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EUROPA: il commento di Sergio Scalpelli
Il Direttore Relazioni Esterne e Istituzionali di Fastweb: «la nostra giustizia è profondamente malata. Siamo al limite di una crisi verticale dello stato di diritto»
È un Sergio Scalpelli fermo e severo quello che su Europa ripercorre – senza nascondere l’emozione ancora viva di quei momenti concitati – l’incubo di Fastweb e di Silvio Scaglia iniziato il 23 febbraio del 2010. Quando con le ordinanze di custodia cautelare per alcuni manager della sua azienda iniziò «un bombardamento mediatico mostruoso» con titoli dei tg che scorrevano «associando Fastweb, la ‘ndrangheta, la banda Mokbel». Poi l’incubo del commissariamento di Fastweb che – scrive Scalpelli – «è costata a Stefano Parisi prima l’autosospensione, poi le dimissioni per salvare la società. Le accuse a Stefano sono state archiviate».
«Appare palese oggi, a processo chiuso – aggiunge Scalpelli –, ma a noi era chiaro già allora che è semplicemente demenziale che un gruppo di pm possa decidere della vita e della morte di una società, di un gruppo industriale». «In ragione di un’inchiesta iniziata nel 2006 – continua –, improvvisamente tre anni dopo vengono arrestate persone che, come sappiamo, erano innocenti, sottoposte a un regime violento di custodia cautelare, i loro beni bloccati, le loro mogli e i loro figli senza i mezzi di sostentamento elementari». Un dramma che – ricorda Scalpelli – ha sottolineato anche Silvio Scaglia «quando ha ricordato quante persone restano in carcere in attesa di giudizio, senza reti di protezione e di relazione che consentano alle loro famiglie di sopravvivere dignitosamente».
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L’EDITORIALE DI PIERLUIGI BATTISTA SUL CORRIERE DELLA SERA
Silvio Scaglia ha pagato un prezzo elevatissimo: è una «strage del diritto». Chi si prenderà la responsabilità di questa distruzione?
«Indicato al pubblico ludibrio come un pericoloso criminale, arrestato appena tornato in Italia per conferire con i magistrati che lo accusavano e privato della libertà per un anno, prima in uno sazio angusto dove perfino un maiale si sentirebbe soffocare, poi agli arresti domiciliari». Pierluigi Battista ricostruisce così il lungo periodo delle accuse patito da Silvio Scaglia, arrestato nella notte «come il peggiore dei malfattori» e dopo tre anni «assolto perché il fatto non sussiste». Una vita stravolta. «Chi lo ha privato della sua libertà senza prove invece, come al solito, non pagherà alcunché – commenta Battista – protetto da un’invulnerabile e iniqua irresponsabilità».
IL CASO SCAGLIA: GLI EDITORIALI DI OGGI
Alcuni dei commenti a margine della sentenza di assoluzione di Silvio Scaglia
LA REPUBBLICA
L’Amaca di Michele Serra incita alla fiducia in noi stessi nonostante il «deficit di giustizia che ferisce la coscienza pubblica» portando come esempi quello drammatico di Lea Garofalo ed il caso di Silvio Scaglia. Il patron di Fastweb – commenta Serra – «ha affrontato con una serenità e una forza d’animo ammirevoli un anno di insensata reclusione preventiva». Due casi diversissimi – quello della testimone di giustizia assassinata nel 2009 e quello di Silvio Scaglia –, ma nei quali è «forte e limpida la risposta individuale». E c’è un lungo silenzio mediatico che si rompe spesso «soltanto dopo che le vittime hanno avuto la forza di resistere all’ingiustizia». In completa solitudine.
L’UNITÀ
In un lungo commento, il Prof. Umberto Veronesi, denuncia lo stato del nostro sistema carcerario punitivo che è «contro la civiltà e la scienza», argomentando anche con le prime parole che Silvio Scaglia ha pronunciato dopo la sentenza di assoluzione: per il carcerato, nelle celle, «c’è meno spazio di quello che le leggi prevedono per i maiali». Ma «se neppure la dignità viene rispettata – si chiede Veronesi – come si può solo pensare a una rieducazione?».
LIBERO
«Quanto costa una persona che come Silvio Scaglia è stata ingiustamente privata della propria libertà e rinchiusa in una cella su ordine della magistratura?» – si chiede Maurizio Belpietro –. Una cifra enorme per le casse pubbliche – scrive, «prossima al mezzo miliardo di euro». «Ma è il minore dei costi – sottolinea Belpietro – perché per capire quanto pesi sulle finanze italiane un anno di carcere ingiusto come quello patito da Silvio Scaglia, si debba andare più a fondo: Quanto costa in termini economici la giustizia ingiusta? Se uno degli imprenditori più ricchi del Paese può essere messo ingiustamente in carcere per un anno ed essere accusato di un reato inesistente, chi verrà più in Italia a far l’imprenditore?».
