiglia come la mia e che invece hanno preso il controllo della nostra vita. Oltretutto io sono francese e il rapporto dei cittadini con la giustizia nel mio paese è sicuramente più sereno.
In Italia, invece?
Mi chiedo chi mai restituirà tutti questi mesi di vita alla mia famiglia e a mio marito in particolare, dove la vera violenza è stata isolarlo da tutto il mondo di relazioni, con l’eccezione del nucleo familiare stretto. Si figuri che anche per parlare o vedere i propri genitori è stata necessaria un’autorizzazione specifica. Spesso abbiamo parlato con Mario di come i tempi della giustizia siano diversi da quelli di una giornata della gente comune; tutto si dilata, sembra che nessuno pensi a cosa significhi anche un giorno di più vissuto in uno stato di privazione della libertà.
Ora però si andrà in aula…
Il fatto che dai magistrati inquirenti sia stato chiesto e ottenuto il giudizio immediato, che dovrebbe essere un procedimento che garantisce agli imputati tempi brevi del procedimento in casi di responsabilità evidente, in realtà non ha comportato un’accelerazione dei tempi perché sono passati oltre 3 mesi dal 10 agosto senza che il processo sia ancora iniziato. Nei fatti, il venir meno dell’udienza preliminare ha determinato solo venir meno un grado di garanzia per gli imputati. Ecco perché guardo al 23 novembre con la speranza che il momento della chiarezza si stia avvicinando e finalmente verranno accertate, dove ci sono, le responsabilità dei singoli. Ma è solo la mia speranza. A volte temo che prima che si possa definitivamente scrivere la parola fine tutto a questo passerà ancora molto tempo, forse anni.
Sophie Nicolas Rossetti: “La nostra vita stravolta”
In vista della prima udienza il 23 novembre del “Processo Carosello” così si esprime la moglie di Mario Rossetti, in un’intervista (che verrà pubblicata domani sul blog, ndr). Di seguito un’anticipazione del testo ripreso oggi dall’agenzia APCom
“La nostra vita stravolta da un giorno all’altro”. Sintetizza così il dramma vissuto dalla propria famiglia, in una intervista (che verrà pubblicata domani sul blog www.silvioscaglia.it, ndr) Sophie Rossetti, moglie di Mario Rossetti, l’ex direttore finanziario di Fastweb arrestato il 23 febbraio nell’ambito dell’inchiesta su una presunta rete di riciclaggio internazionale, e successivamente trasferito ai domiciliari dove si trova dallo scorso 7 giugno.
Ora l’attesa è tutta per il prossimo 23 novembre quando a Roma inizierà il dibattimento del Processo Carosello che vede imputati alcuni dirigenti di primo livello delle società Telecom Sparkle e Fastweb, compreso il fondatore di quest’ultima, Silvio Scaglia. “Guardo al 23 novembre – afferma Sophie Rossetti – con la speranza che il momento della chiarezza si stia avvicinando”.
Sono infatti passati nove mesi dall’arresto del marito, ma “ancora non è stato possibile difendersi dalle accuse. La sfortuna di Mario non è stata soltanto quella di essere coinvolto in una vicenda assurda perché come direttore finanziario di Fastweb ‘non poteva non sapere’, ma anche quella di ritrovarsi coinvolto in un procedimento di dimensioni eccezionali”, conclude Sophie Rossetti.
Telecom Sparkle – Fastweb: la Procura di Roma chiede il giudizio immediato
Possibile svolta per l’inchiesta giudiziaria Telecom Sparkle – Fastweb. Secondo fonti del Tribunale di Roma, il pm Giancarlo Capaldo ha inoltrato all’ufficio dei Gip di Roma la richiesta di rito immediato per 37 indagati, fra i quali Silvio Scaglia.
Nell’elenco, oltre a Gennaro Mokbel e ai vari personaggi a lui legati, figurano tutti gli ex manager di Fastweb e Telecom Italia Sparkle coinvolti dalle indagini. Per TI Sparkle la richiesta riguarda, oltre all’ex ad Stefano Mazzitelli, l’allora responsabile dell’Area regioni europee, Massimo Comito. Per Fastweb, oltre a Scaglia, accusati di presunta frode fiscale, ci sono l’allora dipendente della divisione residenziale, Giuseppe Crudele, il responsabile grandi aziende, Bruno Zito, il membro del comitato direttivo, Roberto Contin, e l’ex direttore finanziario Mario Rossetti.
