Truffe carosello: perché Scaglia “poteva non sapere” (3)

I documenti prodotti dal Comitato di Internal Audit nel luglio 2003 dimostrano che al Cda di Fastweb, in data 29 agosto, arrivarono solo notizie “rassicuranti” in merito alle verifiche fiscali, contabili e civilistiche promosse.


Da quanto si è finora esaminato (vedi post del 21 e del 24 settembre), si arriva alle seguenti conclusioni:


1) Il Comitato di Internal Audit segnala nel 2003 delle “criticità” di cassa sulle prepagate;

2) Si decide a livello del Cda di condurre “approfondimenti” fiscali, contabili e civilistici (verbale del 14 luglio 2003);

3) L’attività delle “prepagate” viene bloccata dall’AD Angelidis (mail del 15 luglio)


Si arriva così a due domande chiave:


1) Cosa produssero gli approfondimenti sulle Phuncards del Comitato di Internal Audit?

2) Cosa arrivò di queste indagini all’attenzione di TUTTI i membri del Cda?


Esiste in proposito un documento agli atti del processo dal titolo inequivocabile (da notare: è proprio il “documento importantissimo” a cui si riferisce Scaglia negli interrogatori, sul quale cerca insistentemente di riportare l’attenzione dei PM):


“INTERNAL AUDIT – Approfondimento delle prepagate  -  29 agosto 2003”


Si legge testualmente:


“EXECUTIVE SUMMARY

Pagine 2 e 3

Nella riunione del 14 luglio 2003 del Comitato per il Controllo Interno di e.Biscom S.p.A. è stato richiesto, relativamente alle operazioni di vendita delle carte prepagate, un approfondimento di:

- aspetti contabili e civilistici

- aspetti generali e fiscali

Lavoro svolto:

- Incontri con i rappresentati delle società LBB e PTG (clienti inglesi)

- Incontro con i rappresentanti di WebWizard (Gruppo CMC fornitore italiano)

- Richiesta parere allo Studio Guido Rossi”.


Dunque il Comitato di Internal Audit compie due verifiche con i suoi manager “operativi”: la prima all’estero, a Londra (incontro con Jason Short del 17 luglio 2003); la seconda a Roma (incontri con Carlo Focarelli e Roberto Cristofori del 28 luglio 2003).


Di più. Nel documento viene riportata la richiesta del parere legale allo studio Guido Rossi e le sue conclusioni, sintetizzate in tre punti sono:


1) Qualche dubbio sulla connessione tra tipologia di transazioni e oggetto sociale (di Fastweb, ndr.);

2) Regolarità fiscale e corretta impostazione nel bilancio da cui no rischi particolari;

3) Raccomandata limitazione transizioni a importi marginali rispetto alle altre attività dell’impresa.


Insomma, è tutto a posto, è “tutto regolare”: è questo che riporta il Comitato di Internal Audit, presieduto da Carlo Micheli, al Cda il 29 agosto. Il quale Cda ne prende doverosamente atto. Va sottolineato il “doverosamente” poiché siamo di fronte ad una società quotata, dove pertanto le logiche di governance aziendale “devono”, e non soltanto possono, essere seguite.


Come si è visto dai documenti, soltanto sul punto 1 (“Qualche dubbio sulla connessione tra tipologia di transazioni e oggetto sociale”, ndr.) viene suggerito di predisporre “modifiche” statutarie all’oggetto sociale, proprio per regolarizzare ogni aspetto. Come poi fu effettivamente fatto, per decisione del Cda.


Ma se era tutto “regolare”, se dai controlli interni risultava tutto regolare, allora perché Silvio Scaglia è sotto processo?


Cosa emerge, in tal senso, dagli interrogatori di Scaglia? Cosa chiedono i PM? Lo vedremo alla prossima puntata. Compreso il “via libera” alla prosecuzione dell’attività delle prepagate dato dal presidente dell’Internal Audit, Carlo Micheli, con una mail.