IL MESSAGGERO
Enrico Cisnetto, nella sua rubrica Miseria e Nobiltà, parla di Silvio Scaglia e degli stranieri che evitano l’Italia.
La detenzione preventiva che Silvio Scaglia è stato costretto a subire nonostante non sussistesse alcuno dei tre motivi per comminarla (pericolo di fuga, reiterazione del reato e inquinamento delle prove, ndr) «rappresenta un’ingiustizia che non si cancella con la sentenza di assoluzione. Nel caso di Scaglia come in quello di tanti altri italiani – scrive Cisnetto – il problema non sta nella colpevolezza meno, quanto nell’utilizzo smodato della custodia cautelare, troppo spesso utilizzata come strumento di pressione per ottenere informazioni». La riforma della giustizia – spiega – non è un fatto tecnico ma un passaggio fondamentale per lavorare sulla competitività del sistema-Paese e sulla sua efficienza. «Scaglia – conclude Cisnetto – non ha mai smesso di credere nell’Italia e torna a pieno titolo protagonista del nostro capitalismo».
LA REPUBBLICA | Scaglia dopo l’assoluzione: «Il carcere peggio di come lo raccontano»
In una lunga e sentita intervista rilasciata a Roberto Rho di Repubblica, a poche ore dalla sentenza di assoluzione, Silvio Scaglia racconta dell’anno trascorso in stato di detenzione. «In cella meno spazio che per i maiali». E aggiunge: «Il mio caso dimostra che la giustizia in Italia funziona. Ma ci sono voluti troppo tempo e troppe sofferenze». «Il problema – spiega il fondatore di Fastweb – è la mancanza di garanzie per chi è in attesa di giudizio».
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“IVA TELEFONICA”: SCAGLIA ASSOLTO CON FORMULA PIENA
«È LA FINE DI UN INCUBO. HO CREDUTO NELLA GIUSTIZIA»
Stesso verdetto per Mario Rossetti (ex dirigente Fastweb) e Roberto Contin (Fastweb) e per i manager di TIS: Stefano Mazzitelli, Antonio Catanzariti e Massimo Comito. Mokbel condannato a 15 anni
«Per me è finito un incubo. È stata una battaglia durissima che non doveva neanche iniziare». È la prima dichiarazione dell’ingegner Silvio Scaglia dopo la lettura della sentenza di primo grado del processo per l’”Iva telefonica”. «Un pensiero – ha aggiunto – va alle tante persone che soffrono in carcere ingiustizie simili. Sono contento di aver avuto fiducia nella giustizia fino in fondo». L’ingegner Scaglia, che era rientrato in Italia all’inizio delle indagini per mettersi a disposizione delle autorità inquirenti, è stato recluso per 90 giorni nel carcere di Regina Coeli ed ha scontato altri nove mesi in un rigido regime di arresti domiciliari.
L’ex numero uno di Fastweb è stato assolto nel processo per l’“Iva Telefonica” così come l’ex AD di Telecom Italia Sparkle, Stefano Mazzitelli e altri cinque imputati “telefonici”: il dirigente di Fastweb Roberto Contin, l’ex dirigente Mario Rossetti e gli ex funzionari di TIS Antonio Catanzariti e Massimo Comito. Gli ex imputati sono usciti dal processo, a seconda delle singole contestazioni, o con la formula «per non aver commesso il fatto» o «perché il fatto non costituisce reato». Cade così, per i manager delle aziende telefoniche, l’accusa di aver partecipato al presunto maxiriciclaggio di due miliardi di euro attraverso l’evasione dell’Iva.
Dopo oltre nove ore di camera di consiglio il Collegio della Prima Sezione penale del Tribunale di Roma, presieduto da Giuseppe Mezzofiore, ha invece emesso 18 condanne. La pena maggiore, 15 anni, è stata inflitta a Gennaro Mokbel, 8 anni per sua moglie Giorgia Ricci, 11 anni per il consulente Carlo Focarelli. Condannato a 7 anni l’ufficiale della Guardia di Finanza Luca Berriola, 6 anni e mezzo Antonio Ricci, 5 anni e 4 mesi è la condanna dell’avvocato Paolo Colosimo. Altri condannati: Luca Breccolotti (7 anni), Giuseppe Cherubini (6 anni e mezzo), Silvio Fanella (9 anni), Carlo Focarelli (11 anni), Vincenzo Fragomeli (6 anni e mezzo), Giovanni Gabriele (3 anni e mezzo), Aurelio Gionta (6 anni e mezzo), Maria Teresa La Torre (2 anni), Rosario La Torre (1 anno e 8 mesi), Luigi Marotta (3 anni), Massimo Micucci (6 anni e mezzo), Riccardo Scoponi (4 anni) e Bruno Zito (6 anni), già dipendente di Fastweb.