Dal fascicolo sono anche state stralciate diverse posizioni, tra cui quella dell’ex senatore Nicola Di Girolamo e del manager Marco Toseroni. L’iniziativa è del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dei sostituti Francesca Passaniti, Giovanni Bombardieri e Giovanni Di Leo. I reati contestati, a seconda delle singole posizioni, vanno dall’associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio all’intestazione fittizia di beni, dall’evasione fiscale al reinvestimento di proventi illeciti fino alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione.
Ora toccherà al gip Maria Luisa Paolicelli, rientrata in servizio in queste ultime ore, valutare entro i prossimi 5 giorni, se accettare o rigettare la richiesta avanzata dalla Procura.
Monica Scaglia e Sophie Rossetti “damas in blanco” in un paese senza diritti
Giacalone su “Libero”: “La verità emersa dopo mesi senza libertà non è giustizia”
“Mentre sul nulla s’ingaggia battaglia sui quotidiani italiani escono, poco lette, le lettere delle mogli i cui mariti hanno pero la libertà senza mai essere stati giudicati”. Così Davide Giacalone, tra l’altro noto esperto delle tlc, rilancia sulle colonne di “Libero” le testimonianze di Monica Scaglia sul “Corriere della Sera” e di Sophie Rossetti su “Il Riformista”. Ecco l’articolo dedicato alle “Damas in blanco di un Paese senza diritto e dimentico dei diritti”.
“Prima Monica Scaglia poi Sophie Rossetti hanno preso carta e penna per descrivere la sorte dei rispettivi mariti (inchiesta Fastweb) oramai murati vivi e privati del diritto alla vita professionale e relazionale, il tutto non tanto per un capriccio mediatico di chi indaga, ma per la follia totale di un sistema giuridico che enuncia a chiacchiere la presunzione di innocenza, salvo poi stritolarla sotto i cingoli di una giustizia cieca, inefficiente e con tempi da tortura medievale”.
“Dicono le due signore che i mariti continuano ad avere fiducia nella giustizia – prosegue il commento di Giacalone – Le capisco, ma sbagliano. Io non ho alcuna fiducia nella giustizia. So che, nel corso del tempo e dei gradi di giudizio, la giustizia italiana ha una discreta propensione a centrare la verità. Ma una verità emersa dopo dieci anni di procedimento e dopo mesi di privazione della libertà non è giustizia, bensì un insulto alla medesima. Di questo però non ci si occupa. Chi se ne frega se il ricco manager agli arresti domiciliari (si immagina in condizioni di gran lusso e non si capisce che, invece, quella è una condizione terribile, quasi peggiore della galera) e chi se ne frega delle migliaia di anonimi miserabili le cui vite vengono schiantate nell’inferno burocratico della giustizia”.
Di qui una valutazione amara. “L’Italia di oggi – scrive Giacalone – non è in grado e non vuole neppure porre rimedio, perché da molti anni ci si occupa di una cosa sola: usare le inchieste per annientare il nemico. In una follia distruttiva che non si ferma neanche davanti all’evidenza”.
Lettera di Sophie Nicolas Rossetti
Il Riformista pubblica la lettera di Sophie Nicolas Rossetti, moglie di Mario Rossetti, ex direttore finanziario di Fastweb.
Cara Monica, dopo aver letto la tua lettera sul Corriere della Sera, sento anch’io il bisogno di buttar giù i miei pensieri, anche nella speranza che questo incubo possa finire al più presto. Ho capito insieme a Mario che la cosa peggiore per chi è privato della libertà personale è che il tempo diventa circolare, ripetitivo, le giornate scorrono identiche e non hai più la capacità di disegnare un futuro. E’ questa la vera pena, molto dura, che tocca scontare. Ti rendi conto della discrepanza abissale che c’è tra tempi della giustizia (6 mesi = niente) e il tempo di un uomo privo della libertà. E comprendi cosa questo significhi, soprattutto se hai dei figli piccoli da accudire e far crescere. Ma allora mi domando: perché in Italia tocca scontare una pena PRIMA di essere giudicati? Perché il sistema giudiziario italiano funziona così male?