13 Commenti a “Truffe carosello: perché Scaglia “poteva non sapere” (3)”

  • Giulio:

    Caro Giovanni, non è solo la citazione da FB che contesto (peraltro senza alcuna polemica, intendiamoci). Concordo sul fatto che ALCUNI magistrati possano essere sensibili al fascino delle luci della ribalta, ma per uno che si atteggia a primadonna le assicuro che ce ne sono tanti altri che fanno il loro lavoro con coscienza e serietà, e lo dico perché li conosco personalmente.
    Secondo la mia sindacabilissima opinione, ci si dovrebbe limitare a considerare lo specifico e drammatico caso dell’Ing. Scaglia con la giusta indignazione ma senza quelle derive emotive che rischiano di portare alla facile generalizzazione.
    Non sono un magistrato e non ho alcun interesse a difendere la categoria, ma leggendo i tanti commenti in questo blog ho l’impressione che si voglia sempre accusare tutta la magistratura senza distinguere i casi di specie.
    Non mi pare ad esempio che J.H. Woodcock sia uno dei giudici del processo Phuncard, e allora perché tirarne in ballo la smania di protagonismo e la piacioneria?
    Per quel che posso capire io, da esterno, la distorsione degli esagerati provvedimenti di custodia cautelare nei confronti dell’Ing. Scaglia non deriva da alcuna voglia di spettacolarità, bensì da una valutazione dei fatti profondamente errata, per la quale è giusto parlare di argomenti correlabili e correlati quali la responsabilità del giudice, le lacune del diritto, le interpretazioni delle norme, ecc.
    Sacrosanto contestare questa terribile privazione della libertà: un po’ meno sacrosanto, secondo me, accomunare tutta la magistratura nel calderone del “toga party”.
    Altrimenti rischiamo di cadere in un sillogismo miope che ricorda il vecchio “I rossi mangiano i bambini. Babbo Natale è rosso. Dunque Babbo Natale mangia i bambini.”
    Cordialmente
    Giulio

    • giovanni:

      Caro Giulio, in linea di principio posso sottoscrivere quanto da Lei affermato senza alcuna riserva.
      Chi segue questo blog da più tempo sa quante volte io sia intervenuto proprio per evitare inutili e controproducenti generalizzazioni che facessero finire nello stesso calderone indistintamente tutti i magistrati. Anche io ho profonda fiducia nello Stato di diritto e nelle Istituzioni, tra le quali, appunto, la Magistratura alla quale, anche in questo caso, credo che si debba dare credito perché formata prevalentemente da persone di buon senso ed intellettualmente oneste.
      Quel che critico guardando al caso che riguarda l’Ing. Scaglia, il dott. Rossetti, il Dott. Mazzitelli, l’Ing. Comito e l’Ing. Catanzariti ed altre persone del tutto ignare che sono capitate in questo assurdo tritacarne, però, è che si ripropone un dramma già visto altre mille volte è che può essere il frutto di una o più delle seguenti cause:

      1) un’incontenibile smania di protagonismo di certi magistrati (e, prima ancora, di certi appartenenti alle Forze di polizia), che li porta ad abdicare al loro ruolo di esperti del diritto, alle loro funzioni di garanzia (la Polizia Giudiziaria e lo stesso PM hanno come obbligo giuridico, al fine della ricerca della verità, il compito di ricercare e valutare GLI ELEMENTI A FAVORE del sospettato, cosa che quasi mai avviene) e allo stesso rispetto per la logica comune per ammantarsi dell’improprio ruolo di ciechi giustizieri o di sommari vendicatori, tanto utile per chi voglia calcare senza fatica populistiche ribalte;

      2) la conclamata mancanza, da parte di taluni magistrati ed investigatori, di qualsiasi attitudine all’indagine (anche in ragione di qualsiasi formazione specifica a tale attività, che può essere molto complessa e richiedere un’elevata capacità di analizzare testi e ragionare sul loro contenuto), di qualsiasi formazione specifica (ché investigatori NON si nasce, ma si diventa con lo studio e l’applicazione) e, nel contempo, l’assenza di uniformi sistemi di verifica e garanzia, finalizzati, oltre che all’efficace tutela degli indagati dalla “pena del processo”, anche ad espungere dal “ciclo dell’investigazione” quanti abbiano dato ripetuta prova d’inettitudine;

      3) la mancanza, altrettanto evidente, di un sistema che consenta al cittadino di perseguire adeguatamente le responsabilità, civili, penali ed amministrative, di magistrati ed investigatori “che sbagliano”. In particolare, proprio per i magistrati la legge che vige in Italia, oltre ad aver subito diverse censure dalla dottrina e dalla giurisprudenza comunitaria per la sua inadeguatezza a soddisfare le pretese di chi abbia subito l’ingiusta compressione di propri diritti come conseguenza di provvedimenti giudiziari “sbagliati”, assicura oggi ambiti di privilegiata esclusione di responsabilità che, dopo le varie revisioni della legge 241/90, non sono consentiti a nessun pubblico dipendente;

