Custodia cautelare: idee per una riforma
Avv. Caiazza (C. P. R.): “Ci muoveremo per un ampio consenso politico”
“Siamo soddisfatti e riteniamo ci siano spazi per lavorare ad un modifica delle norme sulla custodia cautelare”. Risponde così l’avv. Giandomenico Caiazza, presidente della Camera Penale di Roma, nel tracciare un primo bilancio del convegno “Carcere: idee contro il disastro”, tenuto nei giorni scorsi nella capitale. “Ovviamente – prosegue Caiazza – faremo il possibile perché nasca come proposta di legge bipartisan tra varie forze politiche”.
La proposta prevede, tra le altre cose, che uno degli attuali pilastri su cui si fonda la carcerazione preventiva, ovvero il rischio di “reiterazione del reato”, risponda a criteri più stringenti. In pratica, che vi debba essere una “attualità concreta” di questo rischio di reiterazione, e non si configuri invece come mera ipotesi legata al passato. Anche perche, proprio su quella mera ipotesi, molta gente finisce dietro le sbarre per mesi.
“Ci sono state alcune obiezioni tecniche – aggiunge Caiazza – ma contiamo di superarle”. Ad esempio, sull’idea di ipotizzare che la custodia cautelare possa avvenire solo nel caso di “delinquenti abituali”, fatto salvi alcuni casi specifici (mafia, terrorismo, reati sessuali, ecc.). Prosegue Caiazza: “In effetti, ci sarebbero buoni motivi per ragionare sul principio della “delinquenza abituale”, ma ci rendiamo conto che finiremmo su un terreno poco spendibile politicamente”.
In ogni caso, e con le “debite modifiche”, le idee emerse dal Convegno cercheranno di battere la strada del politicamente possibile, mettendo a confronto la disponibilità già offerta da alcuni deputati presenti di proseguire su questa strada, affinché si arrivi davvero ad una proposta parlamentare. “I tempi estivi remano un po’ contro – conclude Caiazza – ma per quanto ci riguarda l’obiettivo è chiaro e il percorso pure”.
La buona volontà è da apprezzare sempre, da qualunque parte provenga.
Però, non nascondiamoci dietro un dito: le leggi ci sono, ma non vengono rispettate.
Nella fattispecie, è chiarissimo che cosa significhi “possibilità di reiterazione del reato”. Significa che l’indagato può continuare a brigare contro la legge.
Però Scaglia – per esempio – è in custodia cautelare anche se da tempo non si occupa più di Fastweb e conseguentemente non potrebbe prendere neppure la decisione di aprire una finestra in un determinato ufficio.
Quindi, soprattutto per i signori magistrati – che sono esperti nel settore – fatta la legge, trovato l’inganno.
E non si tratta di metterci una pezza con ALTRE leggi.
Si tratta di riformare finalmente la magistratura, facendo in modo che il giudice che deve controfirmare gli arresti non lo faccia in fretta e in furia, perché deve andare a pranzo (o a cena o al cinema o in vacanza) con il pm che richiede gli arresti.
Idem per i giudici che poi dovranno confermare gli arresti stessi.
Le carriere dei magistrati devono essere SEPARATE.
Altrimenti potremmo anche scrivere un terzo Codice, ma tutto resterebbe così com’è.
Una palude: in cui le sabbie mobili sono ovviamente riservate a quanti capitano nel cosiddetto “tritacarne giudiziario“.
E poi una riforma semplicissima, ma che credo efficace: divieto di conferenze stampa per le Procure della Repubblica. Se esistono motivi d’interesse pubblico a far conoscere gli esiti di un’indagine, l’informazione sia veicolata dalle Forze di Polizia che hanno eseguito gli accertamenti (e che, in qualche modo, sono più “responsabili”, almeno dinanzi ai giudici civili, contabili ed amministrativi, dei magistrati)
Mi spiace, ma non credo che serva alcuna riforma sul “rischio di reiterazione del reato”, per trattare un caso come quello di Silvio Scaglia e dei manager di Fastweb e Telecom Sparkle che la Procura di Roma ha coinvolto. Basta la logica pura e semplice della persona di strada. Se i nostri non svolgono più alcuna funzione nelle medesime società (perchè sospesi e/o addirittura licenziati) come potrebbero mai reiterare? E questo la Procura lo sa, tanto da aver utilizzato grossolane argomentazioni per affermare la possibilità del rischio di inquinamento delle prove. Insomma, il problema è tutto diverso e si vhiama RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI. Come gli impiegati pubblici anche loro devono essere chioamati a compiere gli atti dovuti nei termini previsti (che non possono essere tutti “ordinatori”) ed in caso di ritardo ingiustificato devono rispondere esattamente come risponde ogni pubblico impiegato. Ovvio che tale principio deve valere per gli errori più grossolani, ovvero quelli commessi omettendo di argomentare razionalmente sulle tesi della difesa, ovvero quelli commessi omettendo il controllo sulle indagini. Ma per far questo ci vorrebbero dei “fori” composti prevalentemente da NON magistrati, ma da tecnici del diritto e delle investigazioni DIVERSI dagli appartenenti alla loro “casta”, che possano far rilevare come “ex ante” un’indagine potesse apparire, ad un professionista, “debole” e, dunque, insufficiente a dare inizio ad un procedimento penale.