Nonostante ciò, Mario ed io crediamo, ancora oggi, di vivere in un paese civile, e crediamo ancora nella Giustizia: a darci forza è sapere che il processo farà emergere la verità. Purtroppo però, quel che va ribadito e spiegato mille volte, è che il concetto di “presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva” funziona solo in teoria. Da qui il fatto di doverlo ricordare continuamente: gli indagati (perche Mario è solo un indagato, nonostante quasi 6 mesi di custodia cautelare), devono essere considerati innocenti e non colpevoli, fino a prova contraria. Di sicuro, il modo in cui è stato gestita questa indagine non ha in nessun modo tutelato questo concetto.
Mio marito in questi mesi ha imparato a coltivare la pazienza. E’ l’unico rimedio alla sua condizione. Se riesci a essere un po’ “zen”, ti aiuta a superare tutto meglio. Può sembrare una magra consolazione, ma quando sei privato della libertà, aiuta. Il suo più grande dolore è stato quello di essere stato allontanato bruscamente dai nostri bambini, così piccoli. Non è stato facile spiegarsi con loro, con parole semplici, quando gli hanno chiesto: “Papà perché quegli uomini ti hanno portato via….”. Naturalmente prevaleva anche la gioia di poterli riabbracciare. Mario passa tutto il suo tempo a leggere e a pensare, facendo un po’ di ginnastica, mantenendo un certo ordine mentale. Poi si occupa dei bambini, tutti e tre, anche se dedica qualche minuto in più al piccolo di 2 anni. Inoltre ha iniziato a preparare, a grandi linee, un progetto sociale per aiutare in futuro i detenuti e le loro famiglie. Una volta vissuto il carcere non si dimentica più. E chi può ha il dovere di fare qualcosa per aiutare altri in quella realtà. Anche perché, nonostante tutto, rispetto ad altre storie di “ordinaria ingiustizia”, sappiamo di essere più fortunati. Abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce, di trovare spazio sui giornali, cosa che migliaia di detenuti in attesa di giudizio, dunque ancora innocenti fino a prova contraria, non hanno. Persone che spesso non hanno nemmeno le risorse economiche per beneficiare di un’adeguata difesa. Anche a loro Mario dedica il suo tempo di innocente “murato vivo”.
Sophie Nicolas Rossetti
Celli: Contento per i domiciliari a Rossetti, ma perchè lui e Scaglia non sono liberi?
“Sono molto soddisfatto che anche Mario Rossetti, come Silvio Scaglia, sia uscito da Rebibbia. Ma, detto con franchezza, mi sfugge il motivo per cui i due restino agli arresti domiciliari. Non vedo il rischio di fuga o di inquinamento delle prove”.
Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss, è stato tra i primi a schierarsi con decisione contro il trattamento riservato dagli inquirenti a Scaglia, da lui assunto ai tempi dell’avvio di Omnitel. “Al di là del merito dell’inchiesta, su cui ho una mia opinione, non capivo l’esigenza della detenzione. E continuo a non capirla, visto che, tra l’altro, Silvio non ha avuto ancora modo di comunicare con l’esterno”.
Di più, per il momento, non è il caso di dire: sia Scaglia che l’ex manager, a più di cento giorni dallo scoppio del caso, sono ancora sottoposti ad un regime di restrizione della libertà personale. Non è ancora, insomma, il momento di far festa.
Mario Rossetti agli arresti domiciliari
L’AVV.LUCIA: “ORA IN CASSAZIONE PER LA PIENA LIBERTA”
Mario Rossetti esce dal carcere di Rebibbia. Nella mattinata di lunedì 7 giugno, infatti, il giudice delle indagini preliminari Aldo Morgigni, sentito il parere della Procura, ha deciso di concedere gli arresti domiciliari presso la sua abitazione all’ex direttore finanziario di Fastweb.
“Siamo soddisfatti perché sono state accolte, almeno in parte, le nostre richieste. Contiamo che presto possano rientrare anche le restanti misure di custodia cautelare e che Rossetti , quindi, possa tornare pienamente libero” è stato il primo commento del difensore Lucio Lucia , dopo l’incontro con gli inquirenti. “Ora comunque siamo pronti- ha continuato il legale – a difenderci al meglio”.
Il prossimo appuntamento, per Rossetti come per Silvio Scaglia (agli arresti domiciliari presso la sua residenza in Val d’Aosta) è l’udienza del 25 giugno prossimo in Cassazione per il ricorso contro le misure cautelari. “Confido – è la conclusione di Lucia - che la Cassazione accolga il nostro ricorso”.
Mario Rossetti in oltre tre mesi di custodia cautelare presso il carcere romano è stato interrogato in una sola occasione il 13 aprile scorso.