      4) l’incapacità degli organi di informazione di affrancarsi dal ricatto delle “veline” prodotte dalle Procure, di cui spesso si contentano di essere il servile megafono, per andare a svolgere un compito faticoso ma esaltante che è quello di critica e, se necessario, di inchiesta sull’indagine stessa;

      5) una “macchina della giustizia” inefficiente, autoreferenziale, inutilmente costosa (non solo per lo Stato, ma anche per gli stessi imputati, che possono difendersi adeguatamente solo se sono davvero abbienti) e che, soprattutto nelle prime fasi del processo, appare ipergarantista nei confronti di veri e pericolosi delinquenti ed annichilita e succube delle Procure quando si tratta di tutelare i diritti delle persone perbene. L’abuso sistematico del giudizio immediato e del sequestro dei beni, ad esempio, è una delle chiavi di lettura di un diritto che è stato piegato e “violentato” per scopi che nulla hanno a vedere con la Giustizia con la g maiuscola;

      6) l’incapacità dei magistrati (questa volta, purtroppo, intesi come categoria) di compiere una seria riflessione sui punti di cui sopra (basti guardare i siti dell’ANM e delle correnti che la compongono per rendersi conto quanto siano lontani dai problemi delle persone che loro “amministrano”), di formulare proposte per una seria revisione del loro diritto disciplinare e delle norme in materia di responsabilità per danni prodotti a terzi dalla loro attività (con la difesa di una legge, la n. 117/88, del tutto anacronistica ed inadeguata), chiusi come complessivamente continuano ad essere in quella sterile spirale dell’autostima di casta che contribuisce a dare solidi argomenti a chi – anche per fini non nobili – ha interesse ad isolare la categoria.

      Quanto all’ottimo H.J Woodcock, al fine di vagliarne le capacità e l’incidenza reale su fenomeni criminali, La inviterei a “investigare” su quali siano stati gli esiti giudiziari delle sue “indagini” degli ultimi anni, quelle per le quali a Potenza ha formato fantasmagorici gruppi di PG composti in prevalenza da vigili urbani e polizia stradale, che investigavano su materie certo non di stretta competenza di tali Corpi, e per le quali sono stati spesi fiumi di danaro del contribuente in intercettazioni ed altre attività investigative senza che, ad oggi, possa darsi, come pure si auspicherebbe, notizia di corrispondenti positivi ritorni… se non in termini di eccezionale notorietà mediatica dello stesso PM (oggi trasferito a Napoli). Sfortuna, forse, ma quando in casi come quello di Vittorio Emanuele (assolto dalle accuse su oculata richiesta di altro PM confermata dal GIP) si è inciso inutilmente sulla libertà e l’onore delle persone, forse una riflessione pubblica sul personaggio (esattamente come pubblica è stata al tempo degli “arresti eccellenti” la sua esaltazione) sarebbe moralmente d’obbligo.

      E’ chiaro, in conclusione, che l’intento di fondo delle presenti riflessioni è anche quello di evitare quel rischio di pericolosi sillogismi che, certo non a torto, Lei evoca.
      Ricambio la cordialità.

    • stefano:

