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L’ex senatore Di Girolamo e Arigoni patteggiano


Cinque anni di reclusione da scontare ai domiciliari e quasi 5 milioni di risarcimento per entrambi


L’ex senatore del PdL Nicola Di Girolamo ha patteggiato la pena. Il GUP del Tribunale di Roma, Massimo Battistini, ha condannato l’ex esponente politico del PdL, che si trova agli arresti domiciliari, a cinque anni di pena e al risarcimento nei confronti dell’Erario di 4,2 milioni di euro che Di Girolamo pagherà con la cessione di beni immobiliari, auto di lusso e quote societarie.


Il GUP ha consentito di patteggiare anche a Fabio Arigoni, il consulente aziendale già latitante a Panama che, tramite la Telefox e la Telefox International, ha consentito all’organizzazione coinvolta nel “traffico telefonico” di riciclare il denaro frutto della presunta evasione Iva in vari paradisi fiscali. Arigoni, anche lui ai domiciliari, è stato condannato a cinque anni e dovrà restituire quasi 5 milioni di euro.


L’ex senatore Di Girolamo era imputato per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale, oltre che per scambio elettorale aggravato. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici.


Infine, il GUP ha condannato Franco Pugliese, presunto affiliato alla cosca della famiglia Arena di Capo Rizzuto, a 4 anni e 8 mesi in quanto responsabile di intestazione fittizia di beni e per la minaccia volta ad impedire il libero esercizio del diritto di voto, sempre con l’aggravante del metodo mafioso.


Udienza 38


Il traffico telefonico era reale e le numerazioni 00688 su Tuvalu erano attive sul mercato inglese, come verificato dai controlli interni e personalmente da Merzi su un sito indipendente britannico. Per l’allora responsabile dell’Ufficio legale, Giuliana Testore, l’iter dei contratti era corretto e non presentava anomalie. Beverly Farrow, su audit Phuncard: Fastweb commercializzava le carte per conto di CMC guadagnandoci un margine ed aveva la cassa necessaria per farlo. E aggiunge: CMC era piccola, non avrebbe potuto permetterselo. Sono queste alcune delle novità emerse in aula dalle testimonianze di manager ed ex manager di Fastweb


Ad inaugurare la sfilata dei testi, che si protrarrà per diverse udienze, sono stati: Luca Merzi, responsabile dell’audit dal 2004 e, in questa veste, protagonista dell’audit sul “Traffico telefonico” del 30 novembre 2006 chiesto dal Comitato Direttivo per analizzare a tutto tondo i rapporti legali, fiscali, amministrativi e tecnologici tra gli uffici di Fastweb e le società I-Globe e Diadem Ltd.; Giuliana Testore, all’epoca responsabile dell’Ufficio legale, chiamata ad illustrare le caratteristiche dei contratti con CMC e le modifiche apportate nel tempo; Beverly Farrow, che effettuò l’audit sull’operazione Phuncard.


Da queste tre testimonianze si sono ricavati elementi utili per ricostruire il reale funzionamento delle operazioni. Luca Merzi, in particolare, ha fatto rilevare che il “traffico telefonico” era sì un business “non-core” per Fastweb ma comunque in linea, per volumi e ricavi, con le caratteristiche del mercato dell’epoca (24,7 miliardi di Euro nel 2005). Di fatto, nell’arco di tempo dell’intera operazione (dal 2004 al 2006), il traffico telefonico ha garantito a Fastweb una marginalità nell’ordine del 5-6%, nella media del settore. Certo, esisteva un rischio di credito legato alle controparti ma si trattava di un rischio relativo viste le modalità a cascata adottate: Fastweb, in sostanza, pagava solo dopo aver incassato. In sintesi, il “traffico telefonico” produceva un margine discreto, pari allo 0,8% del margine totale della società.