Nel corso della requisitoria i PM definirono la vicenda «una frode colossale, la più grande mai attuata in Italia da parte di pochi che hanno messo le mani in tasca a ciascuno di noi». L’inchiesta culminò nel febbraio 2010 con 60 arresti che squassarono i vertici di Telecom Italia Sparkle e di Fastweb, e che toccò anche la politica con il coinvolgimento dell’ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo (ha patteggiato nel 2011 una pena a cinque anni di reclusione al termine del processo di primo grado).
Processo “Iva Telefonica”: si riparte
Conclusa la discussione della difesa di Mokbel. Si riprende giovedì 17
Con l’udienza che si è svolta ieri presso la Prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha ripreso il processo “Iva Telefonica” dopo la pausa estiva. Di fronte al Collegio presieduto da Giuseppe Mezzofiore, la difesa di Gennaro Mokbel ha concluso la discussione interrotta lo scorso 15 luglio.
L’avvocato Giovene, nella sua ampia disamina, ha sottolineato la mancanza di elementi necessari a costituire il reato associativo nei confronti del suo assistito, richiamando inoltre l’attenzione del Collegio sull’ingiusta attribuzione a Mokbel, ad opera in particolare della stampa, di elementi e caratteri non corrispondenti alla sua personalità e alla sua storia.
Il Tribunale ha aggiornato il calendario fissando la prossima udienza per il 17 ottobre per eventuali repliche dei PM e inizio della Camera di Consiglio.
Processo “Iva Telefonica”: le prossime udienze
Ha ripreso oggi il processo per l’“Iva Telefonica” che si celebra presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore. Il Collegio si è riunito per comunicare l’aggiornamento del calendario delle prossime udienze
Il processo riprenderà il 1° ottobre con la fine delle discussioni della difesa di Gennaro Mokbel interrotte a giugno. A seguire – il 2 e il 7 ottobre – le repliche dei Pubblici ministeri e delle difese. La sentenza dovrebbe essere emessa il prossimo 9 ottobre.
«Superficiali e frammentarie le accuse a Mokbel»
L’avvocato Placanica contesta l’esistenza per il suo assistito del reato associativo, del riciclaggio, la corruzione e i legami con un gruppo mafioso. Si sono concluse le arringhe della difesa
Il quadro accusatorio nei confronti di Gennaro Mokbel si compone di tanti frammenti, frutto di un «sistema», quello delle indagini cautelari, che pone di fronte al giudice del dibattimento una visione superficiale della realtà. È questa in sintesi, la contestazione da cui si è mossa l’arringa dell’avvocato Cesare Placanica, il difensore di Gennaro Mokbel. Il legale, partendo da queste premesse, ha contestato, anche con numerosi richiami agli interventi dei difensori che lo hanno preceduto, l’esistenza dei reati attribuiti al suo assistito.
L’avvocato Placanica, innanzitutto, ha contestato l’esistenza del reato associativo. In realtà, è la tesi del legale, si è trattato di mero concorso in reati fiscali. Da questo discende la non sussistenza dell’aggravante prevista per i reati transazionali, visto che la natura transnazionale del reato non può essere utilizzata anche come circostanza aggravante qualora sia altresì elemento costitutivo del reato.
Quanto al riciclaggio, il difensore ha sostenuto che, avendo Mokbel concorso nei reati fiscali (addirittura con ruolo dirigenziale) ne discende l’esclusione della configurabilità del reato a suo carico, ai sensi della clausola di riserva ex art.648 bis del codice penale.
A proposito degli episodi contestati a titolo di corruzione (posizione Berriola) e di reati elettorali (Di Girolamo), il difensore si è richiamato alle arringhe dei difensori dei coimputati, aggiungendo inoltre che il rapporto con l’ex senatore Di Girolamo era improntato a indipendenza da parte di quest’ultimo.
Infine, il difensore ha contestato la sussistenza dei reati relativi a collegamenti con un gruppo criminale di stampo mafioso.