      @giulio. Vorrei chiarire: in altri miei commenti ho espresso quello che penso compiutamente sulla magistratura, su chi fa un lavoro estremamente importante e lo fa come si deve. Ho anche detto che mi vanto di essere amico di alcuni di loro, e assicuro non sono persone di secondo piano. Ma il fatto appunto che siano “personalità” di spicco della magistratura non lo devono ai giornali, ma al loro lavoro in 40 anni di magistratura, fatto con una professionalità al di sopra di qualsiasi contestazione. Quello che rilevo nei “toga party” è invece un evidente scopo di visibilità, al di là della loro professionalità, in particolare sulla pelle della gente, meglio se famosa ed importante. E, inoltre, una tendenza ad erigersi non tanto amministratori della legge (professionalità) ma giudici morali (che non compete a loro in quanto magistrati, che hanno in merito per quel che mi riguarda la stessa autorevolezza di una velina). Woodcock per quel che mi riguarda appartiene alla schiera dei “fenomeni” (prende la gente, la butta dentro facendola passare per tunnel di fotografi e se dopo 4 anni sono assolti perché il fatto non sussiste, lui ha il coraggio di parlare di show, o quantomeno non fa nulla se qualcuno lo fa al posto suo), esattamente come quelli che stanno lavorando su FTS, che a quanto si legge si intestardiscono su posizioni insostenibili dal punto di vista legale, facendo leva sul corporativismo tra magistrati per tenere in piedi le loro accuse, ma soprattutto senza la benché minima responsabilità sugli errori che fanno (sempre che di buona fede si tratti). Si sono guadagnati le prime pagine dei giornali a spese di Scaglia & C.? Si, e fanno in modo di restarci il più a lungo possibile. In carriera, saranno sempre conosciuti per quelli di quest’indagine, anche se l’indagine dovesse portare ad un’assoluzione piena. Non li ricorderanno per aver sbagliato. L’uso ed abuso di questo sistema mi spaventa.

      • Giulio:

        Cari Giovanni e Stefano, sono certo che in fondo pensiamo la stessa cosa.
        Solo che ho l’impressione che vi facciate lievemente trascinare da una certa “vis” emotiva che vi porta, forse involontariamente, ad allargare il tiro.
        Sarà una mia impressione, e – ripeto – priva di alcun intento difensivistico nei confronti di questo o quel magistrato, ma secondo me alla base di questa incresciosa vicenda ci sono elementi diversi e – per quanto gravi – meno numerosi rispetto a quelli che voi elencate:
        - c’è un indubbio errore giudiziario e/o investigativo
        - ci sono uno o più magistrati che a questo punto non vogliono o non possono più ammettere l’errore e per questo motivo non vogliono o non possono tirarsi indietro
        - di conseguenza, c’è un’applicazione distorta o errata delle leggi.
        Stop.
        Non mi pare di avere visto così tanto presenti in prima pagina i giudici del processo Fastweb-T.Sparkle. Non mi sembra che essi abbiano cercato notorietà mediatica con gli stessi intenti e risultati di un Woodcock. E non voglio dare per scontato che la visibilità sulla pelle della gente sia causa o concausa della ingiusta detenzione dell’Ing. Scaglia.
        A mio modo di vedere, le prime pagine facili, i Woodcock, i toga party (dei quali non nego l’esistenza e il poco spessore), appartengono ad altro genere, ad altre tematiche, e ad altri casi. Questi aspetti da show hanno talmente influito sull’opinione pubblica che ormai qualunque “disservizio” (passatemi il termine improprio) della magistratura, viene bollato come frutto della piacioneria.
        Applicato a questo caso, temo che ciò possa dare adito a sospetti di facili generalizzazioni. E non credo che questo giovi alla causa di Silvio Scaglia, anzi.
        Ecco perché non condivido i punti 1) e 4) elencati da Giovanni e non concordo sulla tesi della facile ricerca di visibilità enunciata da Stefano. Ma è solo un parere, e non ho la presunzione di imporlo a nessuno.
        Cordialmente
        Giulio

        • giovanni:

          Caro Giulio, concordo con Lei quando afferma che non tutti gli elementi che ho sopra indicato ricorrano nel processo Fastweb-TIS.
          Tuttavia, acclarati i continui contatti della Procura di Roma con il direttore de La Repubblica e con i suoi giornalisti, coevi all’inchiesta, e la pompa con la quale essa è stata sparata (e poi mantenuta) sui giornali, coinvolgendo anche l’ignaro Procuratore Nazionale Antimafia in dichiarazioni che certo non sono frutto di uno studio autonomo e approfondito della questione da parte sua, ammetterà che il sospetto che qualcuno diffonda per la cronaca veline tendenziose è forte.
          Tanto più che il primo file dell’ordinanza che è circolato tra i giornalisti (che però non hanno fatto la fatica di leggerselo, preferendosi affidare alle veline di cui sopra, tanto che se scorre le cronache di quei giorni, e quelle successive, constaterà un’imbarazzante identità di prosa tra quotidiani diversi, roba che se fossero stati in buona fede vi sarebbe stata una sfilza di cause incrociate per plagio) era quello di cui solo la Procura poteva disporre. Pensi che i giornali risulta che abbiano avuto in file “originario” l’ordinanza ben prima che essa fosse resa disponibile agli stessi avvocati degli arrestati.
          Ora, però, non mi basta dire che nel caso di Scaglia, Rossetti, Mazzitelli, Comito e Catanzariti siamo in presenza di un “grande errore” e che vi siano magistrati che “non vogliono o non possono ammettere l’errore”, senza chiedermi immediatamente perchè si giunga a questi effetti distorti. In altre parole, il caso in esame è diventato, almeno dal mio punto di vista, l’occasione per trattare dei problemi di una giustizia che se non è proprio malata, come molti dicono, di certo non si sente tanto bene.
          Nessuna controproducente generalizzazione, allora (e se così forse apparso smentisco e mi scuso), ma un tentativo di riflettere sul perchè possano verificarsi tanto ricorrentemente, in Italia, errori giudiziari che rovinano vite e famiglie senza che nulla cambi.
          Grazie ancora per le sue annotazioni. Ricambio la cordialità.