Una volta spiegata la convenienza economica di Fastweb ad occuparsi di quest’area di business, Merzi ha affrontato il tema più “caldo”: era lecito avanzare sospetti sull’eventuale natura fittizia delle controparti? Al proposito, il responsabile dell’audit ha risposto che le verifiche tecniche effettuate sull’andamento giornaliero del traffico, così come risultava dai tabulati del traffico “billati” dall’azienda, testimoniavano l’esistenza di un traffico effettivo e non fittizio. Non solo. A rafforzare i controlli interni, un’ulteriore verifica svolta da Luca Merzi stesso, sul sito britannico www.icstis.org.uk dell’Independent Committee for the Supervision of Standards of Telephone Information Services (ora PhonepayPlus, Agenzia inglese che regolamenta i servizi telefonici a pagamento) che confermava l’attività e il regolare funzionamento delle linee 00688. Le uniche anomalie riscontrate dall’audit interna riguardavano le caratteristiche formali del contratto (ma usuali nelle aziende) e legate al fatto che Diadem era un’azienda giovane e, come tale, non ancora in grado di produrre i suoi bilanci. Anche l’audit svolto successivamente da KPMG su incarico di Swisscom, confermò le stesse posizioni.


A domanda del Collegio dei giudici se si fosse potuto stabilire la natura del traffico, la risposta di Luca Merzi è stata che solo un’intercettazione l’avrebbe potuto accertare. Fastweb non avrebbe mai potuto capire con i mezzi che un’azienda aveva a disposizione che c’era una frode visto che non aveva evidenza della circolarità. La stessa Guardia di Finanza, del resto, ha avuto bisogno di anni di indagine per venire a capo dell’operazione.


Comunque, dopo l’audit e le rivelazioni dei giornali dell’epoca sulla frode fiscale, il CdA di Fastweb diede tempestivo ordine di chiudere il business per motivi precauzionali. Fu una decisione presa coralmente su spinta di Parisi con l’appoggio di Scaglia.


Giuliana Testore e Beverly Farrow hanno invece parlato del tema “Phuncard”. La modifica del contratto con CMC, da compravendita a mandato senza rappresentanza, spiega la ex responsabile dell’Ufficio legale, è stata voluta da Fastweb per motivi di correttezza contabile: Fastweb, ha detto la Testore, doveva contabilizzare solo i margini sulle “Phuncard” senza tener conto di costi/ricavi. L’iter del contratto con CMC, pervenuto all’ufficio competente attraverso Bruno Zito, cioè dal settore commerciale, era perfettamente normale.


Infine, Beverly Farrow ha spiegato perché, nell’operazione Phuncard, Fastweb sia stata l’interfaccia tra CMC e le società inglesi. Primo, perché questo meccanismo consentiva di ricavare un margine. Secondo, la stessa Fastweb aveva una cassa abbastanza capiente per far funzionare l’operazione: per CMC, invece, questo andava al di là delle sue potenzialità economiche.


Il capitolo Fastweb sarà oggetto anche delle prossime udienze. Il calendario prevede che lunedì 18, tra gli altri, siano sentiti Carlo e Francesco Micheli oltre a Paolo Fundarò e Fabrizio Casati. Il giorno 20 dovrebbe essere la volta di Emanuele Angelidis, Mario Cacciatore e Lorenzo Macciò. Il 25, se verrà rispettata la tabella di marcia, si terrà il controinterrogatorio di Beverly Farrow, più la testimonianza di Alberto Trondoli, Stefano Faina e di Stefano Parisi.


“Iva telefonica”: dal 14 entrano in scena le testimonianze dei manager Fastweb


Convocati i primi quattro manager della società. “Congelati” intanto i termini di scadenza nei confronti di coloro che si trovano ancora agli arresti domiciliari. Tutti gli imputati alla meno afflittiva misura degli arresti domiciliari. E la testimonianza di De Lellis proseguirà a settembre


Gli ultimi detenuti del processo “Iva telefonica” hanno lasciato il carcere. Ieri, pertanto, il Presidente della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma ha disposto il “congelamento” dei termini per gli imputati ancora sottoposti a misure restrittive. In assenza di questo provvedimento, alla fine di agosto sarebbero tornati in piena libertà gli imputati oggi agli arresti domiciliari.


Intanto, ieri l’udienza è stata caratterizzata dall’ascolto dell’intercettazione di una telefonata, alquanto agitata, intercorsa tra Gennaro Mokbel e Fabio Arigoni. L’udienza è stata interrotta poco dopo le 14 per gli impegni del capitano dei ROS Francesco De Lellis. La sua testimonianza riprenderà solo dopo la pausa estiva per permettere il deposito delle perizie di trascrizione delle intercettazioni telefoniche sul contenuto delle quali il capitano deporrà.


Intanto, di qui a fine luglio, entra nel vivo la partita Fastweb. Per il giorno 14, infatti, sono convocati i primi testi che facevano parte dei quadri della società milanese. In particolare, sfileranno davanti alla Corte: Stefano Faina, Beverly Farrow, Luca Merzi e Giuliana Testore.


Maurizio Tortorella: «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia»


Alzi la mano chi sa che in Italia, per legge, è proibito pubblicare foto di imputati in manette. Un ricco premio a chi sa indicare l’ultima condanna ad un mezzo di informazione per aver infranto questa norma. Anche così, con un riferimento ad una classica “grida manzoniana”, si può avvicinarsi alla lettura de La gogna di Maurizio Tortorella, vicedirettore di Panorama, che potremmo definire la prima storia della “moderna ingiustizia in Italia”, Paese che, nel corso degli ultimi vent’anni, ha progressivamente sostituito la giustizia dei tribunali, senz’altro imperfetta e lenta ma pur sempre giustizia, con quella sommamente ingiusta della ribalta mediatica, abilissima nello sbattere “mostri” in prima pagina



Maurizio Tortorella ha così scritto un’opera di cui si sentiva la mancanza: l’analisi del trattamento che i media riservano alla giustizia. Ovvero, per dirla con il sottotitolo del libro (Boroli editore, 160 pagine, 14 euro), in uscita il prossimo 14 luglio, «Come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia». Una lunga carrellata da Calogero Mannino, il ministro «mafioso», e il suo calvario durato 18 anni. Guido Bertolaso, condannato sui giornali ancora prima che il processo avesse inizio. Giuseppe Rotelli, il «Re delle cliniche private» accusato per quat tro anni di un’odiosa truffa sanitaria, ma poi assolto in totale silenzio. Ottaviano Del Turco, il governatore abruzzese azzoppato per una tangente di cui ancora non c’è traccia. Antonio Saladino e le follie dell’inchiesta “Why Not” dell’ex PM Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli. Alfredo Romeo, gli assessori e la mezza bolla di sapone del “caso Magnanapoli”. Un posto di rilievo, in questa carrellata, non poteva non toccare a Silvio Scaglia.


«È assolutamente così – commenta Tortorella – anzi, una delle ragioni dell’indignazione che mi ha spinto a scrivere questo libro è il trattamento osceno che i colleghi dell’informazione hanno dedicato Silvio Scaglia. Un cittadino che, come ha fatto l’ingegnere si presenta senza indugi al magistrato che indaga su di lui rientrando da un comodo rifugio all’estero merita attenzione e rispetto».







Invece…

Invece niente. Un disinteresse assoluto nei confronti di un cittadino che era, non dimentichiamolo, un presunto innocente.  Cosa che i giornalisti non hanno nemmeno preso in considerazione.Se andiamo a rivedere i giornali di quei giorni ci imbattiamo in articoli fotocopia che attingono ad una fonte sola, quella dell’accusa. Naturalmente in pillole, perché ormai è prassi consolidata svolgere indagini infinite, accumulare faldoni e faldoni di materiale da cui estrarre un piccolo riassunto ad uso e consumo dei giornali.


Che non trovano nulla da eccepire. O no?

La voce della difesa non compare quasi. Salvo le due o tre righe in fondo, tanto per compiacere l’avvocato che un giorno potrà tornare utile come fonte. Ma ormai è scomparso il gusto dell’inchiesta o, quantomeno, il confronto con tutte le fonti.


Il risultato?