        • stefano:

          @Giulio: si chiacchiera e si discute, magari un po’ animatamente (si parla di libertà quindi la cosa più cara che abbiamo), ma non ritengo ci siano gli estremi per scusarsi. Ognuno ha le sue impressioni e valutazioni e ci mancherebbe. Io resto dell’idea che ci sono troppe cose che non tornano in quest’indagine per pensare che sia solo un “errore”. Se poi ci metto, ad esempio, il fatto che qualcuno era candidato al CSM proprio nei mesi caldi della vicenda, da pensar male mi viene. E si sa, si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca.

  • stefano:

    @Giulio: non era una pagina di “fans” (ammettendo che ci possano essere dei fans di un magistrato); non ci sono tanti omonimi (2 utenti); troverei quantomeno strano che un magistrato, così tanto attento alla sua immagine pubblica, si ritrovi una pagina non autorizzata col suo nome e non la faccia chiudere (il post era di 7 mesi fa).. Come direbbero loro “non poteva non sapere..”

  • giovanni:

    Certi principi sono tanto consolidati e radicati nella cultura giuridica italiana che li insegnano anche all’Università, ai più giovani studenti di diritto penale. Purtroppo la Procura di Roma (e con lei certi distratti Giudici che ne avallano le gesta) sembra ignorarlo. Confidiamo nel fatto che il teorema del “non poteva non sapere” sia destinato a finire dove merita anche perchè la giurisprudenza “normale” da tempo ha capito che occorre qualcosa di più per condannare una persona:

    Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6979 del 31/05/1985

    In tema di reati commessi da appartenenti ad associazioni criminose, la sola appartenenza all’associazione ed anche lo eventuale previsione del reato fine, sono di per sè inidonee a far ritenere responsabile come compartecipe il singolo associato, rimasto estraneo alla ideazione e alla esecuzione del reato fine, in Mancanza di una prova sicura circa il suo volontario apporto causale alla commissione del fatto, sia pure sotto Forma di istigazione o di agevolazione causalmente rilevanti rispetto alla realizzazione del reato fine. Infatti, per la sussistenza del dolo di partecipazione, non basta la semplice consapevolezza di concorrere all’altrui Azione criminosa, ma occorre la volontà di contribuire, con il proprio operato, alla realizzazione del fatto. La qualcosa importa – per quanto concerne l’associato non implicato nella commissione materiale del fatto -,un contributo di volontà di carattere determinante nella sua verificazione nonché lo accertamento della circostanza, secondo la quale quegli sia munito di poteri deliberativi in ordine all’attività della associazione criminosa.

  • stefano:

    Mi permetto di fare un copia/incolla dalla bacheca pubblica di Facebook di un noto magistrato (non coinvolto nell’inchiesta FTS).. quando ho letto il post, datato febbraio, sono rimasto.. basito..
    “John Henry Woodcock Oggi … un gioco da ragazzi … questi casi ci fanno il solletico , domani mattina tutti presenti al tribunale di pietrasanta , un nuovo show da parte del sottoscritto: PM JOHN HENRY WOODCOCK !”
    Se abbiamo a che fare professionalmente con persone così, c’è davvero poco da scherzare. Credo che anche Vincino inizi a preoccuparsi..