Una volta esaurita l’ondata di fango alimentata dal materiale raccolto dall’accusa, scende il velo del silenzio. Senza che l’informazione si faccia domande a tutela del cittadino e della libertà. C’è voluto un articolo di Paul Betts sul Financial Times per ricordare, senza voler entrare nel merito delle indagini, l’esistenza di diritti fondamentali. Soprattutto a vantaggio di un cittadino che aveva dimostrato di credere nella giustizia. Invece, i grandi quotidiani italiani hanno steso un velo di silenzio, più o meno imbarazzato. Il Corriere della Sera si è mosso con grande circospezione. Altri non si sono mossi affatto. E si sono rifugiati dietro un silenzio stizzito. Ma la cortina del silenzio, dopo tanto fango, è una nuova ingiustizia. Penso a Scaglia, ma anche ad Ottaviano Del Turco, arrestato davanti alle telecamere, protagonista di un filmato che per mesi ha fatto il giro delle tv private. Ma di quella tangente non c’è alcuna traccia.


Così come non trova alcun riscontro, a seguire il processo per “l’Iva telefonica”, la leggenza della truffa da due miliardi. Eppure quella cifra ha legittimato titoli a caratteri cubitali, l’attenzione dei fotografi e così via.

Già, senza alcun rispetto per un imprenditore che ne meritava assai. Nel libro mi soffermo sulla storia dei due miliardi che alla fine, nel caso di un ipotetico coinvolgimento di Fastweb ancor tutto da dimostrare, si riducono ad un cinquantesimo di quella cifra.


Ma da dove nasce questa decadenza del giornalismo investigativo?

Io penso che all’origine ci sia la riforma del codice. Per paradosso, tutto funzionava molto meglio prima. Oggi, negli uffici delle procure, si dispone di una macchina potentissima, che ha alle sue dipendenze la polizia, la guardia di finanza e detta la sua legge ai cosiddetti magistrati di garanzia, a partire dai tribunali della libertà fino ai GIP. Una macchina che esercita la sua influenza incontrastata sui cronisti giudiziari che ormai non conoscono altra forma di informazione.


La correzione di rotta, insomma, deve passare da una riforma che riequilibri il peso delle parti, restituendo dignità alla difesa. Ma questo non bastya a superare il nodo della giustizia spettacolo.

Vero. Il problema, del resto, non è solo italiano. Prendiamo il caso Strauss Khan, che ha dimostrato in maneira efficace la superiorità di un sistema giudiziario che garantisce pari dignità alla difesa. Anche qui, però, c’è stato un eccessivo sfoggio di manette davanti alle telecamere. Un passo indietro per un sistema che dal 1935, dopo il clamore mediatico sollevato dal rapimento di Baby Lindbergh, ha vietato l’ingresso dei mezzi di ripresa dalle aule dei tribunali per evitare che il clamore mediatico condizionasse la giustizia.


Certe volte, il progresso consiste nel guardare alle proprie spalle.




“Iva Telefonica”: ancora tre i detenuti in attesa di case idonee per i domiciliari


La liberazione degli ultimi tre imputati del processo per l’“Iva telefonica” ancora in carcere tarda ad arrivare. Il motivo, probabilmente, va cercato nella mancanza di un luogo adeguato ove trasferire gli indagati nel regime degli arresti domiciliari. Sembrerebbe, infatti, che le richieste non siano state accompagnate da indicazioni idonee e necessarie per i controlli cui devono essere sottoposti i soggetti agli arresti domiciliari.


E così, almeno per ora, restano in carcere Luca Breccolotti, Silvio Fanella e Luigi Marotta. E resta in parallelo ancora attuale la richiesta del difensore di Luca Breccolotti di non interrompere la celebrazione del processo durante il periodo feriale nel caso che ci siano ancora imputati dietro le sbarre.


Non resta che attendere che la situazione si sblocchi. Cogliamo l’occasione per ringraziare la persona che, leggendo il Blog, ci ha segnalato la reale situazione dei tre imputati.


Nasce Il Mese di Quaderni Radicali


Il numero zero dedicato al “carcere fuorilegge”



Il network di comunicazione dei Radicali – Radical Approach Nonviolence in Media si allarga: nasce Il Mese di Quaderni Radicali, periodico concepito esclusivamente per il web.


Per il suo debutto, il nuovo mensile omaggia Pannella dedicando la copertina e la rubrica di approfondimento “Zum” al dramma delle carceri italiane. Il Mese – si legge nell’editoriale del direttore, Giuseppe Rippa –, «pone al centro l’individuo, i diritti umani, i diritti della persona».


Come tutte le altre testate legate a Quaderni Radicali, anche l’ultima nata non vivrà di finanziamenti pubblici. Disponibile per adesso nella versione sperimentale online, dai prossimi numeri la sua fruizione sarà a pagamento (25 euro per 11 numeri).



“Iva Telefonica”. Tutti fuori dal carcere


Arresti domiciliari agli ultimi tre detenuti. Si riprenderà l’11 luglio con la testimonianza del capitano De Lellis

 

Nel pomeriggio di ieri sono stati concessi gli arresti domiciliari agli ultimi tre imputati del processo “Iva telefonica” ancora in carcere: Luca Breccolotti, Silvio Fanella e Luigi Marotta.


La decisione è arrivata poche ore dopo la conclusione dell’udienza numero 36, interamente dedicata alla richiesta di sospensione dei termini, così come chiesto dai rappresentanti della Procura.


Nel corso dell’udienza, preceduta dalla notizia della scarcerazione avvenuta sabato sorso di Carlo Focarelli, i legali degli imputati avevano sollevato le loro eccezioni alla richiesta della Procura di sospensione dei termini davanti al Collegio della Prima Sezione penale presieduto dal dottor Giuseppe Mezzofiore.


La mattinata è stata caratterizzata anche dalla lunga dichiarazione spontanea di Luigi Marotta che ha protestato la sua innocenza sottolineando che, tra l’altro, tra il 2004 e il 2006 – l’arco di tempo in cui si è sviluppata la presunta truffa –, si trovava incarcerato in Inghilterra.  Il denaro che, secondo l’accusa, gli era stato girato da Focarelli, a detta di Marotta, altro non era che un credito effettivo da lui vantato nei confronti dello stesso Focarelli.


Il processo riprenderà il prossimo 11 luglio, con tutti gli imputati a piede libero o agli arresti domiciliari, con la ripresa della testimonianza del capitano dei ROS Francesco De Lellis. In quell’occasione verrà comunicato quanto stabilito dal Collegio sulla richiesta, avanzata nello scorso marzo dalla Procura, di sospendere i termini. Ma non è escluso che la decisione venga depositata prima in cancelleria.


In sostanza, il Tribunale può:

a) far cessare le misure di custodia cautelare a carico dei detenuti;

b) respingere le eccezioni delle difese, confermando il regime di detenzione. In tal caso, è probabile che il Collegio aderisca alla richiesta di alcuni difensori, tra cui l’avvocato Bruno Naso, legale di Breccolotti, di celebrare il processo anche durante le ferie di agosto.


Udienza 36


È iniziata questa mattina l’udienza 36 del processo sull’”Iva telefonica”: il dibattimento in corso è dedicato alla richiesta di sospensione da parte della Procura dei termini di custodia cautelare.


Tutto come da programma, tranne una novità: da sabato Carlo Focarelli, dopo più di 480 giorni di carcere, è agli arresti domiciliari per “motivi di salute”.


A questo punto il Collegio si dovrà pronunciare nei confronti delle posizioni dei tre imputati ancora in custodia cautelare in carcere (Luigi Marotta, Silvio Fanella e Luca Breccolotti) e di tutti quelli che si trovano agli arresti domiciliari.

Udienza 35. Salta il controesame dell’imprenditore Tommasino


L’accusatore di Berriola si avvale della facoltà di non rispondere


L’udienza numero 35 del processo sull’“Iva Telefonica” si è chiusa con una sorpresa negativa. Ieri era infatti previsto il controinterrogatorio dell’imprenditore Vito Tommasino, il primo e forse più importante accusatore del Maggiore della Guardia di Finanza Luca Berriola. Ma Tommasino ha disertato il confronto, atteso, con il controesame dei difensori di Berriola e degli altri imputati.


L’imprenditore campano, infatti, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Un comportamento che ha indotto il difensore dell’ufficiale, l’avvocato Antonello Giudice, a fare il seguente commento: «Il fatto che Vito Tommasino si sia sottratto alla prosecuzione del contraddittorio processuale rappresenta un duro colpo per la credibilità delle sue accuse». Non va dimenticato, tra l’altro, che dalle dichiarazioni dell’imprenditore hanno tratto origine l’intera inchiesta e il coinvolgimento del Maggiore Berriola. Inchiesta sfociata poi nelle accuse alle società telefoniche.