    • giovanni:

      Er Piacione! Questo è l’appellativo che si meritano a ragione magistrati così tanto pieni di sé da dimenticare che il Signore li ha anche dotati di un cervello e che il cervello consente a tutte le persone sane di menti di compiere ragionamenti minimi ed essenziali.
      “Lei non poteva non sapere” tuona, nell’udienza di ieri dinanzi al Giudice del Riesame, il P.M. Giovanni Di Leo commentando le posizioni di vari imputati. E, come ormai siamo abituati, ecco la mossa ad effetto della Procura di Roma: sbattute all’ultimo minuto sul tavolo le dichiarazioni di coimputati che, nelle intenzioni dell’immaginifico “pool”, dovrebbero inchiodare i malcapitati. Un copione già visto, una sceneggiata che ormai non impressiona più nessuno.
      Si nota subito che, almeno per il grosso degli imputati, da questi verbali non esce nemmeno UNA virgola a loro sfavore, ma anzi sono rinvenibili elementi utili per la difesa.
      Una mossa suicida, insomma, fatta da chi, nonostante le tronfie affermazioni nelle udienze e negli interrogatori, dimostra ancora una volta di non aver letto con raziocinio le carte e di essere dotato di una certa dose di tracotanza.
      Ma se è vero che questi signori, accanto a carte che nulla dimostrano fin dall’inizio, unite a dichiarazioni che rafforzano questo nulla, hanno tenuto nel cassetto, senza darne ragione nell’ordinanza, mesi d’intercettazioni a carico di persone perbene dalle quali si evice che le stesse non avevano alcun contatto indiziante con i veri trafficanti internazionali, allora c’è da chiedersi non solo se le aziende e gli innocenti professionisti siano stati tirati dentro al solo fine di “pompare” mediaticamente la notizia ma anche quale profilo etico abbiano alcuni tra coloro che si occupano di giustizia in questo Paese.
      Personalmente continuo ad augurarmi che, sopito il vuoto e noioso chiacchiericcio politico di questi giorni, qualcuno si svegli e prenda in mano la questione della responsabilità civile e disciplinare dei magistrati.

    • Giulio:

      Si è visto che una certa tendenza al protagonismo è tratto caratteristico della personalità di alcuni magistrati, però occhio a citare Facebook. Così come Wikipedia, è zeppo di profili e dati non ufficiali e non verificabili. Chiunque può mettere in rete un profilo a nome altrui e gestirlo come meglio o peggio crede.
      Per di più trovo molto meno pericolosi certi comportamenti spettacolarizzati quasi a livello di show, rispetto all’operato di altri giudici meno famosi ma più “forcaioli” (il caso di specie lo dimostra).
      Non voglio sembrare fuori dal coro, e colgo anzi l’occasione per esprimere all’Ing. Scaglia la mia piena solidarietà e stima, ma sono fortemente e pervicacemente allergico alle generalizzazioni e ai facili paragoni.
      Cordiali saluti
      Giulio

      • giovanni:

        In effetti proprio non credo che il messaggio riportato da FB sia da riferire al PM in parola. Tuttavia è pure vero che esso da spunto per parlare dell’atteggiamento psicologicamente inaccettabile di un professionista delle indagini, quale dovrebbe essere un PM, che, mirando eticamente alla Giustizia, deve essere fino all’ultimo pronto a mettere in discussione le sue ipotesi investigative se si accorge che l’impianto non regge. Purtroppo taluni sembrano preferire alla Giustizia la smania di apparire e di “piacere”. Ecco, in quel caso siamo davanti ai “Piacioni”. E’ pur vero che altri coltivano, invece, la loro incapacità attitudinale all’indagine con altri stili, avvicinandosi un po’ alla figura triste di certi oscuri inquisitori medioevali…

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“Questo Blog è dedicato alla figura di Silvio Scaglia, imprenditore ed innovatore, protagonista di start up (Omnitel, Fastweb, Babelgum) oggi impegnato in nuove sfide come il rilancio de La Perla, marchio storico del made in Italy. E' un luogo di informazione e di dibattito per tutti gli stakeholders (dipendenti, collaboratori, clienti) ma anche comuni cittadini che hanno seguito le vicende in cui Scaglia, innocente, si è trovato coinvolto fino alla piena assoluzione da parte della giustizia italiana.” - Stefania Valenti, Chief Executive Officer Elite World