Dopo la mancata deposizione di Vito Tommasino, sono sfilati davanti alla corte l’ex poliziotto Stefano Placidi e Paolo Prinzi.


L’udienza di lunedì 27 giugno sarà invece totalmente dedicata alla richiesta di sospensione dei termini di custodia cautelare avanzata dalla Procura per evitare la scarcerazione degli imputati ancora sottoposti a misura detentiva in carcere che, ricordiamo, ad oggi sono: Carlo Focarelli, Luigi Marotta, Silvio Fanella e Luca Breccolotti (Gennaro Mokbel dal 22 giugno, dopo l’accoglimento dei giudici dell’istanza avanzata dai suoi legali, è stato trasferito per “motivi di salute” dal carcere di Civitavecchia nella sua casa romana). Per gli imputati ancora in custodia cautelare il Tribunale potrebbe, infatti, decidere per la liberazione o per gli arresti domiciliari. Nel caso in cui il Collegio dovesse decidere di prorogare la carcerazione preventiva degli imputati ancora in carcere, il Tribunale dovrà comunque pronunciarsi sulla richiesta avanzata nel corso dell’udienza del 17 giugno scorso dall’avvocato Bruno Naso, difensore di Breccolotti.


È stata annullata invece l’udienza del 28 giugno. Il processo, dopo il dibattimento di lunedì prossimo, riprenderà perciò l’11 luglio con l’esame del capitano dei ROS Francesco De Lellis.


Mokbel ai domiciliari


Accolta dai giudici l’istanza avanzata dai legali “per motivi di salute”. Oggi il trasferimento dal carcere di Civitavecchia alla sua casa romana


Quest’oggi, a sedici mesi di distanza dal suo arresto, Gennaro Mokbel ha lasciato il carcere di Civitavecchia “per motivi di salute”, per essere trasferito agli arresti domiciliari nella sua casa romana.


I giudici della Prima Sezione penale, dove si celebra il processo per l’”Iva Telefonica”, hanno infatti accolto l’istanza di scarcerazione presentata dai suoi legali, Cesare Placanica e Ambra Giovene.


Mokbel, tra l’altro, apparso molto provato e debilitato alle ultime udienze, da circa dieci giorni aveva iniziato uno sciopero della fame, dopo aver più volte denunciato le sue condizioni di detenzione che lo costringevano a rinunciare anche «alla doccia e ai pasti» per essere presente in orario in aula, visti i tempi della traduzione dal carcere di Civitavecchia fino al Tribunale di Roma.


Secondo i periti di parte, i professori Ernesto D’Aloia e Stefano Ferracuti, Mokbel è affetto da una «patologia cardiovascolare che lo pone ad aumentato rischio di infarto acuto del miocardio e di ictus ischemico cerebrale», in aggiunta ad un «significativo deterioramento delle condizioni psichiche».


Per i giudici, per i quali permane comunque «il grado di pericolosità, considerati la gravità dei fatti per i quali viene processato», lo stato di salute di Gennaro Mokbel non è attualmente compatibile con il carcere.


In seguito al provvedimento Mokbel dovrà risiedere presso l’abitazione romana «con divieto assoluto di comunicare con qualsiasi mezzo, anche telefonico o informatico con persone diverse da quelle che con lui coabitano, lo assistono o lo difendono».


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“Questo Blog è dedicato alla figura di Silvio Scaglia, imprenditore ed innovatore, protagonista di start up (Omnitel, Fastweb, Babelgum) oggi impegnato in nuove sfide come il rilancio de La Perla, marchio storico del made in Italy. E' un luogo di informazione e di dibattito per tutti gli stakeholders (dipendenti, collaboratori, clienti) ma anche comuni cittadini che hanno seguito le vicende in cui Scaglia, innocente, si è trovato coinvolto fino alla piena assoluzione da parte della giustizia italiana.” - Stefania Valenti, Chief Executive Officer Elite World